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La politica su TikTok

Sul social dei più giovani sono sempre più popolari i contenuti che parlano di riscaldamento globale, bullismo, body shaming e politica internazionale.

di Arianna Giorgia Bonazzi

Feroza Aziz, la sedicenne americana bandita da TikTok (e poi riammessa) per aver parlato dei campi cinesi per i musulmani Uiguri durante un tutorial make-up

Nell’ultimo anno, per lavoro, ho intervistato diversi ragazzini di Milano, di scuole cittadine o periferiche, licei o istituti tecnici, ripetenti o immigrati, ragazze velate o madrelingua cinesi, sul modo in cui si informavano e se si informavano. Non sempre la risposta era positiva, e non sempre le fonti d’informazione, anche dei più interessati, corrispondevano ai metodi tradizionali che associamo all’idea di informarsi. Un tutorial di Fanpage, fatto con schemini ed evidenziatori da un’immigrata di seconda generazione coi capelli blu, per dire, è stata la fonte da cui alcuni di questi ragazzi hanno appreso cos’erano il Kurdistan e i curdi durante la recente invasione turca; mentre una ragazza sveglia di origine egiziana, che aveva fatto le elementari a Milano e le medie in Egitto durante la primavera araba, mi ha detto che lei per informarsi segue alcuni account Instagram, come quello di Martina Cera, che ha reso social le rotte dei migranti e le storie dei richiedenti asilo, o l’economia for dummies di Imen Boulahrajane, definita un vero punto di riferimento per chi fatica a leggere il giornale.

Negli stessi mesi, ho anche stilato su Excel lunghe liste di YouTuber, e passato in rassegna i video impegnati che alcuni di loro si prestavano a produrre per conto delle Ong (Sofia Viscardi, ad esempio, è autrice del quasi commovente Che cosa significa noi per Medici senza Frontiere, mentre i The Jackal ormai ogni anno sfornano dei capolavori del genere per Action Aid). Soprattutto, sempre nell’ambito di questa folle indagine, ho scaricato TikTok, il potentissimo social cinese per ragazzini che precedentemente aveva assorbito Musical.ly, e ho permesso a mia figlia, di quasi dieci anni, di usarlo cinque minuti al giorno, per poi farmi riassumere come funzionava, a cosa serviva, cosa ci si poteva fare. Il secondo giorno, le ho fatto una domanda: perché si chiama così, secondo te? La risposta è stata: beh, tic toc, tic toc, mimando la lancetta. Sì, aveva colto subito la velocità di questo mezzo, dove, per impressionare le persone e farti seguire, con un balletto, una battuta o un trucco di magia, hai 15 secondi (o, al massimo, 60). Sono anni che sento dire, con un certo fastidio, che i giovani non riescono più a entrare in profondità delle cose, e se rimango tutt’ora in disaccordo con questo pregiudizio, ho però la sensazione reale che oggi abbiamo molto meno tempo a disposizione per spiegare ai ragazzi una cosa qualsiasi.

Una decina di anni fa, ho lavorato a un progetto editoriale per ridurre alcuni romanzi classici alla portata dei nativi digitali. Una delle regole imposte agli autori coinvolti era quella di mantenere capitoli leggibili in cinque minuti e periodi molto brevi: Umberto Eco, riscrivendo I promessi sposi, si era ribellato all’eresia e aveva deciso di mantenere un’ardita ipotassi. Non gli diedi torto, ma oggi, a forza di guardare questo social per ragazzini, mentre un sacco di altre notifiche e aggiornamenti mi tempestano il cervello, sento di avere anch’io meno tempo da dedicare all’assimilazione di ogni novità, e mi sembra che in 15 secondi o in 60 si possa o si debba davvero tentare di arrivare da qualche parte. Così, mentre Instagram cerca di rinnovarsi smettendo di contare i like, e Facebook viene disertato in massa da sedicenni imbarazzati all’idea di incontrare i genitori che postano le loro serate, TikTok, il social inizialmente musicale, dove condividere balletti o lip sync frivoli, usando una quantità di effetti stupidi e irresistibili, inizia a far intravedere le possibilità di essere usato in un modo diverso.

Gli esponenti della generazione Fridays for Future, con tutti quei mondi disegnati addosso e le strisce verdi da combattimento sulle guance, così carini sotto gli zaini pesanti mentre si dirigono a manifestare, e così stronzi quando a casa non spengono le luci, hanno pensato a modi diversi di usare tutte quelle colonne sonore e quegli effettini. Negli Stati Uniti, uno dei primi trend era stato quello dei riassunti degli argomenti di studio in 60 secondi, il nuovo modo dei secchioni di rendersi meno odiosi attraverso una condivisione di massa del loro sapere. Ma di recente, TikTok sta diventando sempre più politico. Il caso eclatante è stato quello della teenager americana Feroza Aziz che nel bel mezzo di un tutorial per girarsi le ciglia, se ne usciva così: «E ora puoi usare il telefonino per informarti su quello che i cinesi stanno facendo alla minoranza dei musulmani Uiguri, chiudendoli in campi di concentramento e di detenzione forzata». La ragazzina è stata bannata dal social, che poi l’ha riammessa e si è scusato, sostenendo che il suo profilo era stato oscurato per motivi diversi dal suo ultimo post, e in particolare per un video sciocco di uomini attraenti in cui era montata una foto di Osama bin Laden.

Quello di Aziz è stato un caso unico, ma non isolato. Infatti, è interessante che su TikTok si creino e inizino a diffondersi nel giro di pochi giorni dei veri e propri format, destinati a moltiplicarsi e diventare virali. I primi format che ho visto usando il profilo di mia figlia, che segue solo suoi coetanei, riguardavano semplici trucchi d’illusionismo per fare sparire oggetti, realizzati col montaggio, o giochi sul destino, per cui il protagonista del video lancia pennarelli in un portapenne, facendo domande sul suo futuro, e se il pennarello entra la risposta è sì. In Italia, sempre aderendo a un format, e nello specifico quello di porsi delle domande e rispondere con dei sì o dei no, i ragazzini hanno cominciato a fare confessioni di bullismo e body shaming. Negli Stati Uniti, invece, avviene qualcosa di più. I video sul clima hanno iniziato a girare. Utilizzando gli effetti sui volti che un tempo erano appannaggio di app specifiche, come Banuba (ovvero rughe, capelli arcobaleno, fuoco o ghiaccio che esce dalla bocca, make-up, rasta) e il montaggio, reso semplicissimo dalla app, diversi TikToker si sono mostrati invecchiare velocemente, mentre gli anni sotto scorrevano fino al 3000, e le loro immagini smagrivano e le bocche sputavano guanti di lattice o pezzi di plastica, con sottofondi musicali angoscianti.

Oltre a usare TikTok per campagne sul riscaldamento globale, o per lanciare uno sciopero studentesco, i giovani americani stanno usando la piattaforma per parlare di ingiustizie storiche: ad esempio, un balletto su una base rap di Lil Keed che inscena diverse fasi della colonizzazione europea in Africa è stato “likato” mezzo milione di volte. Un altro filone è stato quello delle sparatorie nelle scuole americane: un utente, senza aver troppo pianificato il post, ha caricato un video in cui ballava allegramente e faceva shopping online per il back to school, comprando abiti antiproiettile sulle note del pezzo “Bulletproof”. Invece, “Paper Planes” di M.I.A., ha fatto da colonna sonora a un video in cui uno studente americano e uno inglese avevano reazioni diverse agli spari che si sentono durante il pezzo.

Per come vanno in fretta le cose, può essere che i giovani presto abbandonino anche TikTok sciamando su un altro social che ancor meglio metta insieme il meglio di tutti gli altri, oppure può essere che questo social vada tenuto d’occhio come nuova forma di comunicare ai giovani e soprattutto di capirli. Ho intervistato ragazzini contrari agli scioperi, che consumavano fieramente tonnellate di bottigliette di plastica, ma ho anche assistito a letture dell’Antigone di Ali Smith ai ragazzini di cinque anni. E sono convinta che se Safran Foer avesse 15 anni e potesse spiegare in 60 secondi a un ragazzino quello dice in Possiamo salvare il mondo prima di cena, saremmo un passo più vicini al pubblico più difficile e più importante del nostro tempo.