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00:27 martedì 15 luglio 2025
L’annuncio dell’arrivo a Venezia di Emily in Paris lo ha dato Luca Zaia Il Presidente della Regione Veneto ha bruciato Netflix sul tempo con un post su Instagram, confermando che “Emily in Venice” verrà girato ad agosto in Laguna.
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I Talebani hanno fatto un assurdo video promozionale per invitare i turisti americani a fare le vacanze in Afghanistan Il video con la sua surreale ironia su ostaggi rapiti e kalashnikov, mira a proporre il paese come meta di un “turismo avventuroso”.
Justin Bieber ha pubblicato un nuovo album senza dire niente a nessuno Si intitola Swag e arriva, a sorpresa, quattro anni dopo il suo ultimo disco, anni segnati da scandali e momenti difficili.
Damon Albarn ha ammesso che la guerra del Britpop alla fine l’hanno vinta gli Oasis Il frontman dei Blur concede la vittoria agli storici rivali ai fratelli Gallagher nell’estate della loro reunion.
La nuova stagione di Scrubs si farà e ci sarà anche la reunion del cast originale Se ne parlava da tempo ma ora è ufficiale: nuova stagione in produzione, con il ritorno del trio di protagonisti.

La Strada di Manu Larcenet è l’adattamento perfetto del capolavoro di Cormac McCarthy

Il fumettista francese è riuscito in un'impresa in cui solo i fratelli Coen erano riusciti fin qui con Non è un paese per vecchi: adattare un romanzo di McCarthy e, per certi aspetti, persino migliorarlo.

23 Aprile 2024

In ogni fumetto che ha fatto, Manu Larcenet ha sempre dimostrato di avere una grande attenzione per i dettagli e per le piccole cose. Guarda le sagome degli oggetti, le inserisce all’interno dello spazio, nelle vignette, e le usa per costruire ombre e tagli particolari di luci. Poi ci sono le persone, e quelle sono ancora più importanti, perché a seconda delle loro espressioni e del modo in cui stanno in piedi o sedute restituiscono un’idea particolare di movimento o di fissità. Ne La Strada, pubblicato da Coconino Press e basato sull’omonimo romanzo di Cormac McCarthy, Larcenet riesce, se possibile, a superarsi. Inizia con una carrellata di vignette piene, ricche di sfumature, chiaroscuri e polvere. Riempie il cielo, la terra; nasconde alla vista qualunque cosa, finché non si concentra su un uomo steso su un fianco, ricoperto da un telone tirato. Quando si volta e si mette a sedere, vediamo che non è da solo, con lui c’è un bambino, e per tutto il resto del racconto quel bambino non sarà solamente uno dei personaggi principali, ma una bussola morale con cui orientarsi.

Raccontare l’amore o l’amicizia è tutto sommato semplice: ci sono parole, gesti, anche omissioni che ci dicono se due persone si vogliono bene o se si conoscono. Basta poco, talvolta pochissimo, per rendersene conto. L’affetto passa dalla pressione che le dita esercitano, dalle linee che si fanno più spesse o più sottili. L’odio, invece, è un paio di sopracciglia inarcate e un argh! stretto nei contorni di un balloon. Ma rappresentare la fine, dandole una coerenza mai didascalica e asfissiante, non è difficile: è un salto nel vuoto. A volte riesce, altre volte no e le tavole si trasformano in testacoda infiniti, rompicapi di punte che s’incastrano tra altre punte e frasi che sono buttate lì, che ci suggeriscono qualcosa, ma non vanno a fondo. Non ci sono certezze, e non c’è un modo più o meno giusto di parlarne, di disegnarla e di darle una sua voce.

Ne La Strada la fine coincide con il vuoto delle strade, con i cadaveri mummificati, con quelli appesi ai cavalcavia; la fine è la voce del bambino che ripete di avere freddo, sono gli occhi di suo padre che si sgranano mentre lo guarda e la solennità delle battute che si scambiano. «Cosa faresti se io morissi?», chiede il bambino. «Se tu morissi – gli risponde l’uomo – morirei anche io». Per stare con me?, chiede ancora il bambino. «Mmh», mugugna l’uomo. In queste parole non c’è nessuna forma di retorica, nessun pressapochismo narrativo; c’è la verità di un padre che vuole bene a suo figlio, di qualcuno che non vede altro motivo per andare avanti se non la persona che ha di fronte e con cui condivide le giornate e il poco cibo che ha.

L’uomo è il passato: malato, stanco, barbuto. Il bambino è il futuro, e brilla come la luce. Il mondo è bruciato, non esiste più. Il mondo è un posto pericoloso, vuoto, freddo. O caldissimo. Dipende dai momenti. Dipende dal vento. L’uomo stringe a sé il bambino mentre dorme, e lo fissa con gli occhi spalancati, come se non potesse vedere altro. L’unica cosa che lo tiene ancora in vita è lui, quel bambino, che gli parla con un’innocenza e una saggezza antiche, potentissime, che piange quando capisce di non poter fare niente per aiutare gli altri.

Larcenet si infila in questa umanità tormentata, prossima alla fine, costretta verso il sud del mondo e un mare che in realtà è un oceano spumoso e agitato; e ne esce fuori con i suoi disegni e con l’essenzialità della sua sceneggiatura. Questo è McCarthy, è evidente: la stessa solennità, la stessa crudezza. Ma è pure Larcenet: i suoi nasi, le sue dita; le sagome non storte, ma nodose come alberi. All’inizio le pagine sono nere, intense come l’inchiostro. Poi cominciano a sfumare e arrivano a una tonalità quasi seppia. Interviene un blu sottile, soffuso, avvolgente. Il racconto viene come sospeso, e noi siamo nuovamente invitati a guardare le pagine, a sfogliarle, a prestare attenzione alle cose più piccole. Un fuoco da campo che arde e scotta il fondo di un padellino; la goccia in bilico sulla bocca di un rubinetto; una manciata di pasta secca; una lattina aperta. È un’abbondanza insperata che a un certo punto della storia dà tregua alle sofferenze dei due protagonisti, e che soprattutto dà tregua a noi e ci dà modo di respirare, di riprenderci, di credere che oltre alla fine, a questa fine maledetta, ci sia altro.

Prima di ritornare al nero intenso dell’inizio, Larcenet ci lascia con un taglio basso completamente bianco. Non ci sono i contorni della vignetta, e non c’è nemmeno un accenno di sagoma. È il lutto che prova a prendere forma, ma che una forma vera non la trova. E allora è bianco. Ed è talmente straziante, talmente intenso, che annulla tutto il resto proprio come farebbe la luce del sole. E in questa contraddizione, nel bianco che si fa portatore di dolore, Larcenet traccia anche un confine tra incoscienza, infanzia ed età adulta. In un mondo prossimo al collasso, tra sette, mostri e cannibali, tra processioni senza senso di uomini mutilati, la speranza, che c’è e c’è sempre, ha la schiettezza di un bambino che si è fatto uomo e che negli altri non cerca rassicurazioni, ma compagni, qualcuno con cui potersi confrontare e resistere.

Il linguaggio del fumetto, quando viene usato così, quando viene portato all’estremo della sua sintesi e della sua potenza visiva, ha la capacità di tenere insieme sia l’intenzione dell’autore che l’immaginazione del lettore, e le fa coincide, le accavalla e le amalgama insieme. La Strada parla del futuro, di ciò che probabilmente ci aspetta. E parla di un padre e di un figlio, del bene che si vogliono e delle piccole cose che spesso ci possono far sentire di nuovo a casa, anche se una casa non l’abbiamo mai avuta e non sappiamo come sia.

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