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Intermezzo è il miglior romanzo di Sally Rooney

Un grande libro sul futuro delle relazioni sentimentali e la mascolinità. Il più complesso e ambizioso della sua carriera.

di Davide Coppo

C’è la tendenza a considerare la letteratura di Sally Rooney, quattro romanzi finora con questo Intermezzo come ultima tappa, come una sola grande opera. Questo ha motivazioni e conseguenze positive, e ha motivazioni e conseguenze più negative. Dal lato positivo è evidente che testimonia una coerenza di fondo, che potremmo anche chiamare poetica: i libri (e il racconto Mr Salary, pure) si parlano tra loro nei temi, hanno in comune l’ambientazione irlandese, spesso l’età delle protagoniste, condividono talvolta anche i difetti più dibattuti (sono romanzi molto bianchi). Dall’altro, lato, quello negativo, è un atteggiamento che porta con sé, mi sembra, la percezione che questi quattro romanzi, ognuno con una sua personalità, ognuno peculiare, siano in realtà un grande romance a puntate, un feuilleton o una saga di genere: e questo ha l’effetto, deleterio, di sminuire il talento di quella che con Intermezzo si dimostra, senza esagerare nemmeno un po’, una delle più talentuose e sensibili scrittrici al mondo. Questo porta i lettori (pochi) e le lettrici (tante) a prestarsi inconsapevolmente a questo gioco nel ragionare sulla domanda: qual è il tuo libro preferito di Sally Rooney?

Rispetto ai tre libri che lo precedono, Intermezzo si pone su un altro piano: diverso, superiore? Sì, direi: evoluto. Ma intanto, la diversità: quella principale è che Intermezzo è un libro in cui le due voci protagoniste, per la prima volta, sono maschili. Questo è in realtà anche uno dei motivi per cui il romanzo è così riuscito. Non, naturalmente, per merito delle voci maschili in sé, che non hanno un valore intrinseco. Ma per la maestria con cui Rooney mette in scena le loro fragilità. Intermezzo è una storia che parte dal dolore: Peter, un avvocato di 32 anni, e il fratello Ivan, un fenomeno degli scacchi di dieci più giovane, devono capire come gestire le loro vite dopo la morte del padre. Ivan e Peter sono caratteri opposti: il primo è timido, solitario, impacciato nelle cose della vita; l’altro è spigliato, di successo, con un’ampia dotazione di scintillanti valori etici, amicizie, donne. Non è davvero così, sotto la superficie: Peter è in realtà incastrato, con molta infelicità, tra Sylvia, l’ex ragazza che l’ha lasciato dopo aver subìto un incidente che l’ha resa invalida, e Naomi, 23enne studentessa e squatter piena di problemi e di energia. Ivan ci sembra invece un incel, ma l’incontro a un evento scacchistico con Margaret, una donna di 36 anni che sta attraversando la complessa fine di un matrimonio con un uomo violento e alcolista, aprirà a poco a poco i suoi sentimenti alla sperimentazione della felicità, e alla conseguente paura di poterla perdere.

Cinque personaggi, tutti di primo piano. Non più coppie, ma un intreccio che si compone ogni volta di forme nuove: Ivan conosce Sylvia, Naomi conoscerà Ivan, Sylvia incontrerà Naomi, Peter si imbatterà in Margaret. A guidare il motore della trama rimangono tuttavia Peter e Ivan, che sono anche gli unici personaggi ad avere una voce interiore. Tra di loro, un oceano di incomunicabilità, di amore non detto, di odio e fastidio detto fin troppo, di dolore per la perdita. Lo stile è decisamente più complesso che nei libri precedenti, il ricorso al flusso di coscienza è abbondante. Quello di Ivan tende al controllo ossessivo di ciò che lo circonda, all’analisi maniacale. Quello di Peter, spezzettato e sì joyciano, ha anche l’esatta forma verbale del pensiero ansioso, fatto di frammenti che fluttuano, confusi, in uno stato di urgenza senza soluzione.

Intermezzo è, in parte, un grande romanzo sulla mascolinità. Su quanto è fragile, ma non soltanto tenera e indifesa: anche violenta, e distruttiva e autodistruttiva. Nessuna compassione o giustificazione: le manipolazioni di Peter e la misoginia di Ivan sono tutte in vista sulla pagina, come lo sono le loro paure non confessate, i loro istinti autodistruttivi. Lo sono i pregiudizi con cui loro in primis devono fare i conti: quelli sulla differenza di età in una relazione, quelli sulla monogamia. Sono Naomi, Sylvia e Margaret che riescono, pazientemente, a guidarli attraverso il dolore della perdita, fuori dall’intermezzo delle loro vite.

Un altro romanzo d’amore di Sally Rooney, quindi? Certo che no. O meglio, sì. E in che senso, d’amore? Non è “solo” amore, ma è l’amore a non essere mai soltanto amore. Come nei romanzi precedenti, c’è traccia ovunque di quanto Rooney sia una scrittrice politica: Peter si occupa di diritti umani, Naomi occupa case vuote perché non può permettersi un affitto in una Dublino sempre più invivibile, e viene sgomberata con violenza. Ivan fatica con le fatture arretrate, con il suo odio verso il genere femminile; Margaret vive nella paura per il giudizio morale sulla fine del suo matrimonio, e ancora di più per lo stalking dell’ex marito alcolista. Esattamente come, nei libri precedenti, era politico il rapporto tra il magazziniere Felix e la ricca scrittrice Alice; tra la benestante Marianne e il proletario Connell, la cui madre si prendeva cura dell’ordine e della pulizia della grande casa di lei.

Sul New York Times Dwight Garner ha scritto che le due critiche principali che si fanno a Intermezzo sono che è «overlong and undercooked», troppo lungo e poco cotto. Al contrario, credo che il ritmo si mantenga alto per tutte le 400 pagine grazie ai movimenti di tutte e cinque le figure che si alternano sulle pagine, con l’occasionale comparsa della madre dei fratelli, del cane Alexei, del ricordo del padre. Le loro storie non scorrono parallele ma si incrociano, come detto, e in modi anche inaspettati. Troppo? È un romanzo con molti più colpi di scena rispetto a quanto Rooney ci abbia abituati in precedenza. Parlando con amiche (e con pochissimi amici) di Intermezzo, anche questo, ho avvertito, potrebbe essere percepito come un difetto. Non lo penso: ma la scarsa reputazione di cui negli ultimi anni gode la sospensione dell’incredulità è forse da imputare al proliferare invasivo dello strumento del memoir o dell’elemento autobiografico. Rooney ha sempre negato – e l’ha fatto anche alla vigilia dell’uscita di Intermezzo – che nei suoi libri ci fosse qualsiasi traccia della sua vita privata. Chissà che questa fedeltà alla fiction che frustra qualsiasi ricerca del trauma personale non sia in parte responsabile della scarsa considerazione di cui Rooney gode presso una certa parte di pubblico (prettamente maschile) che la ritiene, con il più ingiusto dei pregiudizi, autrice di romanzetti sentimentali. Ancora in Intermezzo Rooney mostra invece una tecnica fenomenale: nell’unire l’universale di temi così larghi da essere esistenziali all’attenzione maniacale al particolare, ai dettagli, agli sguardi, alla luce, ai movimenti, ai sospiri. Che significa poi mettere un’attenzione maniacale al vivere nel mondo, al saperlo guardare.

Non è soltanto l’amore di natura sessuale-sentimentale a essere al centro di Intermezzo. Guardiamola da questo punto di vista: viviamo in società che tendono – attraverso l’organizzazione del lavoro, il modo di fare e subire la politica, l’esistenza dei social network, la scomparsa degli spazi pubblici, la privatizzazione dell’intrattenimento, la gamification di ogni esperienza – ad aumentare l’individualismo e l’alienazione, esasperare la competitività, alienare i sentimenti. Più che di amore, a pensarci, si potrebbe dire che Sally Rooney scriva a partire dalle solitudini. E metta però in scena personaggi da guarire. Si celebrano, nei suoi libri e in Intermezzo soprattutto, le relazioni. Che non vincono sul vuoto, non così facilmente: ma resistono, ci provano. I personaggi tentano con tutta la forza che hanno di prendersi cura l’uno dell’altra: e non è, questo, uno degli atti più politici che ci siano?

Spesso ci dimentichiamo di quanta importanza nelle nostre vite ha l’amore. Non solo l’atto di amare, ma le conseguenze che ha l’essere amati. O di non esserlo. Non solo dai partner: dalla famiglia, dagli amici. Il tessuto sociale del mondo in cui ci troviamo a muoverci è fatto di una rete di relazioni e di sistemi famigliari. Non per forza famiglie da intendersi in senso tradizionale, ma unità di individui, mattoni di comunità. Da decenni, questo tessuto sta cambiando forma, si agita per evolversi. È difficile per tutti immaginare cosa diventerà, e questo crea tensioni, sofferenza, conflitti. Rooney, in Intermezzo, prova a immaginare quali potranno essere le nuove forme.