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I nepo baby esistono da sempre, ma non sapevamo come chiamarli

L'articolo del New York Magazine ha scatenato un dibattito sulla meritocrazia, dando un nome a un fenomeno che non ha niente di nuovo ma di cui, a quanto pare, non vedevamo l'ora di parlare.

di Francesca Faccani

Forse è iniziato tutto con l’invasione dell’Ucraina. Ci siamo appassionati alle storie delle figlie dissidenti di oligarchi russi che avevano vite e profili Instagram invidiabilissimi, e che col loro supporto alla causa ucraina rischiavano di farsi portare via tutto. Forse è iniziato quando una ragazzina americana di vent’anni ha googlato il nome di Maude Apatow dopo averla vista a inizio anno sdraiata a letto sullo schermo del pc mentre recitava nella serie tv Euphoria e ha scoperto che anche suo papà è famoso – come i papà di molte altre attrici che compaiono nella serie – e l’ha fatto sapere, indignata, ai suoi follower su Twitter. Era lo scorso febbraio e possiamo far risalire a quel tweet la prima vera apparizione del termine “nepotism baby”, poi abbreviato teneramente come nepo baby, un hashtag perfetto per raccogliere i milioni di video di collage di figli e genitori famosi su TikTok che iniziano con «lo sapevate che…?». Certo, lo sapevamo già tutti, basta aver letto la pagina Wikipedia di qualche attore e affidarsi al numero di link azzurri che si accendono sopra i nomi dei genitori, ed è per questo che sorprende l’ingenuità della generazione Z che crede di aver scoperto la cospirazione che nel 2022 affranca Hollywood (simbolo della loro giovinezza e ingenuità, gli appartenenti alla generazione Z credono alla meritocrazia, prima ancora che chiedersi se esista davvero). Simpatizzante con la loro causa, lo scorso dicembre il New York Magazine ha deciso di dedicare alla cospirazione dei nepo baby la storia di copertina.

Si intitola “She has her mother’s eyes. And her agent” e, corredato agli articoli su come si creano i nepo baby nelle varie industrie culturali (per esempio, una volta era consuetudine infilare il proprio figlio a svolgere un tirocinio per qualche rivista prestigiosa, lo hanno fatto Tom Hanks e Courtney Love, ora gli stage li fanno nelle writers’ room delle serie tv, come Malia Obama che ha assistito alla scrittura della serie Girls), appare anche una splendida infografica che ripercorre gli alberi genealogici dello star system attuale, da una bisnipote di Charlie Chaplin apparsa in Game of Thrones, fino ad arrivare a scomodare personaggi come la duchessa Meghan, nepo baby perché suo papà era direttore delle luci, o anche la cantante Phoebe Bridgers, nepo baby perché il suo, con cui non ha mai avuto contatti, è uno scenografo e nemmeno tanto famoso da avere una sua pagina Wikipedia.

Ammetto di averci passato le ore, tra le varie sezioni che dividono i nepo baby. Ci sono quelli noiosi che, quasi come se fosse una piccola bottega di paese, hanno deciso di proseguire l’attività del proprio genitore famoso – la similitudine l’ho rubata a Zoë Kravitz, nepo baby onoraria, figlia di due divinità come Lenny Kravitz e Lisa Bonnet a cui non riesci neanche a fargliene una colpa, anzi, ringrazi che esista, che in un’intervista per Gq ha detto: “È assolutamente normale restare nell’azienda di famiglia. È da dove vengono i cognomi, eri un fabbro (blacksmith) se la tua famiglia si chiamava Black o Smith”. Ci sono poi quelle famiglie che regnano da anni, come quella dei Chaplin, da 110, i Coppola, da 52, i Kardashian-Jenner, 28. A questa categoria appartiene una delle mie preferite, Sofia Coppola, che come noi siamo soliti dire che gli occhi o al massimo la predisposizione alla matematica li abbiamo presi da mamma, lei dal papà Francis sembra aver preso il talento registico. Dopo aver provato con la recitazione interpretando in modo molto goffo vari personaggi per nulla memorabili nella trilogia del Padrino, si è decisa a seguire i passi del padre ma a modo suo, creandosi così il suo genere, i film sulle ragazze depresse. Poi ci sono i nepo baby più istrionici, che decidono di dare un twist artistico alla propria vita e se magari i genitori sono musicisti, loro decidono di fare gli attori (vedi le figlie di Steven Tyler e di Bono). Questa è sicuramente la categoria che va per la maggiore, anche perché nell’infografica sono classificati anche per fama, e il contrario, cioè chi ha i genitori attori e decide di diventare musicista, sembra avere scarse probabilità di farcela, a parte solo Willow e Jaden Smith. Poi ci sono quelli che le hanno provate un po’ tutte, tipo Brooklyn Beckham, che ha fatto, in ordine, il calciatore, il modello, il fotografo (aveva pubblicato da poco un libro di fotografie di cui parlavano tutti perché le foto sono non artisticamente tutte sfocate), e ora si sta cimentando nella cucina. Penso a quanto è stato difficile far capire ai miei che mi sarebbe piaciuto fare un corso di recitazione, figurarsi quando ho annunciato che da grande avrei fatto un lavoro creativo.

Dopo, diciamo, il NY Mag la butta in caciara. Nella lista ci finisce un attore perché è figlio di uno chef, il dj Steve Aoki perché è figlio di un wrestler-ristoratore, una comica americana perché «sua mamma è scultrice e ha fatto una statua di Stonehenge per un film (di serie B)» e questo finisce forse per accentrare il problema, riducendo la discussione al fatto che i gradi di parentela che ti separano dalla fama siano indice di privilegio. La verità è che la generazione Z, con la sua tenera fede nella meritocrazia, ha dissotterrato un aspetto su cui noi abbiamo sempre sorvolato. Eravamo ossessionati dai nepo baby ancor prima che avessero un nome che li identificasse, ci piacevano tanto quanto li odiavamo, è così ingiusto, pensa nascere figlia di Johnny Depp e di Vanessa Paradis. Lo manifestavamo nella ricerca compulsiva dei nomi dai link azzurri sulle pagine di Wikipedia, constatavamo la somiglianza con il genitore famoso, davamo un giudizio sbrigativo se la fama questa persona se la fosse meritata o meno e passavamo ad altro. Era un passatempo divertente. Loro erano là e noi qua, mica ci hanno fatto niente di male. Teoria cospirazionista a parte, l’ossessione da parte della Gen Z non è semplicemente morbosa come la nostra, e dedicandoci questa copertina il NY Mag ha effettivamente problematizzato l’esistenza stessa dei nepo baby. Uno degli effetti che ha sortito sono state le stories di alcune persone insospettabili che si auto-denunciavano come nepo baby, del tipo scrivo perché sono figlia di un insegnante, e tante critiche da chi un nepo baby lo è per davvero (Lily Rose Depp ha detto che la definizione la fa soffrire molto). È sempre più chiaro che ormai TikTok è diventato quello che una volta era il bar, il luogo dove i grandi intellettuali si incontrano, discutono, inventano nuove formule e parole, iniziano rivoluzioni.