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Cosa racconta lo stile di Melania Trump

La forza della First lady, e il disappunto che suscita, risiede nel silenzio: a parlare è il suo guardaroba.

di Silvia Vacirca

Melania Trump durante il safari con Nelly Palmeris, Park Manager, nel parco nazionale di Nairobi, il 5 ottobre 2018 (foto di Saul Loeb/Afp/Getty Images)

Come in Caro Diario, quando Renato Carpentieri tormenta Nanni Moretti perché muore dalla voglia di sapere se Sally Spectra ha detto o no al marito che sta aspettando un figlio, i media, che tanto la criticano, ne sono ossessionati. Gli outfit di Melania Trump sono come pendole ipnotiche. La sua storia di First Lady è un film muto che comincia in Ralph Lauren azzurro cielo, nel giorno dell’Inauguration Day, e finisce – per ora – in Ralph Lauren sabbia e cappello safari bianco. Ralph Lauren e silenzio.

Infatti, vuoi per privacy, vuoi per prudenza tattica, vuoi per carattere, Melania Trump ha parlato poco da quando suo marito è diventato Presidente degli Stati Uniti, e la sua immagine, che con tenacia e anacronismo punta sulla silhouette cristallina, parla ancor meno. La forza di Melania Trump, e il disappunto che suscita, risiede nel silenzio, nella resistenza all’ossessione – tendenzialmente liberal – per lo scioglimento del rompicapo delle superfici in senso politico. Scarpette e t-shirt rosse, cappellini rosa, Michelle Obama che non si veste senza una causa da difendere, un designer americano da lanciare, la cultura di un paese da rispettare.

La First Lady si accinge a scendere dal Suv che l’ha accompagnata all’aeroporto militare Joint Base Andrews in Maryland, il 1 ottobre 2018 (fotografia di Saul Lobe/Afp/Getty Images)

E poi si sa che le donne parlano per vestiti, mica per parole. Così, data la reticenza di Melania, i media hanno scritto che le scelte della First Lady, le sue parole, e la sua voce non le appartengono. Melania triste, Melania prigioniera a Washington – dove circola il detto che se vuoi un amico allora comprati un cane –, sarebbe così a corto di parole che nel 2016, alla Convention repubblicana di Cleveland, le deve rubare a Michelle Obama. Ma Melania, infine, ha parlato. Dapprima, in una lunga intervista esclusiva rilasciata pochi giorni fa in Africa al giornalista Tom Llamas per Abc e, in seguito, alla conferenza stampa di fronte alle piramidi di Giza, dove ha dichiarato: «Vorrei la smetteste di parlare di quello che indosso, e vi focalizzaste su quello che faccio». Un severo richiamo alla sostanza che, detto da una modella che ha appena finito uno shooting degno della gloriosa Diana Vreeland, è come dire Fantozzi che indovina un gesto.

In occasione del viaggio in Ghana, Malawi – il “cuore caldo dell’Africa” – Kenya ed Egitto, per la promozione del progetto Be Best, che vuole insegnare ai bambini l’importanza della salute fisica, emotiva e sociale, le sue scelte di vestiario sono state criticate e dileggiate sulla base di un’apparenza costumey, posticcia. Davanti a certi suoi look tutto scompare, persino lei. I suoi vestiti non dicono niente della persona Melania Trump. Tutto l’edificio ideologico su cui poggia il sistema della moda come allegra espressione dell’individualità, crolla. Quello che resta è il costume, il travestimento, il cappello coloniale.

Occorre premettere che, a dispetto del tramonto dello stilista e l’alba del direttore creativo, il guardaroba di Melania è un guardaroba di design d’alta moda. Il che fa un certo effetto dato che, ormai, andiamo tutti in giro in tuta e ciabatte, chi più chi meno. Come se non bastasse, i suoi look sono iper-femminili, totali, robotici, monolitici anche nel colore. Un modo quasi incomprensibile per le mamme-bambine, i fashion blogger contemporanei e i fan di celebrity che sembrano appena uscite da una centrifuga o pronte per i cento metri piani.

Melania Trump in visita alle piramidi di Giza, Egitto, il 6 ottobre 2018 (fotografia di Saul Loeb/Afp/Getty Images)

Nella Hollywood degli anni trenta la parola ‘costume’ significava che il vestito doveva rivelare la psicologia del personaggio. Invece, i look di Melania oscillano tra l’opacità del pesce rosso, dove una giacca non è nient’altro che una giacca – come quando indossò quella di Zara con su scritto “I don’t care, do you?” – e la catena di Sant’Antonio, un continuo rimando ad altre immagini discutibili, per gusto o correttezza politica. Nel caso del viaggio in Africa sono stati scomodati Indiana Jones e i predatori dell’Arca Perduta (1981), La mia Africa (1985), e Smooth Criminal di Michael Jackson.

La psicologia della donna qui non conta perché Melania Trump è l’immagine di un’America molto lontana da quella incantata da Obama. Una visione di perfezione Wasp, un’America che non c’è ma che Ralph Lauren ha costruito pezzo per pezzo a partire dal 1967. Il marchio Ralph Lauren è l’essenza dello spirito americano, di uno stile di vita classico e di classe che il designer conosceva poco, dato che ha cominciato trasformando stracci in cravatte, prima di diventare il secondo profeta del Sogno Americano dopo Walt Disney. Melania in fedora fa venire in mente Il Grande Gatsby, il film del 1974, e le campagne pubblicitarie di Ralph Lauren degli anni ottanta. Stimola pensieri di lino bianco, nuovo, invitto; pensieri repubblicani perché, come scrive Paul Golberger su Vanity Fair, Ralph ha capito molto presto che non c’è bisogno di essere repubblicano per vestirsi e desiderare da repubblicano.