Attualità | Società

Chi sono i nuovi ambientalisti (e perché fanno bene)

Il movimento ispirato a Greta Thunberg è variegato e complesso: abbiamo intervistato i ragazzi che vi aderiscono per capirne di più.

di Simone Torricini

Prime immagini dal #GlobalStrikeForFuture di venerdì 15 marzo: qui Hong Kong. Foto di ANTHONY WALLACE/AFP/Getty Images

In 1693 città di 106 paesi, oggi, studenti delle età più disparate da tutto il mondo scioperano contro i disagi provocati dal cambiamento climatico, in aperta contestazione verso l’immobilismo di una certa politica su un tema che per sua stessa essenza sta a cuore prima di tutto a chi, nel futuro, dovrà viverci. Il movimento, etichettato come Fridays For Future, è frutto dello spirito di iniziativa di Greta Thunberg, la sedicenne svedese che lo scorso agosto ha scioperato da scuola per due settimane consecutive piazzandosi di fronte alla sede del Parlamento con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul climate change. Il suo volto ha avuto una risonanza mediatica straordinaria (è stata invitata alla COP24 di Katowice e al World Economic Forum di Davos) e ha fatto da detonatore a una fittissima rete di piccole organizzazioni locali, nella maggior parte studentesche, che hanno raccolto il messaggio e in pochi mesi si sono mobilitate fino a fissare nella giornata di oggi il #GlobalStrikeForFuture.

«Greta è vista da tutti come una fonte di ispirazione, è il nostro stendardo», racconta a Studio Luca Polidori, che di anni ne ha ventidue e da Bruxelles – dove vive – ha contribuito alla versione italiana del movimento nelle sue fasi iniziali. «Ha risvegliato tante persone che non si sentivano rappresentate da nessuno, con un messaggio che ha avuto grande impatto soprattutto per la sua genuinità. Ha fatto e fa da catalizzatore di una generazione che si sta attivando». A Bruxelles, mentre Greta teneva il suo discorso a Katowice, avevano aderito già in diverse decine di migliaia. «In Italia invece si era ancora alla fase embrionale, così mi sono attivato per dare una mano. La politica si preoccupa soltanto delle sfide dell’oggi, noi vogliamo invece che inizi a prendere decisioni oggi per il futuro». Fridays For Future, in Italia come nel resto d’Europa, nasce come movimento apartitico e vuole rimanere tale, spiega Polidori. «Non ci passa neanche per la testa di andare alle elezioni: il nostro obiettivo è un altro, è far capire che non voteremo per nessuno che non tratterà queste tematiche qui». Una natura che per certi versi assume persino connotati di anti-politica: invitati ad assistere ad una seduta del Parlamento Europeo, circa sessanta membri di FFF provenienti da diciotto paesi si sono esibiti in un flash-mob direttamente dalle aule per rimarcare la necessità della loro mobilitazione, fino a quando gli addetti alla sicurezza non li hanno interrotti. Tra i rappresentanti del gruppo italiano partiti per Strasburgo – rigorosamente in treno – c’era anche David Wicker, studente piemontese di appena quattordici anni: «Sciando in Val di Susa ogni inverno noto che la quantità di neve diminuisce sempre, la temperatura è sempre più alta, sta diventando insopportabile», spiega. «A Torino si suda durante gli scioperi, stiamo in maniche corte e non è una cosa normale. Ora che c’è questa onda giovane non posso tirarmi indietro».

Una delle manifestazioni #FridaysforFuture a Berlino, 25 gennaio 2019. Foto di Omer Messinger/Getty Images

La partecipazione alla seduta (tenutasi mercoledì 13 marzo) non ha soddisfatto i giovani, delusi in particolare dalla scarsa affluenza in aula. «Abbiamo notato più partecipazione da sinistra, dai Verdi e dai Socialdemocratici, da quella parte sono interessati maggiormente a questa emergenza, ma in generale i parlamentari erano davvero pochissimi», dice David, che oggi sciopera a Torino ed ha il supporto di un professore in particolare, quello di fisica, amico stretto del climatologo Luca Mercalli. «È una mobilitazione molto attesa, sarebbe dovuta avvenire molti anni fa», spiega con tono severo proprio Mercalli durante una telefonata con Studio. «I giovani sono stati molto distratti e indifferenti negli ultimi anni, finalmente a forza di parlare di questi temi siamo riusciti a suscitare interesse». Mercalli, che in questi mesi in particolare è diventato uno dei massimi punti di riferimento del movimento ecologista, ha tenuto oltre duemila conferenze in ventinove anni di divulgazione scientifica, e sottolinea come oggi quello del climate change sia un tema dalla portata assolutamente inedita: «Ci troviamo in un periodo geologico, l’antropocene, che non ha paragoni con il passato, e per affrontarlo serve prendere coscienza di un aspetto filosofico fondamentale: dobbiamo capire che il nostro mondo ha dei limiti. Non possiamo permetterci di rincorrere una crescita infinita: non è sostenibile».

I giovani che hanno aderito a FFF sono perlopiù fiduciosi: «Se così tante città aderiscono significa che qualche lampadina nella gente si è accesa», dice Andrea Ascari, ventotto anni e una libera professione alle spalle da pochi mesi. Attivo a Milano, è stato tra i primi ad incentivare l’estensione dello sciopero studentesco da un’ora all’intera mattinata. «Tre anni fa ho venduto la macchina e da allora mi muovo solo in treno e bici, ho un vero e proprio odio verso le automobili». E aggiunge: «Bisogna andare ad agire sulle cattive abitudini, del tipo che la gente prende l’auto anche per andare a comprare il pane a cento metri da casa». Secondo le sue previsioni della vigilia il numero dei manifestanti a Milano dovrebbe essere compreso tra le cinquemila e le diecimila unità; cifre simili a quelle che Luca, ventenne universitario che preferisce rimanere anonimo, ipotizza riguardo Roma. «Dobbiamo combattere le cause del cambiamento climatico, ma anche riadattare il nostro stile di vita in modo da limitare i gravi danni che sono già stati fatti», dice Luca, che nel boom di adesioni a Fridays For Future riconosce il ruolo determinante giocato dai media: «È fondamentale che le persone vengano informate su quello che succede perché possano farsi una coscienza, e a questo tema la stampa ha dedicato grande attenzione negli ultimi mesi». Come dargli torto, in effetti. Sia su scala globale (Guardian, The Nation, CNN, Bbc) sia in Italia (Repubblica, Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano) a Fridays For Future è stata dedicata una copertura mediatica davvero considerevole e il numero di simpatizzanti e sostenitori, soprattutto nelle città europee, è cresciuto in maniera esponenziale.

Una studentessa in piazza durante una manifestazione #FridaysforFuture dello scorso 15 febbraio a Londra. Foto di Leon Neal/Getty Images

La chiamata a raccolta degli studenti in vista dello sciopero di oggi si è progressivamente allargata ad altre fasce della società, compresi i partiti e le associazioni dalle quali FFF prende generalmente le distanze. Lo ha confermato a Studio Paolo Brunori, economista della Cesare Alfieri di Firenze e membro dei Verdi: «Loro (i global strikers, nda) giustamente non vogliono essere strumentalizzati, e noi siamo sempre molto attenti a non essere invadenti». Nella maggior parte delle città ai partiti è stato chiesto espressamente di evitare di scendere in piazza con i propri simboli, ma è evidente che per i Verdi FFF costituisca comunque una spinta incoraggiante: «Speriamo che questa energia ci contamini e ci renda più adatti ad incidere sul processo decisionale della politica», dice Brunori, che prima ancora rifletteva in senso più ampio sulla mobilitazione. «Ci sono tre aspetti interessanti: il primo è il fatto che la miccia d’innesco sia stata una ragazzina con una personalità molto particolare (a Greta è stata diagnosticata la sindrome di Asperger, nda). Quando si è iniziato a parlare di lei ho provato dispiacere, perché spesso figure come queste vengono strumentalizzate, ma devo riconoscere che è stata molto potente».

Secondo Brunori, in secondo luogo, viviamo in una fase di disillusione ideologica nella quale il pensiero ecologista si candida a diventare la soluzione dopo le ubriacature della seconda metà del Novecento: quella pianificatrice degli anni post-guerra e quella neoliberista degli anni Settanta/Ottanta/Novanta. «Oggi ci sono due pensieri concorrenti: uno è quello populista, che cerca soluzioni facili a problemi complessi e alimenta il suo consenso sulla base di presunte scorciatoie, l’altro è quello ecologista, per cui l’uomo deve stare in equilibrio sulla terra nel rispetto della natura e delle sue diversità». Sono due sistemi contrapposti, spiega: «Le persone possono credere che uscendo dall’Euro e stampando moneta staremo tutti bene, oppure che sia necessaria una transizione ecologica, un nuovo modo di vivere sul pianeta». Il terzo punto sollevato da Brunori, infine, riguarda l’ecologismo in Italia. «Fino ad ora non è riuscito a imporre una sua visione del mondo, per noi questo è una specie di anno zero. Quello che dicono i Fridays For Future è giusto – continua – la politica ha completamente ignorato la questione climatica. La nostra idea è che i problemi globali si possano risolvere solo a livello globale. Su questo la risposta populista è: meno istituzioni internazionali, più poteri ai paesi. Secondo noi è l’opposto: serve più compartecipazione alle decisioni a livello continentale. La stessa Europa dovrebbe diventare una federazione». Questioni puramente politiche, ma solo apparentemente lontane dalle migliaia di manifestanti che oggi scioperano in tutta Italia. Per sensibilizzare, prima ancora che protestare.