Cultura | Dal numero
Niels Gammelgaard, l’uomo che ha inventato lo stile Ikea
Il designer ci ha raccontato cosa significa disegnare mobili su scala industriale e cosa ne pensa della passione di Instagram e TikTok per il "vintage Ikea".
Nel 2023 Ikea ha festeggiato i suoi ottant’anni. Per l’occasione, ha rilanciato una collezione continuativa di arredi d’archivio, Nytillverkad, letteralmente “di nuova produzione”, riportando sul mercato i pezzi più iconici degli anni Settanta e Ottanta. Anche se non siamo abituati a pensare ai mobili Ikea – un’azienda che fattura quarantacinque miliardi l’anno – in termini di collezionismo, alcuni di questi arredi sono diventati virali su Instagram e TikTok grazie a creator che, attraverso l’hashtag #VintageIkea, hanno rilanciato il feticcio per il brand, qualcosa che in realtà è sempre esistito anche tra gli appassionati di design. La sedia Järpen, la “easy chair” in rete metallica piegata composta da soli 3 pezzi, del 1983 (oggi in catalogo come Skålboda) e la libreria Guide del 1985, con un telaio d’acciaio ispirato ai carrelli della spesa, sono solo alcuni dei pezzi vintage in vendita per centinaia di euro su marketplace come Pamono e 1stDibs.
A marzo ha compiuto ottant’anni anche il padre di questi classici, Niels Gammelgaard, il primo industrial designer di Ikea, colui che ha dato l’impronta all’azienda per come la conosciamo oggi: mobili di design, progettati per essere piacevoli, belli e adatti alle case della maggior parte delle persone, ma anche ottimizzati per le necessità dell’industria, pensati per una esperienza di acquisto semplice. Prima di Ikea, comprare mobili era stressante e costoso: era un investimento che sarebbe dovuto durare per la vita. Gammelgaard ha rivoluzionato anche questo, realizzando arredi comodamente scomponibili in packaging piatti, come il divano Moment, che il cliente poteva trasportare e montare da sé. Oggi Ikea vende i suoi mobili flat-pack in quasi cinquecento negozi ed è la più grande azienda di mobili al mondo. Inaugurando la produzione di arredi in plastica e metallo, Gammelgaard ha iniziato lo stile Ikea, adattando i capisaldi del design scandinavo all’industria di massa.
Gammelgaard sembra felice che i suoi prodotti abbiano superato la prova del tempo, sia nella qualità che nel gusto, e si illumina quando pensa alle nuove generazioni che fanno a gara per avere i mobili che ha disegnato cinquant’anni fa. È convinto che quello del designer sia un lavoro il cui impatto si misura sui numeri, ma se da un lato è vero che più un prodotto si diffonde maggiore sarà il suo impatto, allo stesso tempo “democratic design” vuol dire anche design di massa, e la conseguenza non è forse perdere un po’ di individualità? L’operazione nostalgia di Ikea sembra voler restituire ai suoi arredi più celebri la loro personalità, facendoli diventare “da collezione”: un cortocircuito che non sembra preoccupare Gammelgaard.
ⓢ Perché ha scelto di fare il designer?
Niels Gammelgaard: C’erano così tanti prodotti scadenti sul mercato che ho pensato di poterli fare meglio.
ⓢ Come è iniziata la sua collaborazione con Ikea, e col suo fondatore Ingvar Kamprad?
Nel 1969 avevo fondato la mia azienda, Box 25, con alcuni colleghi della Royal Academy di Copenaghen. Progettavamo edifici e anche arredi, ma non avevamo molto successo con questi ultimi. Ho iniziato a collaborare con Ikea cinque anni dopo. A quel tempo Ingvar Kamprad viveva in Danimarca, così un giorno presi la mia auto e andai da lui, per chiedergli se fosse interessato a produrre i nostri arredi. Negli anni Settanta si erano espansi molto, avevano saturato la produzione e non riuscivano a produrre abbastanza sedie di legno. Perciò Kamprad cercava degli industrial designer che fossero in grado di lavorare con materiali industriali, e ha trovato me. Quando gli proposi di produrre gli arredi che avevo disegnato, mi guardò e disse: «No, non sono interessato. Ma vedo che sa fare i mobili, quindi che ne direbbe di progettare una sedia per me?». E così è iniziato. Nel 1975 disegnai la prima sedia in metallo, la Folke, e fu un enorme successo. Prima, Ikea produceva solo mobili in legno, come altre aziende svedesi.
ⓢ Anche se non è stato il tuo unico cliente (tra gli altri Fritz Hansen, Louis Poulsen e Cappellini), hai disegnato mobili per Ikea per trent’anni. Cosa le piaceva di quel lavoro?
Mi piaceva molto l’idea di business: comprare a basso costo e vendere a basso costo, dando alla maggior parte delle persone la possibilità di acquistare mobili di buon design. Credo davvero che fosse una cosa rivoluzionaria. Ho disegnato più di sessanta pezzi per Ikea.
ⓢ In che modo il fenomeno Ikea ha influenzato la società e l’approccio all’abitare?
La maggior parte delle persone vive in piccoli appartamenti, in piccoli spazi. Ikea cerca di adattarsi alle loro esigenze e sviluppare prodotti che rendano la loro vita più facile. Molti altri marchi – quelli più costosi – non si preoccupano di come vivono le persone, ma si limitano a produrre divani enormi. Ikea ha sempre cercato di trarre spunto da esigenze di vita reali.
ⓢ Questo approccio si basa sul concetto di democratic design, che Ikea ha reso popolare e che, pur non essendo nato in Svezia, abbiamo imparato ad associare al design scandinavo. Di cosa si tratta?
È buon design, a buon prezzo e di buona qualità. E oggi anche la sostenibilità è diventata una questione molto importante. Quando lavoravo lì, negli anni Settanta e Ottanta, producevamo mobili in metallo, buona plastica, vetro e così via. In ottica di sostenibilità, il metallo è il meglio che si possa fare, e se il design è buono e il prodotto dura, anche le generazioni successive ne potranno godere.
ⓢ Si può dire che lei abbia inventato lo stile Ikea. Come definisce questa estetica?
L’arredo Ikea è ben prodotto, ben organizzato. Pensato per essere bello sia nella produzione che nell’uso, elegante nel suo packaging piatto, bello in magazzino, e così via. Si basa tutto sulla pura praticità. Ma serve un designer che sappia dare forma a questo “buon senso” e lo ripulisca di tutte le cazzate.
ⓢ Molti dei prodotti che ha disegnato per Ikea sono diventati virali su TikTok e Instagram, anche grazie alle recenti riedizioni. Nel suo catalogo Do good scrive che non ama i «design di tendenza». Ma oggi sui social quando si parla di design non c’è niente di più trendy dei suoi mobili. Cosa ne pensa?
Penso che sia fantastico. Non pensavamo che saremmo arrivati a partecipare ad aste di lusso o che un oggetto che non costava nulla potesse arrivare a valere dieci, venti volte di più. Perciò sono molto contento, sono soddisfatto del design e della qualità. Una delle mie figlie ha 21 anni. Lei e le sue amiche pensano ancora oggi che i miei pezzi degli anni Settanta e Ottanta siano fantastici. Non è bellissimo che anche le nuove generazioni (e quelle dopo) vogliano ancora comprare questi mobili?
ⓢ È positivo che i pezzi abbiano acquisito valore nel tempo, ma cosa ne pensa del fatto che prodotti “per tutti” siano diventati pezzi esclusivi e costosi?
Ne sono orgoglioso, lo sono davvero. C’è qualche mobile nel catalogo Ikea di oggi che potrebbe avere lo stesso impatto in futuro? È difficile dirlo. Non compro nulla da Ikea da molti anni. Non compro nessun mobile. Ma io non sono il tipico acquirente. Non sono il tipico consumatore. Che tipo di mobili compra? Non compro i mobili degli altri, ho già i miei. Sono troppo interessato ai miei mobili per avere quelli degli altri. Devono combattere la loro battaglia, con i loro mobili. Io non ne ho bisogno.
ⓢ Cos’è il buon design?
Se si acquista un prodotto ben progettato, averlo in casa dovrebbe essere una gioia quotidiana, proprio come con un’opera d’arte: ogni mattina ti alzi, ti siedi su quella sedia e dici «Wow, che bello». E poi, naturalmente, un buon mobile non deve rompersi. Qui in Scandinavia abbiamo un ottimo approccio al design, ce lo insegnano a scuola. Il design scandinavo è onesto, minimalista, di buona fattura. Quando negli anni Ottanta venivo a Milano ogni anno per il Salone, rimanevo sempre colpito da Vico Magistretti. Secondo me, Vico faceva design scandinavo. Era così d’ispirazione venire a Milano ogni anno per il Salone.
ⓢ Quest’anno verrà?
In realtà non è più così stimolante. L’anno scorso ci sono andato, era così affollato che era praticamente impossibile entrare in qualsiasi punto della città e della fiera.
ⓢ Buona parte del design che si vede oggi non è design industriale. Molti designer si lanciano sulla piccola serie e sperimentano col fatto a mano.
C’è un divario tra l’artigianato e la produzione industriale. Il punto non è tanto fare un buon design, il punto è: si riesce a venderlo, diffonderlo? Più il prodotto è industriale, maggiore è la responsabilità del designer. Non c’è niente di male nel tornare all’arredo artigianale. [I designer, nda] possono produrre la quantità che vogliono, ma non avranno alcun impatto. Magari sarà un bel pezzo, e chi lo compra sarà felice di averlo in casa. Ma non cambierà il mondo, né rischierà di rovinarlo. La responsabilità di un designer industriale come me, invece, è enorme: se si fanno progetti sbagliati nell’industria si devono licenziare molte persone, molte aziende andranno in rovina e così via.
ⓢ Tra quelli progettati per Ikea, c’è un prodotto di cui è più orgoglioso?
Sono tutti i miei bambini, ma naturalmente alcuni di loro sono più belli di altri e hanno qualcosa che gli altri non hanno. [Mi indica il gigantesco poster che ha appeso alle sue spalle, una fitta composizione di tutti i mobili che ha realizzato, nda]. Questo è il divano Moment, la libreria Guide, il tavolo Moment, la sedia Järpen… Ci sono molti bei mobili.
Questo articolo è tratto dal numero di Rivista Studio “Dove stiamo andando”, una guida alle 10 tendenze che caratterizzano il presente e influenzeranno l’immediato futuro: lo trovate nel nostro store online, qui.