Cultura | Libri
I libri del 2023
Le 10 migliori letture dell'anno per la redazione di Rivista Studio.
Bret Easton Ellis, Le schegge (Einaudi)
Trad. di Giuseppe Culicchia
Nessuno credeva più nel talento di Bret Easton Ellis, soprattutto dopo Bianco, un libro che aveva irritato molti lettori e che viene considerato il punto più basso della sua produzione. Invece con Le schegge, quello che sembrava uno scrittore mitizzato ma ormai destinato a un inevitabile declino, ha dimostrato di essere ancora un grande romanziere, e anzi ha dato vita a una delle sue opere migliori. Le schegge è allo stesso tempo un romanzo letterario e di genere, come ha scritto Cristiano de Majo su Studio «mette insieme la parte più incline di Ellis al romanzo sociale e quella cinematografica, più horror o thriller» ed «è grossomodo la fusione impossibile dei due santini letterari dello scrittore: Joan Didion e Stephen King». Ambientato nel 1981, presentato da Ellis come la vera storia del suo ultimo anno di liceo, è un teen drama annaffiato di sangue e nichilismo romantico, ma anche la parola definitiva sugli anni ’80, come decennio apice dell’Occidente post-bellico. Più semplicemente, è un libro da cui si viene inghiottiti e che ci ricorda quale forza possono ancora avere i grandi romanzi.
Olga Tokarczuk, I libri di Jakub (Bompiani)
Trad. di Barbara Delfino e Ludmyla Riba
Il 13 dicembre 2023 un politico neofascista polacco è entrato in Parlamento con un estintore in mano e ha spento un Menorah che era stato acceso per celebrare Hannukah. La Polonia e il popolo ebraico hanno una storia lunga e complessa e non soltanto per le vicende più famose del Novecento. Tokarczuk porta la bussola ancora più indietro, quando la Polonia era il “paradisus judaeorum”. Jakub Frank, il protagonista di questa epopea di oltre millecento pagine di Olga Tokarczuk, fu a metà del ‘700 un autoproclamato messia ebreo nonché eretico e fondatore di una sua propria religione, o branca della religione ebraica, chiamata Frankismo. Il Frankismo andava contro tutto ciò che dice il Talmud: era una religione libertaria, oltre che libertina, senza divieti né obblighi, per farla breve. Siamo abituati a studiare a scuola le diverse eresie cristiane, ma nessuno ci ha mai parlato di quella dell’altra grande religione che ha sempre abitato l’Europa. L’epopea di Jakub è un libro straordinario perché è storia, geografia, teologia e avventura: capitolo dopo capitolo viaggiamo in un’Europa Orientale di cui, a meno di non essere accademici, conosciamo davvero pochissimo, tra le attuali Polonia e Ucraina, Romania e Turchia, seguendo carovane di mercanti e rabbini, preti e nobili cattolici. Può ricordare, per ampiezza d’esplorazione, per le meraviglie che porta a scoprire, l’effetto che ci fece Q di Luther Blisset.
Martin Amis, La storia da dentro (Einaudi)
Trad. di Gaspare Bona
Il 2023 è stato anche l’anno in cui è morto uno dei più grandi scrittori viventi: Martin Amis. Il caso ha voluto che solo un giorno dopo la sua morte, il 19 maggio, uscisse per Einaudi il suo ultimo libro non ancora tradotto La storia da dentro (in inglese Inside Story), che può essere considerato la sua vera autobiografia – nonostante di cose più o meno autobiografiche Amis ne abbia scritte parecchie – e che quindi è diventato anche il suo testamento. La storia da dentro è innanzitutto stile, che si traduce in piacere fisico provato dal lettore davanti a ogni singola pagina che lo costituisce. E poi, non secondariamente, racconto di «una vita e di vite davvero eccezionali, piene di incontri, di idee, di scontri, di scambi, di sesso, di eccessi e di tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta», come scriveva Cristiano de Majo in questa recensione. E lo dice lo stesso Amis, con la solita estrema consapevolezza che lo contraddistingue, che «la vita è priva di forma, non va da nessuna parte, non si incentra intorno a nulla, non è coerente. Artisticamente è morta». Ma è anche vero, almeno in questo caso, che «la vita finisce, mentre l’arte dura almeno un pochino di più».
Cormac McCarthy, Il passeggero (Einaudi)
Trad. di Maurizia Balmelli
Tra le morti letterarie eccellenti del 2023, oltre a quella di Martin Amis, c’è sicuramente quella di Cormac McCarthy, gigante della letteratura americana che, a novant’anni e sedici dopo La strada, ha scritto come ultima opera un dittico, uscito a qualche mese di distanza, composto da Il passeggero e Stella Maris. Secondo Francesco Longo, che lo ha recensito per Studio «per affrontare il libro – un libro tutto di scrittura e di potenza evocativa, cupo e oscuro, non certo un libro di trama – è forse utile sapere che negli ultimi anni Cormac McCarthy ha avuto l’abitudine di frequentare il Santa Fe Institute, dove fino a qualche tempo fa arrivava con il suo pick up Ford rosso scassato, un centro dove conversano tra loro premi Nobel e in cui lui è l’unico scrittore. Un club di geni che discettano soprattutto di matematica, astronomia, fisica e di massimi sistemi. È utile saperlo per prepararsi, perché ogni tanto, in questo romanzo, sbucano fuori Heisenberg, Einstein, Schopenhauer». Anche per questo sono entrambi libri “difficili”, forse i più difficili di McCarthy, richiedono impegno e dedizione, e disorientano, ma si viene ripagati «dal ritmo della scrittura che si abbatte sulle pagine come un diluvio».
Maggie Nelson, Bluets (nottetempo)
Trad. di Alessandra Castellazzi
In duecentoquaranta frammenti, di una o di venti righe, tra il 2003 e il 2006 Maggie Nelson (conosciuta soprattutto per Gli argonauti del 2015) scriveva del misterioso sentimento che la legava a un colore, il blu, e di come questa fascinazione si collegava alla fine di una storia d’amore e alla sofferenza per la malattia di un’amica. Quattordici anni dopo la sua prima pubblicazione, nel 2009, Bluets arriva nella versione italiana e si conferma un libro da studiare nei corsi di scrittura creativa per l’originalità e la fluidità con cui mescola diario, poesia in prosa e saggio. Una collezione di “cose blu” pescate dal mare della letteratura, dalla musica, dall’arte, ma anche dalla vita reale: paesaggi, visioni, ricordi. Dal Blue Movie di Andy Warhol agli azzurri di Cézanne, dalla definizione dell’azzurro di Goethe («più che animare, rende inquieti») all’acianoblepsia (incapacità di percepire l’azzurro). Ma anche oggetti, come sottolinea la traduttrice Alessandra Castellazzi nella sua introduzione: «Le “cose blu” che costellano il libro di Maggie Nelson sono cose tristi, cose sconce, cose ebbre o spesso, molto semplicemente, cose, oggetti: cartoline, bracciali, pietre, fermagli, acquerelli blu». E se desiderate delle istruzioni per l’uso ancora più approfondite per questo piccolo prezioso libro, le trovate qui.
Herbert Clyde Lewis, Gentiluomo in mare (Adelphi)
A cura di Marco Rossari
Un piccolo libro che è diventato un piccolo caso all’inizio del 2023. Trattasi di una riscoperta di Adelphi di un libro del 1937 mai tradotto in italiano, una novella uscita all’epoca con scarsissimi riscontri, scomparsa e poi ripescata a partire dagli anni Dieci di questo secolo, prima in Argentina, poi in Olanda e in Inghilterra, con un riscontro notevole e quasi beffardo, considerato che il suo autore, l’americano Herbert Clyde Lewis, inseguì per tutta la vita il successo letterario senza mai trovarlo (leggermente meglio gli andò col cinema, dove lavorò come sceneggiatore e soggettista). Beffardo è anche l’aggettivo che probabilmente descrive meglio questo libro: storia di un agente finanziario di Wall Street che, oppresso dalla routine famigliare, decide di imbarcarsi su una nave cargo fino a data da destinarsi, ma che in uno di questi viaggi inciampa in una macchia di olio e cade in mare. Per prima cosa pensa a quanto sia imbarazzante la situazione in cui si troverà quando verrà ripescato. Ma poi, pian piano, si rende conto che i suoi problemi sono ben più preoccupanti dell’imbarazzo, dovendo sperare, mentre galleggia nell’Oceano Pacifico, che prima o poi qualcuno a bordo si accorga della sua assenza e faccia tornare indietro la nave. Tutto giocato sul confronto, spesso deludentissimo, tra il senso di sé e la realtà, Gentiluomo in mare sarebbe la cura perfetta per la malattia sociale (anzi social) più dilagante della nostra epoca: la mitomania.
Coco Mellors, Cleopatra e Frankenstein (Einaudi)
Trad. di Carla Palmieri
Esploso sul BookTok (anche grazie alla bellissima copertina: se ve lo siete chiesti è un olio su lino di Gilly Button del 2019, “Haze”) il romanzo d’esordio di Coco Mellors è stato uno dei casi editoriali dell’anno, nonché il libro che più abbiamo visto fotografato a bordo piscina e sugli asciugamani quest’estate (ne avevamo scritto qui). Sul suo profilo Instagram, estremamente cool per essere quello di una scrittrice, Mellors ha annunciato di aver ottenuto la consacrazione che ormai decreta il successo di un libro di fiction: la trasformazione in serie tv, in questo caso prodotta da Warner Bros. In un articolo del Daily Mail raccontava di aver ricevuto 30 rifiuti dalle case editrici e di essere stata aiutata da due editor a sviluppare meglio la relazione tra i protagonisti perché, nella prima versione, c’era qualcosa che non funzionava. Il romanzo parla di una storia d’amore tossica e disfunzionale tra il capo di un’agenzia pubblicitaria alcolizzato e una pittrice molto più giovane di lui che smette di assumere antidepressivi. Nel suo essere sfacciatamente brillante, a volte un po’ troppo, la scrittura di Mellors è come una sigaretta elettronica alla frutta rispetto a una sigaretta vera (e per sigaretta vera intendiamo Sally Rooney): artificiale, dolcissima e, molto probabilmente, meno pericolosa (per il nostro equilibrio emotivo, in questo caso).
Aleksandar Hemon, Il mondo e tutto ciò che contiene (Crocetti editore)
Trad. di Maurizia Balmelli
«Come molti bravi autori e autrici Aleksandar Hemon ha scritto quasi sempre lo stesso libro», diceva Giulio Silvano a fine novembre su queste pagine, parlando dell’ultimo grande libro dell’autore bosniaco, «o comunque, i suoi romanzi hanno sempre girato intorno a un tema, quello del “displacement”: il dislocamento, lo sradicamento, la fuga dal Paese natio, le mescolanze culturali e i ricordi che formano un expat forzato, la sopravvivenza e il riadattamento in un luogo straniero, il ricominciare la vita dopo che la casa in cui si è cresciuti è stata abbandonata, bruciata, bombardata». Questo libro sembra tuttavia un passo ulteriore nel passato, per Hemon: perché Il mondo e tutto ciò che contiene è sì una riflessione sulla sradicamento, ma si sviluppa sullo sfondo della Prima guerra mondiale. Ancora più che quella successiva – di cui anticiperà però temi, odi e molto altro – la Prima guerra mondiale mostrò al mondo la versione più approssimata e imperfetta, poiché umana, di quella che potrebbe essere un’apocalisse divina. L’Europa, nel 1918, si sveglia dalla guerra devastata come non era mai stata. Lo spaesamento, il dolore e lo shock, ma anche la speranza, sono nel libro mostrate attraverso le gesta del protagonista Pinto, giovane farmacista nativo di Sarajevo, sognatore, amante di uomini, ozio e oppio. Che si ritrova inizialmente catapultato nelle trincee della Galizia (quella polacco-ucraina, non iberica) e verrà sbattuto poi nelle steppe sovietiche e, infine, dopo avventure dolorose e picaresche, a Shanghai alla vigilia dell’altra grande distruzione mondiale. Tenere in uno stesso recipiente il generale e il particolare come lo tiene Hemon, e cioè uno sfondo come quello del mondo in trasformazione tra le due guerre mondiali e una vicenda umana intima e ricca di speranza e di amore (e che amore: l’omosessualità negli anni Dieci del Novecento) è una combinazione affatto stabile, sicura di esplodere per le mani a moltissimi scrittori e scrittrici. Lui la sa invece amalgamare con maestria, tenerezza e umorismo.
Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel e altri scritti (La Tartaruga)
«Dovremmo rileggere tutti Carla Lonzi», scrivevamo a settembre in occasione della pubblicazione di Sputiamo su Hegel e altri scritti, il primo passo del progetto di ristampa da parte della casa editrice La Tartaruga dei testi della penna più ispirata e coraggiosa del femminismo italiano, inspiegabilmente introvabili da anni e anni (compreso il diario Taci, anzi parla). Quattro mesi dopo, alla luce di un femminicidio che ha scosso il Paese e dei tanti “not all men” con cui molti uomini hanno reagito di fronte alle lucide e coraggiose riflessioni della sorella della vittima, la lettura di Carla Lonzi appare ancora più importante. Sono testi rapidi, scritti con urgenza, facili da leggere perché composti da paragrafi brevi, istintivi, a volte di due o tre frasi. Ad esempio: «Il porsi della donna non implica una partecipazione al potere maschile, ma una messa in questione del concetto di potere. È per sventare questo possibile attentato della donna che oggi ci viene riconosciuto l’inserimento a titolo di uguaglianza». È intenso ma anche doloroso pensare che queste parole così potenti e acute da sembrare pensate per le donne di oggi, siano apparse per la prima volta nel 1970. Dimostra che troppe cose sono rimaste uguali, forse molte di più di quelle che pensavamo.
Lawrence Osborne, Java Road (Adelphi)
Trad. di Mariagrazia Gini
Di Osborne esce praticamente un libro all’anno e tutti i libri di Osborne in qualche modo si assomigliano, eppure qui a Studio continuiamo ad amare incondizionatamente lo scrittore inglese, ex critico gastronomico, ex giornalista inviato dal sud-est asiatico, che qualcuno ha saggiamente definito il figlio dell’unione impossibile tra Graham Greene e Patricia Highsmith. Java Road è una storia di intrighi e sparizioni, ambientata nella Hong Kong delle proteste. A condurla è il giornalista Adrian Gyle, un personaggio chandleriano, un po’ fallito, un po’ alcolista, che si muove tra i disordini degli studenti e l’alta borghesia filocinese, e soprattutto vaga per i ristoranti e i bar di una città che non smette mai di trasmettere la vibrazione dell’ignoto. Ecco, Osborne è il perfetto antidoto a Airbnb e overoturism di sorta: nelle sue pagine i luoghi esistono ancora e non sono stati smaterializzati da Google. È un altrove dove c’è ancora vita.