Attualità | Reportage

Odessa ex città aperta

Reportage dalla "capitale del sud" dell'Ucraina, città in cui la guerra ha imposto un dibattito difficile e conflittuale sul passato del Paese, tra il desiderio di liberarsi dai segni dell'imperialismo russo e la paura di abbandonare così una parte della propria storia.

di Matteo Latorraca

Foto di Ed Jones/AFP via Getty Images

Il 10 aprile del 1944 la città di Odessa fu liberata dai nazisti dopo tre anni dalla sua occupazione. Alla testa delle truppe sovietiche c’era il generale Rodion Yakovlevich Malinovsky, nato nella stessa città quarantasei anni prima. Nel 1967 una sua statua fu collocata nella città, onorando il generale che per le sue gesta fu insignito per ben due volte con la medaglia d’oro dell’Urss. Seppur nato a Odessa, per molti Malinosky non ha niente a che fare con la città, ma è la rappresentazione di anni di oppressione perpetrata sul Paese da parte dell’ingombrante vicino. Proprio davanti a quella statua svetta invece un dipinto di una Madonna che indossa la mimetica e l’elmetto ed è contornata dai colori dell’Ucraina. L’opera è del pittore Kirill Bondarenko ed è stata posizionata lì in spregio a quello che il monumento rappresenta. «L’impero russo e poi l’Urss ci hanno privato per trecento anni della nostra cultura. Hanno sostituito i nostri poeti e scrittori con Puskin e Dostoevsky. La loro è stata un’opera di oscurantismo della nostra essenza. Questo è il momento per noi di risollevarci e di liberarci dal quest’oppressione», ci dice il pittore all’interno del suo atelier.

Il problema non è solo il passato sovietico, ma l’ascendenza russa sulla città. Il fenomeno, la derussificazione, è anche introdotto come decolonizzazione. La Russia, secondo Kirill, ha considerato l’Ucraina come un territorio da sfruttare e sottomettere, a cui non spettava niente se non assecondarla. Se il processo di decomunistizzazione è iniziato con il crollo dell’Urss e si è potuto poggiare su leggi emanate nel 2015 dal governo ucraino, quello di derussificazione al momento non è sostenuto da nessuna legge, ma solo da processi implementati dalle singole realtà cittadine. La derussificazione ha avuto particolare spinta con l’inizio della guerra nel 2022. Per esempio, una città come Ivano-Frankivsk è diventata la prima città nel Paese senza più nome di luoghi di matrice russa, senza nessuna spinta del governo centrale. Ma queste sono città nell’ovest dell’Ucraina, dove la lingua ucraina è sempre stata parlata diffusamente e dove la russofilia è meno sentita. In diverse aree dell’Ucraina, come a Odessa, distaccarsi dal passato sovietico e dall’influenza russa sembra meno scontato. Qua il processo di desovietizzazione è iniziato poco dopo la caduta del’Urss, portando così a liberarsi di via Lenin o viale dell’Armata rossa, ma non ancora del tutto concluso. Molto più tempo rispetto ad altre città, complice una classe politica reticente ai cambiamenti e impensierita da una popolazione che a loro parere era ancora molto legata a quel periodo.

La derussificazione sembra presentare ancora maggiori problemi e controversie. «Prima di tutto non dovremo considerarli come due fenomeni scollegati. Seppur avvenuti in periodi differenti e supportati con ideologie differenti, questi due fenomeni sono la rappresentazione del colonialismo russo sul territorio ucraino» spiega Ulyana Kromovitch, specialista all’Istituto di memoria nazionale di Odessa. I ritardi nella rimozione di questi monumenti e insegne sono stati considerati dai russi come una prova che gli ucraini volessero ancora restare sotto la loro influenza. «Per questo dobbiamo liberarcene il prima possibile, anche se ci troviamo a dover fronteggiare problemi ben più grandi». Secondo Ulyana, il governo ha paura di scontrarsi con le persone che ancora sostengono la propaganda russa, soprattutto i vecchi. Questo anche per quello che riguarda il suo lavoro e il processo che stanno intraprendendo: «La gente è legata alla propaganda russa perché non conosce l’alternativa».

Un impegno profuso, che richiede la conoscenza della storia del Paese, che solo gli specialisti possono avere. «Quello che non vogliamo è dedicare le strade solo a eroi nazionalisti come Bandera, ma soprattutto ai membri più autorevoli della storia di questo Paese, colpevolmente dimenticati a causa dell’ingerenza russa». La politica, anche quella più europeista, sembra correre su binario parallelo a questo, ma con alcune differenze. «Non dobbiamo liberarci di ogni collegamento con la Russia. La città di Odessa ha una storia intrecciata con il Paese che ci ha invaso», sostiene Peter Obukhov, consigliere comunale di Odessa e in corsa per la carica di sindaco della città, «Quello che dobbiamo fare è liberarci di quei nomi che nulla hanno a che fare con la storia della nostra città, come via Rostov o piazze intitolate Dmitry Donskoy, principe di Mosca nel 1300. Che cosa c’entra con Odessa?».

Peter spiega la sua visione meno tranchant, dove personaggi come Yuri Gagarin o Lev Tolstoj sono ben accetti, perché trasversali e che hanno significato molto non solo per la Russia, ma per il mondo intero. E lo stesso Puskin, che in Odessa ha composto alcune delle sue opere più famose. «Un discorso simile può essere fatto anche per personaggi dell’Urss. Per esempio Rodion Yakovlevich, che durante la Seconda guerra mondiale ha liberato la città ed è nato qui. Anche se ha servito nell’Armata rossa, la sua statua può restare», continua Peter. La guerra è stata il più grande spartiacque per un simile processo nella città, che anche secondo Peter ha una verve molto russofila rispetto a città come Leopoli o Kyiv. In un sondaggio fatto recentemente riguardante la derussificazione della città, il 44 per cento della popolazione si è detta a favore, il 36 per cento contraria e il 7 per cento vorrebbe tornare ai nomi dell’epoca sovietica. «Prima della guerra, è probabile che la gente avrebbe votato in maggioranza contro la derussificazione. Adesso odiano tutti Putin e vogliono entrare nella Nato, ma prima non era così». Il lavoro che secondo Peter bisogna svolgere è nelle menti dei cittadini di Odessa. Per questo bisogna togliere via Rostov, perché altrimenti non ci sarebbe differenza con una qualsiasi città russa, sostiene Peter. Tuttavia, nei piani del politico, la derussificazione può essere rimandata anche dopo la vittoria nella guerra: «Resta però importante pensarci adesso, così poi avremo la lista delle vie da cambiare. Di sicuro, alcune vie saranno intitolate a difensori di Mariupol o di Kherson».

Tutti però sono concordi con l’idea di derussificazione come un’arma da sfoggiare davanti agli occhi degli invasori. «Questo è il modo più pacifico che abbiamo di mostrare ai russi che non li stiamo aspettando. Vogliamo voi e la vostra storia fuori dai nostri confini», dice Artem Kartashov, avvocato impegnato in cause civili in favore della derussificazione e desovietizzazione. L’avvocato ha dovuto confrontarsi con una visione politica ancora ancorata al passato, con pesanti collegamenti con la Russia. Dal 2016, Artem ha visto l’ostracismo della politica per questo tipo di processi. Nel novembre dello stesso anno, le autorità comunali della città avrebbero dovuto rimuovere tutte le statue e monumenti legati al periodo sovietico, limitandosi però alla rimozione di due su dieci. La palla è poi passata alle autorità statali, che per conto suo è passata all’azione, che hanno dato una spinta al processo. Le autorità comunali si sono però rivoltate contro queste azioni, cercando di riportare indietro i nomi sovietici e negando le decisioni statali. «Solo con l’invasione del Paese le cose sono effettivamente cambiate. Da quel momento in poi, molti hanno iniziato a richiedere la rimozione di questi monumenti. Quello che non dobbiamo fare è però lasciarci andare alla distruzione di quei monumenti. Si tratta di storia e per questo dovrebbe stare nei musei», conclude Artem.

Per le strade della città, il clima che si respira è diverso. In prossimità di piazza 10 aprile, dove sorge l’obelisco dedicato alla liberazione della città dai nazisti, incontriamo diverse persone che non solo non sembrano ritenere questo processo una priorità, ma che non si debba neanche fare. «Sono nata a Odessa e questa è la prima guerra che vivo. Amo molto questa città. Credo che sì, sia giusto liberarsi dei monumenti sovietici, visto che il comunismo è caduto. Ma per quanto riguarda la derussificazione, è un discorso diverso. Credo che monumenti come quello dedicato a Caterina la Grande debbano restare. Sono parte della nostra storia», dice Valentina, studentessa. Altri cercano di metterla su un piano più filosofico. «Io sono nato in Russia. Sono cresciuto parlando russo. Però, da quando mi sono trasferito a Odessa, parlo ucraino», dice Constantine, «La derussificazione e desovietizzazione sono nelle nostre teste. Dobbiamo liberare le nostre menti e non le nostre strade. Accettare quello che siamo stati e andare avanti. Questa è la vita».