Cultura | Liste

I migliori libri del 2019 (fino a questo momento)

Tempo di bilanci di metà anno: quali sono i libri usciti in Italia da gennaio che ci sono più piaciuti?

Una donna legge un libro in Costa Smeralda (foto di Sean Gallup/Getty Images)

Ottessa Moshfegh – Il mio anno di riposo e oblio (Feltrinelli)
trad. Gioia Guerzoni
Considerata una delle più interessanti autrici americane contemporanee, Ottessa Moshfegh (qui intervistata per Studio da Valentina Della Seta) è la migliore quando si tratta di raccontare cosa significa vivere quando vivere sembra orribile (lo dice Jia Tolentino sul New Yorker). Il mio anno di riposo e oblio racconta la storia di una ragazza giovane, bella, ricca, orfana, elegantissima – il New York Times l’ha definita la versione femminile di Patrick Bateman, il protagonista di American Psycho – che si fa prescrivere un mix di psicofarmaci per trascorrere un anno dormendo. È un romanzo ambizioso (soprattutto per via del finale, ambiziosissimo), tragico e oscuro – fa molto ridere, però – che invita a considerare in modo nuovo e contro-intuitivo il desiderio di isolarsi e la difficoltà di essere una giovane donna nella società di oggi, anche se è ambientato nel 2001.  

Ottessa Moshfegh fotografata da Molly Matalon sul numero 39 di Studio, in edicola

Rachel Cusk – Transiti (Einaudi)
trad. Anna Nadotti
In questi mesi, quando ci si ritrova a parlare di libri e di consigli su che cosa leggere arriva sempre il momento in cui si tira fuori il nome di Rachel Cusk. Merito prima di Resoconto e poi, in questa prima parte del 2019, di Transiti. Una trilogia – di cui quest’ultimo rappresenta la tappa intermedia – che ha colpito, per non dire esaltato, non solo la critica (soprattutto di lingua inglese), ma anche i tanti che hanno deciso di incominciarla a leggere. Se già con Resoconto si è rimasti spesso colpiti dall’acutezza dell’analisi della vita, delle sue svolte e dei suoi cambiamenti, delle sue frasi “killer”, con Transiti questa riflessione occupa ancora più pagine e parole, forse a discapito della buona scorrevolezza della trama. «Un romanzo calmo sul caos», lo ha definito il New York Times. Il motivo è che in questa seconda tappa lo snodo sembra ancor più cruciale per ciò che ci sarà più avanti, magari nel terzo e ultimo capitolo della trilogia. Anche in Transiti Rachel Cusk si conferma essere un’osservatrice acuta e una mente brillante, si veda anche l’intervista di Studio, e proprio grazie a queste caratteristiche riesce a portare il lettore sì dentro il racconto, ma soprattutto dentro le proprie vicende di vita personali che grazie alle sue parole godono di una luce e di un’acquisizione di senso  illuminanti.

Richard Powers – Il sussurro del mondo (La nave di Teseo)
trad. Licia Vighi
Ci sono vite che si possono raccontare attraverso l’importanza che un singolo albero riesce ad avere in loro, e poi ci sono avventure che hanno alberi come protagonisti o co-protagonisti: succede tutto ne Il sussurro del mondo di Richard Powers, che ci mette duecento pagine a presentare, capitolo dopo capitolo, i nove protagonisti in storie avvincenti ma slegate l’una dall’altra, e le fa poi esplodere tutte insieme nelle centinaia successive, come una gloriosa fioritura primaverile. Francesco Longo l’ha definito su queste pagine «la bibbia dell’eco-fiction», e Powers, per la capacità di farci innamorare dei protagonisti e di imbastire avventure, è pronto a prendersi il palco principale, quello dei Roth e dei DeLillo, della letteratura americana contemporanea.

Martin Amis – L’attrito del tempo (Einaudi)
trad. Federica Aceto
Ci sono pochi antidoti alla piega spesso noiosa quando non conformista della letteratura contemporanea, si contano sulle dita di una mano questi antidoti: uno è sicuramente Martin Amis, che ti riconcilia con l’idea che leggere può essere ancora un gran divertimento, una goduria fatta di illuminazioni, scorrettezze, capriole stilistiche («suprematista dello stile», lo ha definito il New Yorker), soprattutto personalità. Tutte cose che debordano nella sua non fiction, che questo libro raccoglie, spaziando dalla critica letteraria (Bellow, Nabokov) alla ritrattistica (John Travolta, Maradona, Jeremy Corbyn), passando per i reportage (il poker a Las Vegas), e vengono fuori a ogni pagina, per non dire a ogni rigo. Da leggere per disintossicarsi dalla indigestione dei “capolavori” banalissimi che vengono quotidianamente annunciati sui social.

Sally Rooney, Persone Normali (Einaudi)
trad. di Maurizia Balmelli
Persone Normali non è un romanzo che punta, per stessa ammissione della sua autrice, a scardinare la forma classica del racconto letterario. Al contrario, segue una struttura piuttosto convenzionale e più che nella forma o sul linguaggio – dove pure piccole innovazioni stilistiche si possono notare – lavora sulla pura narrazione dei personaggi. Potremmo definirlo un romanzo di formazione, ma anche una bizzarra biografia condivisa dai due personaggi principali, Connell e Marianne. Lui è il figlio della governante, lei la ragazza più ricca della loro cittadina nella provincia irlandese, insieme sono una coppia che non sa stare insieme ma che insieme è cresciuta, portandosi il peso della presenza dell’altro per tutta la giovinezza, dal liceo al college all’Erasmus alle prime esperienze lavorative. Che senso ha il legame che li lega, un legame che è amicizia, amore profondo, mutuo soccorso, comunanza nelle origini geografiche ma non in quelle sociali, affinità intellettuale? Come abbiamo detto su Studio, Sally Rooney scrive di relazioni «che ci sembra di conoscere molto bene e di cui, allo stesso tempo, sentiamo la mancanza». Sono quegli «amori abnormi, iper-intensi» di cui oggi è difficile fare esperienza e che Rooney racconta invece, con la sua scrittura scorrevole e intensa, come fossero la normalità che cerchiamo, anche senza saperlo.

Sally Rooney fotografata di Giovanni Corabi per il numero 34 di Studio

Olga Tokarczuk – I vagabondi (Bompiani)
trad. di Barbara Delfino
È un buon periodo per i libri che cercano di dare nuove forme al romanzo, e I vagabondi di Olga Tokarczuk è uno dei più fortunati tra questi tentativi: vincitore del Man Booker Prize International nel 2018, è difficile da descrivere proprio per la sua natura multiforme, fatta di racconti personali, divulgazioni scientifiche oppure storiche, aneddoti, racconti. Sono pezzi che riguardano il viaggio e le migrazioni – i vagabondaggi, appunto – fatti di una pagina o più pagine, con una lingua affascinante e poetica, paragonato giustamente all’approccio di W.G. Sebald dal Financial Times.

Michel Houellebecq – Serotonina (La nave di Teseo)
trad. di Sergio Claudio Perroni
Come scriveva Cristiano de Majo qui su Studio, il nuovo libro di Houellebecq sembra nato da un generatore automatico di romanzi di Houellebecq (e non è per forza un difetto: ha praticamente creato un genere). Ancora una volta si tratta di un libro da cui è difficile staccarsi e che si legge con il consueto turbamento in cui ci fa precipitare lo scrittore francese, l’ennesima parabola di solitudine e apatia occidentale. In più, per una serie di ragioni – tra cui la riflessione finale del protagonista (su Thomas Mann, Marcel Proust e Arthur Conan Doyle da un punto di vista sessuale) – Serotonina ha tutta l’aria di segnare un capitolo conclusivo nella carriera dello scrittore: potrebbe essere il suo ultimo figlio.

Claire-Louise Bennett, Stagno (Bompiani)
trad. Tommaso Pincio
L’esordio di Claire-Louise Bennett uscì prima in Irlanda, dove l’opera è ambientata, successivamente in Inghilterra dove il Guardian lo definì «stunning», ed è arrivato in Italia nell’inverno del 2019, un momento non del tutto adatto alle sue atmosfere migliori, primaverili ed estive. Da rileggere quindi al mare o in montagna o, meglio ancora, in campagna, questo libro fatto di venti capitoli semi-indipendenti, in cui tutto è evocativo e descrittivo, fotografico e gastronomico, cronaca di una vita isolata nella natura irlandese, disimpegnato e leggero, ma felice di esserlo. Stagno è letteratura allo stesso tempo fatta di una forma nuova eppure molto pura, è un libro breve e leggero come un feed Instagram, con cui ha più a che fare di quanto si potrebbe pensare.

Kristen Roupenian, Cat Person (Einaudi)
trad. di Cristiana Mennella, Gianni Pannofino, Maurizia Balmelli
“Cat Person” è arrivato sul New Yorker nel bel mezzo del #MeToo, quasi una tregua in un momento in cui non si andava d’accordo praticamente su niente. Un racconto su una notte di sesso per nulla memorabile, accaduta fra due persone per nulla speciali, che in comune non avevano nulla: ripensandoci, il successo che ha ottenuto, è quasi surreale, anzi “annichilente” come l’ha definito la sua stessa autrice sul Guardian. Perché ci è piaciuto così tanto? Forse perché la prosa analitica di Kristen Roupenian, qui intervistata per Studio, ha la capacità quasi fastidiosa di imbottigliarsi nel flusso di pensieri dei suoi personaggi e di rendere tutti i lettori partecipi, anzi complici, giustificando frase dopo frase, pensiero dopo pensiero, le incongruenze, le ipocrisie, i fraintendimenti e i piccoli orrori di cui anche la persona più innocua può macchiarsi. Gli altri racconti della sua prima raccolta – che inglese si intitola non a caso You Know You Want This – vanno oltre la ricerca del banale di “Cat Person” e spingono il desiderio (sessuale, di affermazione sociale, di affetto) fino all’epilogo horror. Personaggi a volte impossibili, più spesso solo odiosi, eppure così reali che è facile immedesimarsi nella loro logica ripugnante.

Kristen Roupenian fotografata da Brittany Greeson

Sylvain Piron – Dialettica del mostro (Adelphi)
trad. di Angela Guidi Nissim
Tra autobiografia e cartografia, tra misticismo e pazzia, Dialettica del mostro è un oggetto alieno in grado di allettare il desiderio di qualunque bibliofilo, certo per la sua bellezza – questi complicatissimi disegni medievali in cui perdersi (Adelphi ha tra l’altro deciso di avvolgere la copertina in un poster) – ma anche per cosa c’è scritto, che sembra essere un romanzo uscito dalla penna di Umberto Eco, ma invece è la vita vera di un religioso del 1300, autore per diletto delle mappe deliranti e bellissime oltre che del diario che le accompagna, una vita e un’opera ricostruita e indagata dallo storico francese Sylvain Piron, che riesce a stare in bilico tra il trattato psicologico, appunto, e l’analisi iconografica. Un oggetto alieno, si diceva, che rappresenta l’uscita editoriale più preziosa, erudita e imperdibile di questa prima metà dell’anno.