Attualità | Liste

10 cose e personaggi del 2018

Le personalità, le immagini e gli oggetti simbolo di questo 2018 secondo la redazione di Studio.

di Aa.Vv.

Quali sono le immagini, gli eventi e le personalità in grado di riassumere e rappresentare l’anno che sta finendo? Sceglierne 10 non è stato troppo difficile: abbiamo impiegato più tempo a metterci d’accordo sulle 20 migliori cose viste e i 10 migliori libri. In questa lista abbiamo scelto e raccontato gli oggetti e le persone che a nostro sindacabile giudizio incarnano lo spirito del 2018 e riassumono i grandi temi e movimenti che l’hanno caratterizzato: la nuova corsa allo spazio, il populismo, i movimenti migratori, il nuovo femminismo.

‘Oumuamua
Nell’ultimo paio di anni lo spazio è ritornato a essere una frontiera come non lo era più dagli anni ‘60: la nuova scoppiettante comunicazione della Nasa, la ricerca sempre più raffinata di esopianeti, i grandi ricchi che sparano razzi, progettano viaggi turistici sulla Luna, colonie su Marte, dove peraltro un’altra sonda è atterrata e ha iniziato a trasmettere immagini pazzesche, che accorciano ancora di più le distanze; su giornali seri appaiono rivelazioni su file secretati dell’Fbi su avvistamenti sospetti. Sembra una preparazione psicologica a una scoperta che ci troveremo a fare nel corso di questa vita, chissà magari tra qualche anno. Poi a fine 2017 è arrivato anche ‘Oumuamua, il primo oggetto interstellare mai avvistato da queste parti, una roccia a forma di sigaro che sta facendo un viaggio lunghissimo, nessuno ha capito quanto. Lì per lì ce ne si è quasi dimenticati, poi però nel 2018 si sono accavallate ricerche e osservazioni: una cometa, un’asteroide, boh? Qualcuno – un professore di Harvard – dice: una vela solare di una civiltà sconosciuta. Viene creduto, poi rimbrottato. Rilascia un’intervista allo Zeit in cui sostiene il compito per la scienza di spingersi oltre il recinto del conosciuto. Quale che sia la verità, resta fatto che questa roccia volante incarna un sentimento ormai diffuso: vogliamo crederci e ci aspettiamo che succeda da un momento all’altro. (Cristiano de Majo)

Jamal Khashoggi
Che fare il giornalista in Arabia Saudita non fosse una cosa divertente lo si poteva facilmente intuire, e se si è letto Gli anni del terrore di Lawrence Wright si può anche approfondire come il mix di repressioni governative e norme religiose abbiano creato un sistema mediatico che non solo è prigioniero, ma si auto-imprigiona spesso e volentieri. Wright, tra le altre cose, era molto amico di Jamal Khashoggi, giornalista di spicco che aveva lasciato l’Arabia Saudita nel 2017 in un esilio auto-imposto per paura e per libertà. Dopo l’uccisione di Khashoggi mi è rimasto un senso di colpa, in un certo senso: per quanto distrattamente la maggior parte della stampa occidentale segue gli eventi del Medio Oriente, e pure per il piccolo entusiasmo che in molti sentivamo per quel giovane principe Mohammad bin Salman, che sembrava sì crudele, ma almeno un po’ più illuminato dei regnanti precedenti, con quel Vision 2030 che sembrava poter portare un po’ di libertà nel regno. Invece. (Davide Coppo)

Jamal Khashoggi durante una conferenza stampa a Manama il 15 dicembre 2014 (Mohammed Al-Shaikh/Afp/Getty Images)

Josefa
Sono stati tanti, quest’anno, i momenti in cui il dibattito pubblico in Italia si è inceppato, provocando delle brutture tali da restituirci l’immagine di un Paese brutale nel semplificare la realtà, incapace di guardare in qualsiasi altra direzione che non fosse quella dell’immediato. Com’è successo lo scorso 19 luglio, quando l’ong Proactiva Open Arms ha salvato Josefa, unica superstite di un naufragio, l’ennesimo, al largo delle coste della Libia. La sua storia l’ha raccontata Annalisa Camilli su Internazionale, mentre rimbalzava sui media la foto di una donna con gli occhi sbarrati, pieni di immagini che possono immaginare solo i suoi soccorritori, che hanno recuperato i due cadaveri, di una donna e di un bambino, con i quali Josefa ha condiviso molte ore in acqua. È stata l’estate dei porti chiusi e delle bufale sovraniste, come quella dello smalto rosso che per molti stava lì a indicare il complotto, e invece era solo un modo per far sentire Josefa umana di nuovo. Un luglio torrido che ci ricorderemo perché abbiamo deciso che più le cose si fanno difficili, meno noi ne sapremo parlare in maniera complessa. Chissà cosa si aspettava di trovare Josefa, camerunense di quarant’anni, una volta arrivata in Europa: forse la diffidenza, quella sì, ma non che le persone dell’angolo fortunato di mondo stessero lì a discutere delle sue unghie. (Silvia Schirinzi)

Melania Trump
Niente rinvigorisce un amore illecito come i «non dovrei». Il tentativo di contenere i propri impulsi è inversamente proporzionale alla crescita del desiderio. Il problema con Melania non è, ovviamente, che si tratta di una donna sposata. Il problema è chi ha sposato. Niente da fare. Lei ci piace. La sua bellezza artificiosa e sofisticata, il suo stile inadeguato, al limite del caricaturale (se tutto quello che indossa Michelle Obama è uno statement politico e sociale edificante, tutto ciò che si mette Melania sembra una presa per il culo), le deprimenti decorazioni natalizie, l’enigmatica posizione politica (tanto che a un certo punto il Guardian si è chiesto: Melania Trump è la fist lady più riluttante di sempre?). Trovandosi ogni giorno davanti una platea di studenti apatici e muti, un mio adorato professore diceva: «Ci sono due possibili motivi per cui certe persone stanno sempre in silenzio. O hanno un mondo interiore così complesso e smisurato che fanno fatica a tradurlo in parole, o non hanno mai un cazzo da dire». Paragonata a Michelle – il confronto con l’ex first lady è la sua croce, ma l’ha voluto lei: le ha copiato il discorso (giusto per confermare la seconda ipotesi) –, una presenza così solida e luminosa (visualizziamola nel suo leggendario stivale Balenciaga), Melania appare inadatta, fragile, saturnina. E se abbiamo letto le Affinità elettive (anche Ottilia, guarda caso, era bravissima a copiare) sappiamo già qual è la parte di storia più emozionante. Nostro malgrado. (Clara Mazzoleni)

Melania Trump durante i festeggiamenti per Hanukkah alla Casa Bianca (6 dicembre 2018, Washington, DC, foto di Oliver Contreras-Pool/Getty Images)

AirPods
Quando nel keynote di settembre 2016 sono state presentate per la prima volta, queste curiose cuffiette bluetooth avevano destato non poche perplessità. Troppo piccole, troppo sceme, troppo simili a quelle auricolari per chi sta sempre in macchina e deve stare anche sempre al telefono. Il design era pur sempre quello affascinante di casa Apple, ma niente, gli AirPods sembravano destinati ad avere un futuro breve e quantomeno incerto. Ormai è dimostrato che ci basta poco per cambiare idea. Con timidezza, questo bisogna dirlo, questa coppia di cosini bianchi contenuti in una custodia estremamente raffinata, bianca, stondata, lucidissima, si è guadagnata l’attestato di must have. Complice la diffusione di mille imitazioni – vero parametro per la misurazione del successo – gli AirPods sono diventati merce talmente ambita che per un po’ te li regalavano se sottoscrivevi uno di quei conti corrente online e sono stati il prodotto più cercato durante il Black Friday. Grandi assenti all’ultimo keynote (pare per una mancata ottimizzazione di AirPower che permetterà di ricaricarli tramite induzione), gli oltre 28 milioni di AirPods venduti nel 2018 sono riusciti a rendere status anche quell’auricolare bluetooth un tempo parte per il tutto degli agenti di commercio. (Teresa Bellemo)

Una Tesla nello spazio
Stiamo vivendo in un’epoca straordinaria per la ricerca scientifica e il progresso tecnologico, ma ce ne rendiamo contro probabilmente troppo poco. È perché le cose straordinarie che stanno succedendo sono piccole, si tengono in una mano, oppure sono anche più microscopiche e intangibili. Per questo l’esplorazione spaziale ci esalta ancora così tanto: e nel febbraio 2018 è stato incredibile vedere un razzo – il più potente di sempre, quello che sogniamo ci porterà un giorno su Marte Venere Saturno – che parte nello spazio e lancia una Tesla – un’auto elettrica bella e velocissima, prova tangibile di quell’epoca tecnologicamente straordinaria che stiamo vivendo – con un manichino a orbitare intorno a Marte, con una telecamera che riprende tutto in streaming e noi quaggiù che lo guardiamo pensando a David Bowie, e la Terra su cui noi siamo si vede dallo specchietto della Tesla Roadster che è nello spazio e pure su Youtube nel nostro salotto in diretta, e quella macchina mentre leggete queste righe è ancora là a orbitare e ci rimarrà per milioni di anni, e sulla sua scheda madre c’è scritto «Made on Earth by Humans». Non vi fa commuovere? A me sì. (Davide Coppo)

Il manichino alla guida della Tesla: sullo sfondo il pianeta terra

Christopher Wylie
Se questo è stato l’anno in cui la percezione generale di Facebook si è rovesciata – non che fosse più considerato l’utopia social di qualche anno fa, ma neanche lo strumento in grado di determinare elezioni politiche in mezzo mondo – se, insomma, il 2018 è stato l’anno in cui abbiamo incominciato a vedere Facebook per quello che è: uno strumento discretamente pericoloso e che a differenza di altri strumenti pericolosi è fuori da ogni controllo pubblico, molto lo dobbiamo a Christopher Wylie, trentenne coi capelli rosa, vegano, gay, che a dispetto della sua immagine da millennial consapevole nel 2016 aveva lavorato per Bannon alla «guerra psicologica fotticervelli», cioè aveva raccolto dati via Facebook, grazie a quei giochini tipo test della personalità per individuare il target perfetto da colpire con la propaganda trumpiana. E Salvini? E Di Maio? E la Brexit? E i Gilet Gialli? Tutte le idee, i personaggi e i movimenti peggiori dei tempi recenti hanno trovano in Facebook più che una cassa di risonanza in una ragion d’essere. Wylie e lo scandalo Cambridge Analytica non hanno arrestato l’onda, ma ci hanno leggermente dischiuso gli occhi. Zuckerberg è stato costretto a farsi interrogare al Congresso e Facebook ha evidentemente iniziato il suo declino, che forse sarà lento, ma sembra inesorabile. (Cristiano de Majo)

Meghan Markle
Il matrimonio tra Harry e Meghan è arrivato nelle nostre vite in un momento in cui pensavamo ad altro, un po’ come quando gli amici si accasano e figliano senza un minimo di preavviso sociale. Dal fidanzamento al matrimonio lampo l’intervallo è stato breve, ma sufficiente perché Meghan Markle diventasse di colpo il nuovo idioma reale. «Il vestito aveva lo scollo a barca, sai no, come quello di Meghan» mi ha scritto un’amica su Whatsapp commentando la (ricca) sconosciuta che ha sposato un amico d’infanzia. Quell’abito di Givenchy le stava largo e faceva delle pieghe che non avrebbe dovuto, ha deluso tutte quelle che speravano nello stile principesco di Kate, ma è comunque diventato nuovo canone, dicevamo, e se Kate vende cappottini di Zara, lei punta ai piccoli marchi eco-sostenibili. Pare poi che la nuova duchessa di Sussex sia dispotica e che collezioni le assistenti personali. Si dice che la Regina abbia invitato solo lei e sua madre al pranzo di Natale, onore mai esteso ai Middleton. Pare anche che i due fratelli siano ora in rotta di collisione e che Meghan rivorrebbe i suoi account social. Se nel 2019 comparirà su Instagram non lo sappiamo, speriamo almeno che l’anno prossimo si metta un Victoria Beckham, che mai come in questo momento avrebbe bisogno di un suo endorsement. (Silvia Schirinzi)

Meghan in visita alla casa di riposo Brinsworth House, patrocinata dal fondo di sostegno Royal Variety Charity (18 dicembre 2018, Twickenham, foto di Chris Jackson/Getty Images)

I Ferragnez
Il primogenito di Chiara e Fedez, Leone Lucia Ferragni (cognome di lui e di lei) è venuto al mondo il 19 marzo al Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles. Il 1 settembre mami e papi si sono sposati a Noto, in Sicilia, in quello che verrà ricordato come il royal wedding italiano più pacchiano e seguito di sempre. Ne hanno parlato tutti, e chi non voleva farlo l’ha fatto comunque, sentendosi in dovere di dichiarare: «Non me ne frega niente del matrimonio dei Ferragnez». Questi due eventi basterebbero già a fare di entrambi – anche se c’è chi pensa che Fedez sia solo un subalterno – due dei personaggi più importanti dell’anno. In effetti, il salto compiuto nel 2018 dalla ex fashion blogger oggi imprenditrice globale è ulteriormente notevole. Ha divorziato dall’ex socio in affari e ha assunto nel suo team la madre e la sorella. Ha risposto con prontezza al body shaming del Corriere nei confronti delle sue invitate all’addio al nubilato. Certo, ha fatto qualche gaffe (lo spot al latte artificiale, il party al supermercato, la campagna di crowdfounding che ha fatto fatica a decollare) ma è anche per questo che il brand Ferragnez ha funzionato più che mai. Errori, scalpori, tamarrate pazzesche e un nucleo famigliare durevole, compatto: finalmente anche noi abbiamo i nostri Kardashian, e non hanno nulla da invidiare agli originali. (Clara Mazzoleni)

Alexandra Ocasio-Cortez
In un post Instagram dello scorso gennaio ringraziava per il traguardo di 10mila follower su Twitter, oggi Alexandra Ocasio-Cortez ne ha un milione e 600mila. La carriera politica di questa giovane (a ottobre ha compiuto 29 anni) attivista americana è stata un’ascesa fulminea. Dopo aver seguito Bernie Sanders durante la sfida contro Hillary Clinton alle primarie del 2016, Ocasio-Cortez riesce prima a vincere le primarie democratiche del quattordicesimo distretto di New York sconfiggendo Joseph Crowley, e poi a diventare – lo scorso novembre – la più giovane parlamentare nella storia del Congresso statunitense. I suoi sono i temi sandersiani (sanità pubblica e formazione universitaria gratuite, un maggiore controllo della vendita e del possesso delle armi da fuoco, leggi più favorevoli nei confronti degli immigrati irregolari, aumento del salario minimo), ma raccontati con una forza mediatica molto maggiore e una forte spinta femminista. Madre portoricana e padre americano, cresce nel Bronx dove continua a vivere e dove ha lavorato come cameriera anche dopo la laurea in economia. Non è un buon momento per la sinistra mondiale e non si fa che chiedersi da dove si debba ripartire per invertire la tendenza ovunque sempre più piegata sul populismo. Forse da dei millennials con le idee chiare e un modo efficace di raccontarle. (Teresa Bellemo)