Cultura | Dal numero

La vita dopo “Cat Person”

Cosa si prova a toccare i lettori nel profondo? Abbiamo parlato con Kristen Roupenian, l'autrice del racconto più virale degli ultimi anni.

di Valentina Della Seta

Foto di Brittany Greeson

Prima dell’uscita di ‘‘Cat Person’’ sul New Yorker, il 4 dicembre 2017, Kristen Roupenian era solo un altro elemento (donna o uomo, in questa fase non conta, ma tra poco conterà) della squadra resistente e affollata degli artisti alle prese con gli sforzi non ripagati. Non sappiamo se appuntasse al muro le lettere di rifiuto infilzate su un chiodo lungo come Stephen King (che con Shirley Jackson, Angela Carter e Joyce Carol Oates è uno degli autori fondamentali del canone che ha studiato per imparare a scrivere), ma i suoi racconti, ignorati dai giornali importanti, si potevano trovare su riviste di nicchia come Body Parts Magazine e Weird Fiction Review. Roupenian in quel periodo aveva così poche notizie da scambiare con la sua agente da trovare inutile salvarsi il numero sul telefono, e il messaggio in cui l’agente le diceva che la sua vita stava per cambiare era arrivato preannunciato da un anonimo prefisso 212. «Ci siamo», si era detta dopo averlo ascoltato, «è il momento più felice di sempre». Come una bomba. A dicembre del 2017, appena pubblicato on line dal New Yorker, “Cat person” è diventato uno dei racconti più letti e discussi in rete: le persone se lo inviavano per email, ne parlavano su Facebook, lo commentavano su Twitter.

Ma cosa ha di speciale questa piccola storia – minimalista, l’avremmo definita qualche anno fa pensando a Lydia Davis e Raymond Carver – con al centro un incontro di sesso deludente tra due persone quasi sconosciute, la ventenne Margot e il trentaquattrenne Robert? A leggere gli altri racconti pieni di risvolti strani o sanguinosi della raccolta intitolata You Know You Want This, pagata dall’editore americano un milione e duecentomila dollari e appena uscita in Italia con il titolo Cat Person per Einaudi Stile Libero, la prima cosa che si nota è che “Cat Person”, il racconto, non assomiglia agli altri contenuti nella raccolta: «Molti hanno dato per scontato che fosse autobiografico», racconta Roupenian. «È frustrante. Ce la metto tutta per scomparire dalle storie, rendere invisibili la tecnica e l’impegno che ci sono dietro, presentarle come verosimili perfino quando compaiono mostri o omicidi. Ma alcuni lettori interpretano la trasparenza della scrittura come il segno che devo aver messo giù, pari pari, qualcosa che è capitato a me».

Ecco, il fatto che Kristen Roupenian sia una donna (e che “Cat Person” sia scritto in una terza persona vicinissima alla ragazza protagonista), inizia a crescere di importanza. “Cat Person” non è un racconto sperimentale in senso stretto, ma è tra gli esempi più validi di come si possa rappresentare una voce femminile desiderante nelle relazioni di oggi: «“Cat Person” non parla di me, ma è ispirato a un breve incontro sgradevole che ho avuto con una persona conosciuta online», ha dichiarato Roupenian. Il presente non è facile da afferrare. Il sesso occasionale come pratica di tutti i giorni finora lo hanno descritto soprattutto scrittori maschi omosessuali, come Edmund White con Caos, Renaud Camus con Tricks e da noi Walter Siti. Con il personaggio di Margot in “Cat Person” Kristen Roupenian si è addentrata in un territorio quasi inesplorato. Ha rivelato, con la voce di una donna, l’ambivalenza e le molteplici intenzioni che ci sono sempre dietro l’idea di un incontro casuale (stai cercando un orgasmo? Una storia d’amore? Vuoi sentirti potente o generosa? Vuoi ferire e poi scomparire? Vuoi provare dolore?); i feticismi privati e le proiezioni con cui ci balocchiamo e che usiamo per costruirci un’immagine della persona che decidiamo di incontrare: «Una delle cose che volevo fare era mettere in luce l’inconsistenza degli indizi che usiamo per dare un giudizio sulle persone che conosciamo al di fuori della nostra rete sociale», ha detto la scrittrice.

«Quando presumiamo che il dettaglio che qualcuno preferisca i gatti ai cani o abbia un particolare senso dell’umorismo in chat significhi qualcosa, quasi sempre ci inganniamo». Non è un caso se in “Cat Person” i gatti vengono evocati ma non compaiono mai. C’è di più. Robert, nel racconto, «aveva qualche chilo di troppo, la barba un po’ lunga e le spalle vagamente piegate in avanti, come se stesse proteggendo qualcosa». E poi eccolo nudo: «…goffamente piegato, la pancia grassa e molle e coperta di peli», con «un’aria stupefatta e stordita di piacere, come un neonato ubriaco di latte». Margot commenta, oggettifica, giudica, disprezza il corpo di Robert. Ride di lui, in cuor suo lo sbeffeggia. E questo ha provocato delle reazioni, un backlash archiviato su Twitter dall’account ironico-femminista Men React to Cat Person (@MenCatPerson): «Sembra di leggere un post di Facebook», dice uno. Un altro lo definisce «articolo sessista». Un altro ancora, in un afflato sincero da mansplainer inconsapevole, consiglia una possibile evoluzione narrativa: «Magari, un anno dopo, Margot incontra Robert più magro e ripulito, che le rivela che gli ultimi messaggi insultanti non li ha scritti lui».

Kristen Roupenian ha raccontato di aver ricevuto da alcuni lettori, un po’ come capita con le foto di parti del corpo non richieste, dei racconti dettagliati di sesso secondo loro ben riuscito. Ma perché si sono sentiti tanto offesi, toccati nel vivo da questo racconto? «Credo che la fermezza dello sguardo di Margot, il modo in cui osserva Robert anche mentre le sue valutazioni e i suoi sentimenti cambiano, sia qualcosa che molti lettori hanno trovato sconcertante», dice Roupenian. «Non posso biasimarli. È sgradevole essere guardati con spietatezza così da vicino. Di sicuro, a noi donne accade sempre». E qui entra in gioco il Me Too, che aleggia come un fantasma su tutta la dinamica del rapporto tra Margot e Robert ed è stato tirato in ballo tante volte dai commentatori del racconto. Ma il loro incontro non scivola mai nell’abuso: Margot non è mai costretta a fare sesso con Robert. Alla fine lo fa soprattutto per non sembrare, ai propri stessi occhi, «viziata e capricciosa, come una che ordina qualcosa al ristorante e poi, quando arriva il piatto, cambia idea e lo manda indietro». Margot ha vent’anni, sta decodificando la propria identità sessuale e nel racconto non c’è l’ombra di moralismo. È facile immaginarla mentre legge Slutever, l’illuminante memoir di Karley Sciortino, e capisce che il sesso occasionale è una delle esperienze irrinunciabili della vita. Il Me Too si riversa in questa storia come un colorante, un liquido di contrasto che dona fosforescenza alle cose che non vanno, cose di cui prima neanche ci accorgevamo.

«Il 2018 è stato l’anno più bello della mia vita, anche se sono morta di stanchezza e di terrore almeno una ventina di volte», dice Kristen Roupenian in un video su YouTube. Si vede che è una persona timida e fa uno sforzo immenso per parlare in pubblico. Gli anni di gavetta non preparano a reggere un’attenzione così esplosiva in un momento già pieno di novità: «Avevo trentasei anni e avevo iniziato da pochi mesi la mia prima relazione seria con una donna», ha detto. I racconti che ha scritto quando nessuno la leggeva hanno dentro elementi fantastici che hanno l’aria di una rivalsa: «Sapevo che il mondo è più interessante di quello che finge di essere», dice la protagonista di una delle storie in una situazione da horror. Ma a parlare nel libro non sono solo le donne: ci sono tanti personaggi, maschili e femminili, che rappresentano tutti noi quando siamo stati sfigati, perdenti, delusi in amore, gli ultimi della scuola. Indistinguibili. Come in un passaggio, rivelatore, di “Il bravo ragazzo”: «Rachel – la sua ragazza, il suo specchio – si era messa a ballare. Con la sola biancheria intima addosso, con le tette minuscole che tremolavano, stava inscenando un odioso balletto, una danza di scherno per Ted. Un ballo che concentrava, allo stesso tempo, tutto quello che Ted disprezzava in lei e tutto quello che disprezzava in se stesso».