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Come Matrix e Fight Club sono diventati i film preferiti dell’ultradestra americana

I film e i libri che hanno ispirato gli invasori di Capitol Hill e i gruppi dell'Alt-right.

di Ferdinando Cotugno

L'assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, January 06, Washington, DC (foto di Spencer Platt/Getty Images)

C’era da rimanere ipnotizzati a guardare le immagini dell’assalto al Campidoglio mentre il Senato degli Stati Uniti certificava la vittoria elettorale di Joe Biden. I corpi, le facce, i tatuaggi, le bandiere sembravano un codice da decifrare. Quel codice è innanzitutto politico e contiene tutta la zuppa ideologica che in questi anni si è coagulata intorno all’alt-right americana. Negazionismo dell’Olocausto, culti neo-pagani, suprematismo bianco, antisemitismo, intenzioni politiche pericolose, eversive e confuse. Ma poi ci sono le spezie che hanno condito quella zuppa, la sorprendente storia culturale dei poster nelle camere da incel dove sono cresciuti proud boys e seguaci di QAnon, dei nickname usati nei forum e nei subreddit, dei riferimenti con i quali si sono fatti un’idea di sé, del mondo, di come vanno le cose.

«Ricorda, tutto quello che io ti sto offrendo è la verità, niente di più», dice Morpheus a Neo mentre gli offre la pillola rossa in Matrix. Nei film di Lana e Lilly Wachowski prendere la pillola blu significava continuare a vivere intrappolati nella menzogna, mentre la pillola rossa era l’accesso alla disturbante verità delle cose, «per vedere quanto è profonda la tana del bianconiglio». Nel 1999 lo scetticismo e anche la paranoia erano strumenti legittimi con i quali immaginare una liberazione personale e collettiva, in un’epoca in cui sembrava che la storia fosse tutto sommato finita e che niente di interessante sarebbe più accaduto. Come sappiamo, non è andata esattamente così. Più di vent’anni e una marea di traumi storici dopo, la trilogia di Matrix e la metafora della pillola rossa sono diventate l’opposto di quello che erano alla fine del secolo scorso: un feticcio di estrema destra.

Dentro la pillola rossa ci sono due idee fondamentali per capire il mondo negli occhi dello sciamano di QAnon o dell’uomo che si è fatto fotografare con i piedi sulla scrivania di Nancy Pelosi. La prima è che la realtà non è come ce la raccontano. C’è qualcos’altro, ci deve essere qualcos’altro, che banche, pedofili, liberali, media, i Clinton e soprattutto le donne tramano per nascondere. La seconda è l’idea del risveglio, della presa di coscienza: «red-pilled» è diventato un sinonimo di radicalizzazione, l’ingresso nel rabbit hole delle teorie del complotto. Quando a maggio Elon Musk scrive su Twitter «prendi la pillola rossa», nessuno pensa che sia l’entusiasmo di chi si sta rivedendo Matrix in streaming. Il New York Times pubblica addirittura un editoriale su quale sarà l’impatto di quella metafora politica su Tesla e i suoi clienti. Non è l’unico sbandamento di Musk, ovviamente, ma per certi versi è il più preoccupante, perché nel 2020 la tana del bianconiglio è un posto pericoloso dove portare l’immagine di un’azienda. Pochi minuti dopo Ivanka Trump risponde a Musk: «Taken», «Presa». Un piccolo modo a buon mercato per coltivare la stessa audience che otto mesi dopo avrebbe devastato il Senato a Washington. (L’intentio auctoris non è tutto, ma conta pur sempre qualcosa. A tal proposito, la risposta di Lilly Wachowski fu un sintetico: fuck you both).

Anche uno degli insulti preferiti di Trump e dei suoi seguaci, snowflake, «fiocco di neve», è un regalo di Palahniuk e Fight Club alla cultura pop

La versione alt-right di Matrix è la storia dell’asportazione totale di una metafora dal suo contesto. Con Fight Club (il film di David Fincher del 1999 ma soprattuto il romanzo di Chuck Palahniuk di tre anni prima) c’è stata invece una rilettura ideologica di tutta la trama. La storia di una frattura psichiatrica causata dalla solitudine urbana, nella quale l’unica idea politica era un generico rifiuto del consumismo come risposta all’angoscia esistenziale, è diventata due decenni dopo un manifesto per la liberazione dei maschi oppressi. Per emanciparsi si menano e poi fondano un’organizzazione terroristica, il calco di tutte le militarizzazioni di destra che hanno finito con l’assediare Capitol Hill. Le bacheche alt-right sono da anni piene di nickname omaggio a Tyler Durden, il personaggio interpretato da Brad Pitt, carismatico, violento e sociopatico (oltre che, ovviamente, spoiler alert: non reale). Richard Spencer, nazista e ideologo di riferimento alt-right, ha ripubblicato qualche mese fa sul suo blog un saggio in cui si legge: «Il nostro credo è stato tutto riassunto nel più arrabbiato dei film, Fight Club» e da lì, citando Tyler Durden: «Siamo i figli dimenticati della storia, ci hanno fatto credere che saremmo diventati milionari, celebrità, rockstar, abbiamo capito che non succederà e siamo molto, molto arrabbiati». Identificazione totale.

Anche uno degli insulti preferiti di Trump e dei suoi seguaci, snowflake, «fiocco di neve», è un regalo di Palahniuk e Fight Club alla cultura pop. «Tu non sei un delicato e irripetibile fiocco di neve. Tu sei la stessa materia organica deperibile di chiunque altro e noi tutti siamo parte dello stesso cumulo in decomposizione». Nel suo viaggio lessicale snowflake è diventato un modo per deridere idee progressiste, femministe, antirazziste e qualunque forma di politicamente corretto. Quando il Daily Mail si inventa una polemica sugli offesi dalla misoginia di Grease su Twitter usa lo stesso concetto di Tyler Durden: snowflake. Interrogato sull’eredità politica di Fight Club, Palahniuk prende blandamente le distanze, ricorda che il romanzo è stato adottato anche da gruppi di sinistra e si riconosce comunque il merito di aver scritto «una delle poche opere che offrissero gli strumenti per creare una realtà alternativa». Sta di fatto che poi un’opera ha sempre una sua vita autonoma, breve o lunga che sia, e quella di Fight Club è stata se non altro problematica, le sue frequentazioni sono state principalmente non raccomandabili. Le idee, lo stile e i concetti sono stati adottati negli ultimi anni da Steve Bannon, dai Proud Boys, oltre che da tutte le frange del mondo incel, i «celibi involontari» e misogini militanti che sono uno dei bacini culturali d’elezione per l’alt-right. Se qualcuno avesse chiesto agli invasori di Capitol Hill qual fosse il loro film o i libro della vita, probabilmente molti avrebbero risposto Fight Club.

Non è sicuramente una responsabilità di Palahniuk o di Fincher, l’universo disordinato della destra americana è eclettico e le strade per finirci dentro sono imprevedibili. È la strana storia di Breakin’ 2: Electric Boogaloo, un dimenticabile filmetto di danza del 1984 che vent’anni dopo avrebbe dato il nome ai Boogaloos, le milizie armate in camicia hawaiana che a ottobre progettavano di rapire la governatrice di Michigan Gretchen Whitmer. È andata così: il titolo del film è diventato un termine slang per indicare i sequel scadenti di qualsiasi cosa, il meme ha fatto il suo viaggio, è atterrato nei forum di fanatici delle armi, si è associato all’idea di una seconda guerra civile ed è diventato un brand eversivo. Succedono anche cose più strane: i Proud Boys, i neofascisti creati dal co-fondatore di Vice Gavin McInnes, si chiamano così per via di una canzone scritta per il film Disney Aladdin. È a loro che si rivolgeva tra le righe di un dibattito televisivo Trump quando disse: «stand back and stand by», state lì e tenetevi pronti, esattamente quello che hanno fatto. “Proud of Your Boy” era stata per altro scartata dal montaggio finale del film, ma divenne comunque famosa grazie al musical teatrale del 2011. «Ti renderò fiero del tuo ragazzo, credimi, sono stato cattivo, ma avrai una bella sorpresa», dice il testo. È una tenera canzone cantata da Aladdin a sua madre, è difficile capire cosa ci abbiano visto di identitario i Proud Boys. McInnes ha raccontato di averla sentita per la prima volta a una recita della figlia, cantata da un bambino sul palco. Dice di esserci voltato per capire quale padre potesse essere fiero di un figlio così ridicolo. «Ovviamente era stato cresciuto da una madre single», è la punchline per la sua platea. Questa storia è un perfetto concentrato della misoginia di un gruppo che non ammette le donne, per entrare nel quale bisogna farsi picchiare recitando i nomi di marche di cereali e anche rinunciare alla masturbazione. Il NoFap è un’altra delle ossessioni dell’estrema destra, ma per i Proud Boys l’abiura totale era un carico esistenziale troppo difficile da sostenere e così pare che si siano accordati per una sola volta al mese.