Cultura | Libri

I libri del 2024

Le migliori letture dell'anno per la redazione di Rivista Studio.

di Studio

Sally Rooney, Intermezzo (Einaudi)
Traduzione di Norman Gobetti
Il libro più atteso dell’anno non è fortunatamente stato una delusione: anzi. Nonostante l’enorme sforzo di marketing internazionale abbia fatto alzare qualche  sopracciglio ai puristi della sacralità del libro, per noi il quarto romanzo di Sally Rooney è anche il suo più riuscito. Rispetto ai tre libri che lo precedono, Intermezzo si pone su un altro piano, più ambizioso sia nel linguaggio che nei temi. Davide Coppo scriveva, su queste pagine: «Intermezzo è, in parte, un grande romanzo sulla mascolinità. Su quanto è fragile, ma non soltanto tenera e indifesa: anche violenta, e distruttiva e autodistruttiva». Un altro romanzo d’amore di Sally Rooney, quindi? Sì e no: «Più che di amore, a pensarci, si potrebbe dire che Sally Rooney scriva a partire dalle solitudini. E metta però in scena personaggi da guarire. Si celebrano, nei suoi libri e in Intermezzo soprattutto, le relazioni. Che non vincono sul vuoto, non così facilmente: ma resistono, ci provano. I personaggi tentano con tutta la forza che hanno di prendersi cura l’uno dell’altra: e non è, questo, uno degli atti più politici che ci siano?».

Deborah Levy, Autobiografia in movimento (NN Editore)
Traduzione di Gioia Guerzoni
Se c’è una scrittrice dell’anno, celebrata come nessun’altra, analizzata, letta e sponsorizzata, quella è Deborah Levy. Il merito è della sua Autobiografia in movimento, ovvero un trittico di libri che in Italia ha pubblicato NN Editore tutto nel 2024. È una trilogia autobiografica in cui, scriveva qui Fabrizio Spinelli, «l’autobiografia serve come un grimaldello per forzare una storia dell’emancipazione dell’agency femminile dalla narrativa sociale, verso un “personaggio femminile inedito”». Con Levy, nella trilogia, attraversiamo il Sudafrica dell’Apartheid, andiamo a Londra negli anni ’70, poi a Maiorca, a Parigi, a Hydra. Attraversiamo la fine di un matrimonio e la sofferenza della scrittura, l’infanzia e la maternità di Levy. «Sullo sfondo», scrive Spinelli, «come un basso continuo, troviamo delle analisi sul ruolo della donna nella società neoliberista, nella quale il femminismo dell’empowerment ha non solo rafforzato il patriarcato ma gravato le donne di ulteriori aspettative e vincoli di genere oltre ai gioghi storicamente pendenti da millenni».

Rachel Aviv, Stranieri a noi stessi (Iperborea)
Traduzione di Claudia Durastanti
Forse il primo libro-evento del 2024, nei primi mesi dell’anno abbiamo parlato moltissimo della raccolta di racconti di Aviv pubblicata da Iperborea. Così ne scriveva, nella rubrica “I libri del mese” di gennaio, Clara Mazzoleni: «Inizia con la storia dell’autrice, Rachel Aviv, che a sei anni viene ricoverata con una diagnosi di anoressia nervosa. La storia della sua misteriosa guarigione apre questa raccolta di “casi” psichiatrici, cinque persone le cui diagnosi hanno finito per impossessarsi completamente delle loro identità, tra cui Laura, promettente studentessa di Harvard che dopo anni di terapie e diciannove psicofarmaci diversi non sa più chi è senza medicine. Anni di studio, interviste e dialoghi con i protagonisti danno forma all’indagine con cui la giornalista del New Yorker esplora il bisogno che abbiamo di raccontarci nel disperato tentativo di conoscerci, nella speranza di guarire, ma con il rischio di incastrarci in una definizione che non ci corrisponde mai del tutto».

Hisham Matar, Amici di una vita (Einaudi)
Traduzione di Anna Nadotti
Il 2024 è terminato con i giornali di tutto il mondo che mostravano la gioia dei siriani per la liberazione dalla dittatura di Bashar al-Assad. Qualcuno ha scritto: il colpo di coda delle Primavere arabe, iniziate nel 2011 e che, con alterne sorti, liberarono Tunisia, Egitto, Yemen e Libia. Anche alla luce di questi eventi vale la pena leggere Amici di una vita di Hisham Matar, che Davide Coppo descriveva su Studio come «un romanzo straordinario sull’esilio e l’amicizia di tre ragazzi che diventano uomini». La storia è quella di Khaled, Mustafa, Hosam, studenti libici nella Londra degli anni ’80, coinvolti tutti in un evento che cambierà per sempre le loro vite: la repressione delle proteste anti-regime a Londra nel 1984, quando un funzionario dell’ambasciata aprì il fuoco sulla folla. «È un libro enorme, questo di Matar, perché accetta una delle sfide più ambiziose della letteratura e la vince: raccontare il processo di crescita di tre uomini dalla giovinezza all’età adulta, lo sfaldarsi lento delle loro gioie, dei loro sogni, delle vite che si immaginavano prima che quel pomeriggio le spezzasse».

Martin MacInnes, Ascensione (Sur)
Traduzione di Daniele A. Gewurz e Isabella Zani
Negli ultimi anni, per motivi evidenti, abbiamo iniziato a prendere familiarità con il concetto di “romanzo ecologico”, qualcosa tra il distopico e il fantascientifico, a seconda dei casi. Ascensione di Martin MacInness, per noi, è uno dei migliori esempi di questo filone. Lo elogiava Cristiano de Majo su queste pagine, scrivendo: «Un romanzo che parrebbe quasi di fantascienza classica nell’impianto e nei temi, ma che assorbe registri e scene dal romanzo-romanzo, alternando parti speculative e cosmiche ad altre introspettive e famigliari, e facendo tornare in mente per alcune atmosfere il Solaris di Stanislaw Lem». La voce narrante è quella di Leigh, una biologa marina coinvolta prima in una vertiginosa esplorazione di un cratere subacqueo e poi in una altrettanto vertiginosa missione spaziale, tra loro collegate. Un libro, continua de Majo, che riesce a essere al tempo stesso filosofico ed ecologico, senza essere didascalico. «Mi ha riconciliato con l’idea che la fantascienza possa essere ancora eccitante nel 2024».

Mathieu Belezi, Attaccare la terra e il sole (Feltrinelli)
Traduzione di Maria Baiocchi
Mathieu Belezi ha fatto jackpot a 70 anni di età, con una storia con echi decisamente attuali e che in Francia ha sollevato parecchie polemiche, perché è ancora troppo difficile, in Occidente, affrontare la realtà criminale del colonialismo. Attaccare la terra e il sole è ambientato tra il 1830 e il 1850, l’inizio dell’occupazione francese dell’Algeria. Un libro, scritto con una lingua evocativa e poetica, che contiene due storie parallele. La prima è quella di Séraphine e della sua famiglia che parte da Marsiglia, con centinaia di altri contadini, per raggiungere una colonia agricola e “portare la civiltà” in quelle «terre di barbarie». Troverà deserto, epidemie, fatica, e soprattutto la promessa infranta della Francia che aveva raccontato di un Eden inesistente. La seconda è quella dei soldati colonizzatori, buoni cattolici che portano la missione civilizzatrice europea sulla lama delle baionette. Assaltano villaggi e fondouk, saccheggiano e decapitano, stuprano e bruciano senza pietà. Per questo ritratto finalmente impietoso dell’impresa coloniale francese il libro di Belezi fu rifiutato da diversi editori. Per fortuna non da tutti.

Jenny Erpenbeck, Kairos (Sellerio)
Traduzione di Ada Vigliani
Ha vinto l’International Booker Prize, è stato prontamente tradotto e pubblicato da Sellerio, e per noi è uno dei migliori libri dell’anno. Kairos di Jenny Erpenbeck è la storia di una relazione amorosa tra una ragazza di 19 anni e uno scrittore ultracinquantenne a Berlino Est, alla fine degli anni Ottanta. Secondo Cristiano de Majo, che ne aveva scritto qui poche settimane fa, è «una storia d’amore che riesce al tempo stesso a essere uno specchio in cui il lettore può guardare ogni parabola sentimentale e una potentissima metafora politica». Dopotutto, abbiamo pensato, quel momento così importante della storia mondiale ed europea non è stato poi così raccontato, soprattutto non negli ultimi anni. La parte sentimentale, ovvero il motore della narrazione, è anche «una storia di manipolazione e sofferenza, raccontata da un narratore onnisciente capace di restituire i due differenti punti di vista con un’esattezza vivida».

Walter Siti, I figli sono finiti (Rizzoli)
È stato un anno ricco per la letteratura italiana e non è stato facile scegliere dei titoli tra tutti. Uno è I figli sono finiti di Siti, che ci è piaciuto per la contemporaneità che mette in scena: influencer, gossip editoriali, pandemia e lockdown – ambientato a Milano. Ne parlava Francesco Longo in questo articolo, dicendo: «Il romanzo racconta la collisione tra Augusto, vedovo con malattia cardiaca, e Astore, giovane dirimpettaio cresciuto con videogiochi e genitori infelici. Siti è attratto esclusivamente dallo squallore della vita, nel suo immaginario esistono solo la desolazione, il grigiore dell’esistenza, tutto è finto, vuoto, niente ha senso, il nichilismo ingoia tutto mentre i personaggi mandano giù minestroni già pronti e hamburger vegani». Ma è uno squallore, come sempre, scritto in modo superbo.

Lize Spit, Non ci sono (Edizioni E/O)
Traduzione di Valentina Freschi ed Elisabetta Svaluto
Le liste dei libri dell’anno arrivano apposta per le vacanze natalizie, e questo vale in particolare per Lize Spit. Clara Mazzoleni, nel consigliarlo ad aprile (qui i migliori libri del mese del 4/2024) scriveva: «Consiglio di iniziare questo libro, non brevissimo, all’inizio di un weekend o quando sapete di avere qualche giorno libero, perché credo sia impossibile leggerlo in modo equilibrato senza sprofondare nel binge-reading». Parla di una coppia di giovani fidanzati, Leo e Simon, entrambi creativi, che si sono messi insieme all’università e convivono già da dieci anni. Sono entrambi un po’ stranini, ma è normale: hanno dovuto superare tutti e due un grosso lutto. E quindi, questo loro amore, che vivono un po’ ossessivamente, è l’unico posto in cui trovano conforto e sicurezza. Fino a che qualcosa cambia, e Simon inizia a comportarsi in modo sempre più strano. «Per la sua capacità di tenerti attaccato e di generare uno stato d’ansia perenne, si potrebbe dire che Non ci sono di Lize Spit è la versione libro della serie Netflix Baby Reindeer», scrive Mazzoleni.

Neige Sinno, Triste tigre (Neri Pozza)
Traduzione di Luciana Cisbani
Caso letterario in Francia, vincitore del Premio Strega Europeo, Triste tigre è un memoir in cui Neige Sinno racconta la sua esperienza di violenza, di stupro, perpetrato per anni dal secondo marito della madre. Teresa Bellemo ne aveva parlato così: «Il modo con cui sceglie di parlarne è inaspettatamente asettico, con rimandi e citazioni letterarie, con richiami a esperienze simili, di altri casi di cronaca e di altre autrici vittime di violenze. Ecco: vittime. È questo termine che Sinno decide molto spesso di rifuggire ed è per questo che in moltissimi punti di questo libro si legge quello che potrebbe essere il punto di vista dell’aggressore, del carnefice, della tigre che poi non può che essere, anch’essa, triste». Triste tigre riesce a essere quasi una confessione senza pudori ma, allo stesso tempo, quasi senza emotività. Sinno mette in fila fatti, atti giudiziari, articoli di giornale, vita passata di lei bambina e vita più recente di lei adulta e la mischia all’orrore, alla crudeltà con un punto di vista quasi anatomopatologico.

Han Kang, Non dico addio (Adelphi)
Traduzione di Lia Iovenitti
Con una puntualità deliziosa, Adelphi ha pubblicato il quinto libro di Han Kang in Italia giusto un mese dopo l’annuncio del Nobel per la letteratura. Come in Atti umani, Non dico addio discende dalla medesima visione onirica di morte, e arriva a parlare delle stragi di civili dell’isola di Jeju e della miniera di Gyeongsan, avvenute tra il 1948 e il 1950 ai danni di oltre trentamila comunisti morti per mano della Gioventù del Nord-Ovest con l’appoggio del governo americano. Ne aveva scritto in occasione dell’uscita Arianna Giorgia Bonazzi: «In ogni caso, dire che questo libro parla di eccidi di massa non rende l’idea. È una storia di devozione amorosa tra due donne sole di mezza età, dopo vite di famiglia o carriere andate in frantumi. È una parabola di scioglimento nella natura, dove i cristalli di neve sono vere e proprie presenze pensanti, gli uccelli di bosco e i pappagalli domestici sono compagni più sensati dell’essere umano, e arrendersi all’assideramento è preferibile rispetto al ritorno in società».

Kaveh Akbar, Martire! (La nave di Teseo)
Traduzione di Chiara Spaziani
Presente in praticamente tutte le classifiche del mondo, Martire! in Italia è uscito nelle ultime settimane dell’anno ed è riuscito, almeno nel nostro caso, a trovare un suo posto tra i migliori titoli del 2024. Il motivo non è facile da spiegare, perché una sinossi regolare non basta. Proviamo: la storia è quella di Cyrus Shams, giovane iraniano-americano che vive e studia nell’Indiana, dove il padre si è trasferito (da Teheran) dopo che l’aereo su cui viaggiava la madre è stato abbattuto sul Golfo Persico da un incrociatore Usa (questo dettagli di cronaca è successo veramente). Cyrus ha una fascinazione particolare: quella del martirio inteso come sacrificio estremo per il bene degli altri. Vuole scriverci un libro: su Giovanna D’Arco, su Bobby Sands e altri martiri. Ma Kaveh Akbar ci porta, di capitolo in capitolo, nella vita del padre migrato, della madre nella Teheran degli anni ’80, dello zio traumatizzato dalla guerra tra Iraq e Iran, di un’artista anche lei iraniana che mette in scena gli ultimi giorni della propria vita in un museo a New York. «Il miglior romanzo che abbia mai letto sulla gioia del linguaggio, della dipendenza, della migrazione, del martirio, dell’appartenenza, della nostalgia di casa», ha detto Lauren Groff.

Antonio Franchini, Il fuoco che ti porti dentro (Marsilio)
Uno degli incipit migliori della letteratura italiana recente, partiamo da qui: «Benché da molti sia considerata una bella donna, mia madre puzza». Il fuoco che ti porti dentro di Antonio Franchini è un libro “incredibile”, nel senso più proprio del termine, perché per molti non è ammissibile l’operazione che mette in scena. E cioè: Franchini demolisce sua madre, la sua funzione e il ruolo. Ne scriveva su queste pagine Arnaldo Greco, e diceva: «Antonio Franchini si rende perfettamente conto che la cosa più salutare per lui sarebbe recidere il cordone, ma non riesce a farlo. E allora tenta questa indagine per provare quantomeno a capire come si è arrivati a tanto disprezzo, un sentimento che giudica giustamente anche peggiore dell’odio». Un’indagine che riesce a essere irriverente e molto, molto divertente.

Manu Larcenet, La strada (Coconino)
Traduzione di Emmanuelle Caillat
Una quota un po’ diversa, questa, perché parliamo di un fumetto e perché il fumetto è l’adattamento di un altro libro – l’omonimo di Cormac McCarthy. Cosa c’è di tanto straordinario nell’ultima opera di Larcenet? Lo spiegava Gianmaria Tammaro qui, dicendo: «Inizia con una carrellata di vignette piene, ricche di sfumature, chiaroscuri e polvere. Riempie il cielo, la terra; nasconde alla vista qualunque cosa, finché non si concentra su un uomo steso su un fianco, ricoperto da un telone tirato. Quando si volta e si mette a sedere, vediamo che non è da solo, con lui c’è un bambino, e per tutto il resto del racconto quel bambino non sarà solamente uno dei personaggi principali, ma una bussola morale con cui orientarsi». «Il linguaggio del fumetto, quando viene usato così», continua Tammaro, «quando viene portato all’estremo della sua sintesi e della sua potenza visiva, ha la capacità di tenere insieme sia l’intenzione dell’autore che l’immaginazione del lettore, e le fa coincide, le accavalla e le amalgama insieme».