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Di Digger di Alejandro G. Iñárritu non sappiamo ancora niente, tranne che un Tom Cruise così strano e inquietante non si è mai visto La trama della nuova commedia di Iñárritu resta avvolta dal mistero, soprattutto per quanto riguarda il ruolo da protagonista di Tom Cruise.
C’è un’estensione per browser che fa tornare internet com’era nel 2022 per evitare di dover avere a che fare con le AI Si chiama Slop Evader e una volta installata "scarta" dai risultati mostrati dal browser tutti i contenuti generati con l'intelligenza artificiale.
Kristin Cabot, la donna del cold kiss-gate, ha detto che per colpa di quel video non trova più lavoro e ha paura di uscire di casa Quel video al concerto dei Coldplay in cui la si vedeva insieme all'amante è stata l'inizio di un periodo di «puro orrore», ha detto al New York Times.
I Labubu diventeranno un film e a dirigerlo sarà Paul King, il regista di Paddington e Wonka Se speravate che l'egemonia dei Labubu finisse con il 2025, ci dispiace per voi.
Un reportage di Vanity Fair si è rivelato il colpo più duro inferto finora all’amministrazione Trump Non capita spesso di sentire la Chief of Staff della Casa Bianca definire il Presidente degli Stati Uniti una «alcoholic’s personality», in effetti.
Il ministero del Turismo l’ha fatto di nuovo e si è inventato la «Venere di Botticelli in carne e ossa» come protagonista della sua nuova campagna Dopo VeryBello!, dopo Open to Meraviglia, dopo Itsart, l'ultima trovata ministeriale è Francesca Faccini, 23 anni, in tour per l'Italia turistica.
LinkedIn ha lanciato una sua versione del Wrapped dedicata al lavoro ma non è stata accolta benissimo dagli utenti «Un rituale d'umiliazione», questo uno dei commenti di coloro che hanno ricevuto il LinkedIn Year in Review. E non è neanche uno dei peggiori.
C’è una specie di cozza che sta invadendo e inquinando i laghi di mezzo mondo Si chiama cozza quagga e ha già fatto parecchi danni nei Grandi Laghi americani, nel lago di Ginevra e adesso è arrivata anche in Irlanda del Nord.

Una nuova rivista per raccontare la moda

Si chiama Dune ed è un progetto dell’Università Iuav di Venezia che, in questo momento, offre uno sguardo inedito sullo stato del settore.

di Studio
15 Aprile 2020

Come leggiamo spesso in questi giorni di pandemia, la crisi causata dall’emergenza Coronavirus ha accelerato molti cambiamenti in altrettanti settori della società, spingendo verso trasformazioni che succedono oggi nell’immediatezza ma che, in un regime di normalità, sarebbero state decennali. Succede anche nell’industria della moda, come cerchiamo di raccontare anche noi, dove in questo momento si discute molto sulle strategie e le tempistiche della ripartenza ma anche del modello in sé, le cui crepe sono ormai scoperte e sotto gli occhi di tutti da anni. Prima che il virus diventasse l’agente primario del mutamento intorno a noi – e anche, prima che il tempo ci dimostri se e quanto sarà effettivamente così – il ripensamento del modello, però, era già l’attività principale di chi si occupa delle “cose” di moda.

Oltre alle legittime discussioni sulla ripartenza, infatti, è anche il momento per approfondire questioni teoriche che completano e integrano gli attuali, pressanti, problemi della filiera. A questo proposito, è particolarmente interessante l’iniziativa promossa dal team di ricercatori dell’Università Iuav di Venezia guidato da Maria Luisa Frisa, che in questi giorni ha lanciato Dune. Scritture su moda, progetto e cultura visuale, una rivista accademica monotematica, bilingue e semestrale edita da Flash Art e diretta dalla stessa Frisa, con il progetto grafico di Think Work Observe. Ogni edizione è caratterizzata da una tematica chiave che riflette gli interessi di ricerca, le modalità di scrittura e la produzione teorica del gruppo di lavoro dello Iuav e accoglie contributi scientifici di studiosi internazionali. Il primo numero è incentrato sulla Dark Room, con una doppia valenza. Come scrive Frisa nel suo editoriale, la dark room può essere intesa come «un luogo di incontro in cui sperimentare la promiscuità e, allo stesso tempo, un luogo in cui i fotografi svolgono il proprio lavoro». Una camera di ricerca sensoriale ma anche artistica e programmatica oppure ancora, allargando lo sguardo, un momento di riconnessione intima, calzante in un periodo in cui, appunto, ci sembra ogni giorno di brancolare nel buio delle incertezze. E che rappresenta anche il salto nel buio di pubblicare oggi una rivista cartacea, offrendosi come un luogo per la riflessione teorica e visiva, la critica, l’introduzione di nuovi studi e l’approfondimento su figure e storie poco conosciute attraverso la visione di giovani autori. Dune è supportata da chi, come Matteo Mantellassi dell’azienda tessile Manteco e Nicoletta Fiorucci di Fiorucci Art Trust, ha creduto nel progetto editoriale. È priva di pagine pubblicitarie tradizionali e si pone come obiettivo la sperimentazione di nuove forme di dialogo con aziende, istituzioni e collezionisti, una direzione in cui si muovono oggi molti media indipendenti.

Lo stesso titolo della rivista, Dune, rimanda all’opera fantascientifica epica, in forma di romanzo, di Frank Herbert, pubblicato nel 1965, e al film diretto da David Lynch nel 1984, prima dell’arrivo del digitale. Film che alla fine di quest’anno, sperando di poter tornare a godere a pieno dell’esperienza, vedremo tornare nelle sale cinematografiche nella versione diretta da Denis Villeneuve – l’uscita in America è prevista per il prossimo 18 dicembre – con Timothée Chalamet e Zendaya tra i protagonisti. Il primo numero di Dune raduna tre tipologie di contributi (Essays, Reviews e Studies) ai quali si aggiunge un intervento commissionato a un artista visivo. Vi hanno partecipato – tra gli altri – Judith Clark, che ha usato la dark room come paradigma per ripensare lo spazio espositivo legato alla moda partendo dalla mostra The Concise Dictionary of Dress, che aveva co-curato insieme ad Adam Philipps nel 2010 alla Blythe House del Victoria & Albert Museum di Londra; una riflessione di Elda Danese, docente di Storia dell’arte contemporanea presso lo Iuav, sulle emozioni e i sensi che prevalgono quando siamo immersi nel buio – e cioè il tatto, l’olfatto e il gusto, curiosamente anche i sensi più colpiti dalla pandemia –, a partire dal lavoro di Tino Sehgal durante la tredicesima edizione di Documenta a Kassel, dove l’artista tedesco aveva riunito molte persone in un luogo buio per studiare il loro rapporto con l’ansia e il disorientamento; un saggio di Nicola Brajato, ricercatore in Fashion e Gender Studies all’Università di Anversa, sull’esperienza del clubbing come dimensione spazio-temporale in cui dove vengono messe in discussione le barriere sociali che fissano i limiti corporei e di abbigliamento a favore di una più libera espressione del soggetto. Il primo numero di Dune si acquista da qui mentre il secondo, intitolato Manifesto, è attualmente in lavorazione. Il comitato editoriale ha aperto una Call for Papers, rivolta a studiosi italiani e internazionali, attraverso l’indirizzo [email protected].

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