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Topolino nel 2018

Una chiacchierata con Valentina De Poli, da oltre 10 anni direttrice del magazine per bambini che viene letto soprattutto dagli adulti.

di Luca D'Ammando

Topolino appare in Italia nel dicembre 1932, stampato dall’editore fiorentino Giuseppe Nerbini. Solo tre anni dopo Mondadori acquisisce i diritti dalla Disney e nell’agosto 1935  pubblica il suo primo numero. Direttore Antonio Rubino, otto pagine a colori, stampato a Verona da rotativa tedesca marca Vomag di seconda mano. Costo: 20 centesimi. Il formato libretto, quello che conosciamo oggi, arriva nel 1949. Ora che siamo arrivati al numero 3.262, l’editore è Panini, le pagine sono 164, il costo in edicola è di 2,70 euro. E alla direzione, ormai da oltre dieci anni, c’è Valentina De Poli. L’impressione è che, pur essendo cambiato radicalmente nel corso degli anni, Topolino sia rimasto in fondo sempre lo stesso. Di certo è l’unico caso al mondo di settimanale con fumetti (ogni settimana sei storie nuove) e testi redazionali legati all’attualità. Da circa un mese il settimanale ha lanciato il suo ultimo restyling, caratterizzato da un font più leggibile, più pulito, l’EasyReading – creato per facilitare la lettura di tutti ma in particolare di chi è affetto da dislessia – e più in generale dalla contaminazione dei codici del fumetto in ogni sezione del magazine, dalle rubriche ai giochi. Un rinnovamento nella forma e nei contenuti ma anche l’occasione per fare il punto su cos’è Topolino nel 2018. «Con questo restyling vogliamo tornare a rivolgerci soprattutto al core target dei nostri lettori, ovvero i ragazzi tra gli otto e gli undici anni. Mi sono accorta che negli ultimi anni ci eravamo concentrati sui lettori adulti e poco sui più piccoli».

ⓢ Direttore De Poli, ma Topolino oggi è un magazine per giovani o per adulti?
I 2/3 dei nostri lettori sono adulti, ma il core target sono appunto i ragazzi tra gli otto e gli undici anni. Quindi la sfida è trovare il giusto equilibrio. A me piace pensare di fare un giornale per bambini e con i bambini. Per questo abbiamo rilanciato iniziative per coinvolgerli direttamente. Ad esempio la rubrica Sgrunt in ultima pagina o i Toporeporter, che ci sono sempre stati ma ora abbiamo in un certo modo “istituzionalizzato”. Giovani lettori, under 13, che diventano giornalisti per un giorno.

ⓢ È qual è stata la risposta in queste settimane?
Una risposta sorprendente, solo nella prima settimana dopo aver lanciato il restyling ci sono arrivate oltre 60 proposte da ragazzi. In generale, anche girando per le scuole con i nostri laboratori creativi, ci rendiamo conto di riuscire a cogliere l’attenzione di moltissimi giovani lettori.

ⓢ Qual è la chiave per far avvicinare a Topolino la generazione dei born mobile?
Partendo dal presupposto che oggi è inutile voler competere con le proposte digitali e che anche noi curiamo con attenzione la versione online (la prima app è nata già nel 2009, ndr), Topolino è un prodotto editoriale a parte. La lettura di Topolino è collegata alla passione per il fumetto e chi ama i fumetti preferisce il cartaceo. Anche i bambini, una volta che si avvicinano alle pagine fisiche, ne sono conquistati. Allargando lo sguardo, direi che Topolino richiede una soglia di attenzione diversa, è una lettura abbastanza complessa per gli standard attuali dei bambini, che spesso cercano risposte facili e immediate. Il compito che mi do e che ci diamo è semplificare i codici del fumetto ma senza perdere la complessità che arricchisce Topolino.

ⓢ In questo anche la lingua utilizzata nelle storie di Topolino è un aspetto interessante. Pur essendo legata all’attualità, appare una lingua più colta, quasi più alta, rispetto alla media del parlato. Sparpagliati qui e lì si trovano termini quasi ormai superati…
“Parole desuete”, così le definisco. Certamente è voluto, è la lingua di Topolino. Io, in quanto direttore di questo settimanale ho un ruolo che attira simpatia – non per meriti personali – e vengo spesso fermata da persone che mi raccontano episodi e aneddoti, e sono spesso storie legate a insegnamenti, termini imparati leggendo Topolino. Ecco, io vorrei fare in modo che magari tra venti o trent’anni i ragazzi di oggi mi vengano a raccontare di aver imparato qualcosa leggendo il nostro settimanale, di aver scoperto una parte di loro grazie al nostro lavoro.

ⓢ Una sfida alla semplificazione e alle strade facili che sul mercato editoriale può avere un prezzo da pagare.
Ma non possiamo sempre avere paura di essere complessi. È vero che in parte corriamo il rischio a volte di non essere capiti dai più giovani, soprattutto nelle storie che hanno diversi livelli di lettura, di fruibilità. Non c’è niente di male se un bambino alla prima lettura di una storia non comprende tutto. Magari capirà meglio o scoprirà aspetti che gli erano sfuggiti quando gli capiterà di rileggere quella storia dopo una settimana o un mese. Anche a me succede di ritrovarmi tra le mani vecchi numeri e di accorgermi che alla prima lettura non avevo compreso di cosa si stava parlando.

ⓢ È cambiato quindi il lavoro di sceneggiatura?
Per ottenere questa ricchezza nella forma e nei contenuti, questa cura e attenzione, la sceneggiatura si è evoluta in modo straordinario. Prima gli sceneggiatori lo facevano come secondo lavoro, oggi sono professionisti che, in molti casi, si occupano di scrittura anche in altri campi, dalla televisione al cinema, dai cartoni ai videogame. E questo aiuta la contaminazione del linguaggio nelle nostre storie.

ⓢ E la parte redazionale, le rubriche e i servizi, come sono cambiati negli ultimi anni?
Qui devo ammettere che negli ultimi tempi avevamo perso l’identità del settimanale, la settimanalità. Ovvero proporre temi legati all’attualità, inserire le nostre rubriche nella contemporaneità. Penso per esempio alla fine della scuola, che sarà un tema che affronteremo nel numero del 6 giugno. Ecco il grande lavoro che stiamo facendo sulla parte redazionale. Anche perché i bambini hanno perso quasi del tutto il senso della settimanalità, non percepiscono Topolino come un settimanale, lo vedono come un albo, un libro, quando lo prendono in mano per la prima volta cercano il riassunto nella quarta di copertina.

ⓢ La periodicità di Topolino era segnata anche dai mitici gadget che si costruivano settimana dopo settimana. Ricordo ad esempio il Topowalkie. Oggi i gadget ci sono ancora?
Sì, ma sono gadget slegati dal settimanale, sono in vendita opzionale. Ad esempio fra poco ne uscirà uno per i Mondiali di calcio. È lo stesso problema legato alle risposte immediate che i ragazzi oggi pretendono. Non c’è più la pazienza di creare un gadget, aspettare quattro settimane per terminarlo.

ⓢ Parliamo della redazione: oggi quante persone lavorano a Topolino?
Siamo in dodici tra giornalisti e non, con redazioni distinte: fumetto, attualità e grafica. Queste dodici persone coordinano una decina di giornalisti collaboratori oltre alla comunità molto più vasta di “artisti”, come diciamo noi: circa settanta sceneggiatori e 70 disegnatori.

ⓢ E come si realizza una storia di Topolino?
Inizia con un soggetto, un testo che deve essere abbastanza conciso, due o tre pagine al massimo, anche perché dovendo realizzare settemila tavole all’anno non possiamo perderci a leggere soggetti troppo lunghi. Un tempo i soggetti nascevano esclusivamente da idee degli sceneggiatori, oggi capita che lo spunto arrivi dalla redazione, legati all’attualità o a appuntamenti precisi. Una volta approvato, il soggetto diventa sceneggiatura e quindi passa ai disegnatori.

ⓢ I disegnatori lavorano su tavole o al computer?
La maggior parte usa ancora matite e china su Foglio A3, tavole fatte a mano che poi vengono scannerizzate. Me con il passare degli anni sta crescendo il numero di disegnatori che utilizzano tavolette digitali.

ⓢ E quanto tempo passa tra il primo soggetto e la realizzazione finale?
Una storia media di Topolino di 26/30 tavole impiega cinque o sei mesi di tempo per vedere la luce.