Attualità | Stati Uniti
Cospirazioni americane
Una cultura paranoica collega l'omicidio Kennedy all'assalto a Capitol Hill: rileggere Don DeLillo ci aiuta a capirla.
Vista dalla finestra del sesto piano del Texas School Book Depository di Dallas da cui Lee Harvey Oswald sparo a Kennedy, fotografata circa un'ora dopo l'omicidio
«C’è qualcosa che ci tengono nascosto. Qualcosa che non sappiamo. E non finisce qui. C’è sempre dell’altro. È in questo che consiste la storia. Nella somma totale delle cose che ci tengono nascoste», dicono a Lee Oswald, l’assassino del presidente Kennedy, nel romanzo Libra di Don DeLillo, del 1988. Da allora a oggi, la convinzione che ci sia sempre altro da sapere, rispetto a ciò che dicono istituzioni e media, non è più un sospetto di pochi, ma la certezza di molti. Dietrologia e cospirazione guidano gli assalitori del Campidoglio di Washington, incitati dal presidente Donald Trump. Sono imbevuti di complotti, teorie che infiammano il famoso QAnon, un amalgama di tesi su poteri legati a pedofilia, pratiche ebraiche, strategie occulte di pochi eletti che vogliono dominare il mondo. La dietrologia in America arriva tardi. Don DeLillo, lo scrittore che meglio di ogni altro ha messo in scena il sentimento della cospirazione e della paranoia – ma non certo il solo – in un’intervista del 1999 a Francesca Borrelli spiegava che tutto nasce con l’omicidio Kennedy nel 1963: «Prima di allora, in America era molto radicata l’idea di vivere in un paese libero, aperto, democratico: convinzioni che sono state sconvolte dalle ambiguità e dalle menzogne governative sull’assassinio di Kennedy. A partire da questo momento, la gente ha cominciato a pensare in termini di cospirazione, a dubitare della veridicità del governo, cose prima impensabili».
Due presidenti americani segnano dunque nascita e apoteosi della cospirazione: da Kennedy a Trump. Con Kennedy nasce lo scetticismo verso le istituzioni, con Trump quel sospetto scavalca il recinto delle voci autorevoli e diventa parte delle istituzioni stesse. La diceria si sostituisce alla verità di stato, un uomo vestito da sciamano invade gli spazi del governo legittimo, uomini che vedono ovunque disegni oscuri e analogie eccitanti si siedono nella scrivanie del potere. DeLillo si dedica all’assassinio Kennedy in Libra, poi torna a parlare esplicitamente di cospirazione in Underworld, siamo nel 1997: «C’è una parola in italiano. Dietrologia. Sarebbe la scienza di quello che sta dietro a qualcosa. A un fatto sospetto. La scienza di ciò che sta dietro a un fatto», dice un personaggio. Nel romanzo la parola dietrologia è in italiano – visto che manca il termine inglese – e sembrerebbe veramente che la dietrologia abbia «una vocazione prettamente europea, adottata e adattata dagli Stati Uniti», come diceva DeLillo nell’intervista del 1999. Dagli spari contro JFK all’uscita di Underworld, dunque, la percezione alterata della realtà prende forza, attraversa pagine e trame di molti scrittori, da Pynchon a Philip Roth. L’arcobaleno della gravità (1973) di Thomas Pynchon è già tutto giocato sulla paranoia, nominata circa cinquanta volte. Paranoia e complotto diventano temi centrali per buona parte della letteratura americana del secondo novecento, in particolare quella che va sotto la vasta e scivolosa categoria di postmoderno. Il lettore di quei libri ha un senso di familiarità quando vede le scene di Washington. Sa cosa sta succedendo.
Si tratta di sentimenti che si amplificano con la fine della Guerra Fredda. Durante la Guerra Fredda esistono due fronti molto definiti: Noi e Loro. Se avveniva qualcosa di insolito era colpa dei russi. Se qualcuno si sentiva spiato erano i russi. Con la fine di questo equilibrio il potere si polverizza, il nemico si fa interno, si moltiplica, assume qualsiasi volto. Gli americani non credono più alle versioni ufficiali, alle verità della scienza, non credono più a niente, la cultura della cospirazione si allarga, penetra in profondità, diventa la malattia del pensiero di tutta la nazione. Ogni verità è passata al setaccio e presto liquidata. Dietro c’è sempre dell’altro, informazioni tenute nascoste. Ai tempi di Libra, i cospiratori sono ancora i grandi vecchi, «uomini dentro piccole stanze», come li chiama DeLillo. Poi il complotto esce da quelle piccole stanze, si infiltra ovunque. Si nega la conquista della Luna, si negano i campi di concentramento, si negano le cure mediche e poi i vaccini; deformata da lenti di ingrandimento allucinate la verità ha la consistenza della finzione, le teorie si aggrovigliano assumendo una struttura sempre più spericolata e affascinante, le forze oscure orientano tutto, nascondono gli alieni sbarcati con i dischi volanti, architettano l’11 settembre, queste forze oscure si possono chiamare tecnologia, mercato, multinazionali, complotto ebraico, banche, Big Pharma. Un minuto dopo la morte di una star – si tratti di John Lennon, Michael Jackson, Maradona – qualcuno sospetta che sia un omicidio, un altro sospetta dietro ci sia un suicidio, un terzo rivelerà che il morto è vivo e i funerali solo una messinscena.
Più il mondo di fa complesso, più è difficile legare cause ed effetti e mettere in relazione eventi separati. La letteratura ci dice che la paranoia è il tentativo disperato di collegare tra loro eventi lontani e dare spiegazioni a cose inspiegabili. Il 4 dicembre 2016, Edgar Maddison Welch, ventottenne, irrompe al ristorante Comet Ping Pong, in pieno Pizzagate sparando con il fucile per fare luce sulla teoria del complotto. Si considera un eroe della storia, un salvatore di bambini che sarebbero finiti nelle mani di pedofili legati a membri del Partito Democratico americano: in una mail si citava la pizza al formaggio (CP: cheese pizza), e veniva interpretato come pedofilia (CP: child pornography), il ristorante dunque doveva essere sede di incontro per gli abusi rituali satanici.
Ci sono tratti comuni che legano Oswald e gli assalitori di Washington. Oswald non è più solo, è un popolo. Un popolo di cui ognuno di noi fa parte per un minuto o per un dubbio che non se ne va. Oswald si sente ai margini della storia e vuole avere un ruolo. Gli sembra di riuscire a essere importante solo quando sta per compiere un atto pubblico e drammatico, «si considerava parte di qualcosa di vasto e travolgente», dice DeLillo. Le immagini di Washington sono la conferma che il desiderio di stare al centro della storia, di essere catapultati nella sale del potere per salvare l’umanità in pericolo, è legato allo stare al centro della paranoia. Ma quando finalmente Oswald è nella storia e tutti pronunciano il suo nome, all’improvviso a lui sembra che quel nome non sia più il suo. Gli sembra che stiano parlando di qualcun altro. Paranoia e cospirazione montano, grazie a voci seducenti, spesso si infrangono solo contro una realtà tragica. Arresti, spari, sangue.