Attualità

Il senso di una rivista

Un anno fa stavamo preparando il primo numero di Studio: riflessioni e bilanci

di Federico Sarica

Scusate se parliamo ancora di noi (intesi come persone che fanno questa rivista, ma anche come persone, voi, che la leggono), ma crediamo sia utile per stimolare una riflessione più ampia.

Un anno fa Studio non c’era. Non era uscito neanche il numero 0, c’era a malapena una redazione fisica, era il progetto di 3 o 4 di noi che alcuni partner iniziavano, sulla carta, lentamente a comprendere e in parte sposare. Generalmente, le cose che ci venivano dette erano le seguenti: è un progetto troppo ambizioso, difficile, la situazione è quella che è, i giornali di carta stanno tirando le cuoia, il mercato editoriale italiano è agonizzante, i lettori forti in Italia sono pochissimi, nessuno ha più tempo di leggere, e via discorrendo.
Tutte affermazioni che avevano, e hanno, un fondo di verità.

Vero rispondevamo noi,  aggiungendo che però noi volevamo mettere su un media che avesse la doppia velocità e consistenza fisica di un bimestrale cartaceo e di un sito quotidiano (non un quotidiano online – c’è chi li sta facendo molto bene – ma il sito di una rivista aggiornato quotidianamente); che sapevamo che il problema dei giornali spesso sono le zavorre di costi, la pigrizia nell’evolversi e il malumore e la svogliatezza che serpeggiano cupi nelle redazioni più che la morìa di lettori, che avevamo un po’ voglia di provare ad accorciare la distanza fra la naiveté dell’editoria indipendente, il modello aspirazionale forzato dei periodici di settore e l’ingessatura delle pagine culturali dei maggiori quotidiani nazionali; che eravamo coscienti che ambire ad essere cooptati per un posto fisso in un grosso gruppo per poi lottare per evitare l’effetto sabbie mobili dell’uniformarsi verso il basso è esercizio talvolta anacronistico per cui, toccato il fondo della crisi, non si poteva che provare a intraprendere, a dare scosse – microscopiche ma comunque relativamente rilevanti – a un sistema stagnante. E quindi ci si è provato.

Oggi, dopo un anno, Studio esiste, pulsa e respira; sta scavando giorno dopo giorno, come i galeotti dei film con il cucchiaino, la sua piccola ma preziosa nicchia coi pochi mezzi a sua disposizione. E sta crescendo: è scritto meglio, è disegnato meglio, ha coaugulato firme importanti, ne ha fatte crescere di nuove, si è meritato complimenti, attenzioni, critiche, polemiche. E soprattutto sta conquistando un bacino di lettori attenti, molto preparati, e giustamente molto esigenti.
Siamo ovviamente ancora all’inizio di un percorso che non so dove ci porterà, però siamo partiti. E non è poco.
Avevamo più o meno previsto tutto quello che ci è successo in questi dodici mesi, tranne due cose. Una molto bella e una un po’ meno: la prima è la grande attenzione suscitata in così poco tempo, di cui vi ringraziamo sinceramente e che non fa che aumentare in noi la consapevolezza di dover fare le cose sempre meglio; la seconda è stata la previsione sbagliata di trovarsi, un anno fa, nel punto più basso di una situazione economica e strutturale da cui si poteva solamente risalire. Piano, ma risalire.
Sbagliato, si poteva ulteriormente sprofondare. E vorticosamente, come abbiamo visto lungo tutto il 2011.
La situazione la conoscete meglio di noi, non è per niente rosea.
Soprattutto in un paese come il nostro che non ha voluto raccontarsi la verità (e che incredibilmente continua in larga parte demagogicamente a mentire a sé stesso) e cioè che il mondo stava cambiando e toccava, dolorosamente, adeguarsi. Pena, il fallimento.  Adesso siamo nella tempesta, e con essa tocca imparare a convivere, oltre che attrezzarsi per domarla.

Ma a maggior ragione sentiamo l’esigenza e il dovere di alzare lo sguardo e provare a posarlo oltre, sul futuro; che resta tutto da inventare e che non può essere lasciato senza un disegno.
Fare delle cose e immaginarsene delle altre: questo crediamo sia il nostro compito.
Alla faccia del declinismo imperante, restiamo dunque ottimisti, vigili, entusiasti e responsabili. E, ci auguriamo, in ottima compagnia. La vostra.

Dal numero 6 di Studio, ora in edicola