Bulletin ↓
16:46 domenica 15 giugno 2025
Dua Lipa e Callum Turner si sono innamorati grazie a Trust di Hernan Diaz Il premio Pulitzer 2023 è stato l'argomento della prima chiacchierata della loro relazione, ha rivelato la pop star.
In dieci anni una città spagnola ha perso tutte le sue spiagge per colpa della crisi climatica  A Montgat, Barcellona, non ci sono più le spiagge e nemmeno i turisti, un danno di un milione di euro all’anno per l'economia locale.
Ai Grammy dal 2026 si premierà anche l’album con la migliore copertina È una delle tante novità annunciate dalla Record Academy per la cerimonia dell'anno prossimo, che si terrà l'1 febbraio.
Ronja, la prima e unica serie animata dello Studio Ghibli, verrà trasmessa dalla Rai Ispirata dall’omonimo romanzo dell’autrice di Pippi Calzelunghe, è stata diretta dal figlio di Hayao Miyazaki, Goro. 
Ogni volta che scoppia un conflitto con l’Iran, viene preso come ufficiale un account dell’esercito iraniano che però non è ufficiale Si chiama Iran Military, ha più di 600 mila follower ma non ha nulla a che fare con le forze armate iraniane.
L’unico sopravvissuto al disastro aereo in India non ha idea di come sia riuscito a salvarsi Dopo l’impatto, Vishwash Kumar Ramesh ha ripreso i sensi in mezzo alle macerie: i soccorritori l’hanno trovato mentre cercava il fratello.
L’Egitto sta espellendo tutti gli attivisti arrivati al Cairo per unirsi alla Marcia mondiale per Gaza I fermati e gli espulsi sono già più di un centinaio e tra loro ci sono anche diversi italiani.
Per ricordare Brian Wilson, Vulture ha pubblicato un estratto del suo bellissimo memoir Si intitola I Am Brian Wilson ed è uscito nel 2016. In Italia, purtroppo, è ancora inedito.

Whiplash (e il Festival di Sanremo)

Un bel film che esce domani nei cinema e avrà ai prossimi Oscar il ruolo di "cosa stramba e di qualità" che gli Elio e le Storie Tese hanno avuto nella nota kermesse musicale. Da vedere.

11 Febbraio 2015

Non so per quale motivo ma nell’ultimo periodo, quando mi metto davanti al foglio bianco e comincio a ordinare le idee sull’articolo che sto per scrivere, mi viene sfortunatamente in mente quasi sempre un paragone o un parallelismo con il Festival di Sanremo. Soprattutto adesso che siamo in clima caldo pre-Oscar 2015. Due settimane fa, quando abbiamo decretato il terribile momento di stanca del biopic, vi ho spiegato come quella sicurezza che ci regala la notte degli Oscar sia simile alla liturgia con cui ogni anno ci deprimiamo di fronte al Festivàl della canzone italiana. Spettacoli immutevoli, capaci di regalarci con il loro immobilismo una sorta di serenità (o amarezza) interiore. Certo, ogni anno ci sono delle piccole differenze, sia per quanto riguarda la struttura dello spettacolo in sé, sia per quanto riguarda la sua percezione da parte del pubblico, ma anche questi piccoli scarti fanno parte di quello schema. Da qualche anno a questa parte c’è un altro elemento che rende simili gli Oscar e Sanremo: la presenza in gara dell’outcast, di quello strano.

1996. Sul palco dell’Ariston salgono gli Elio e le Storie Tese. Ne scendono da vincitori morali, soprattutto facendo capire che non di soli Amedei Minghi e Marie Nazionali vive il Festival. Ci vuole qualcosa in più, un gruppo o un personaggio che porti una ventata di aria fresca. Risulta ormai necessario – anche per dare un po’ di credibilità a una manifestazione che ormai mostra apertamente la corda – che ci sia qualcuno che possa vincere senza vergogna il Premio della Critica, o qualcun altro a cui chiedere l’annuale dose di “locura”. 1997, Pitura Freska. 1998: Piccola Orchestra Avion Travel. 1999: Daniele Silvestri. 2000: Subsonica. Da Elio in avanti è stato un fiorire di Bluvertigo, Timoria, Sergio Cammariere, Neffa, Afterhours e via dicendo. Lo stesso processo è avvenuto anche per quanto riguarda gli Oscar.  Da un po’ di anni a questa parte, al fianco dei film per cui Meryl Streep vincerà un Oscar, a quelli noiosi e lunghi diretti da Spielberg o a quelli per cui “è tanto bello e ho pianto tanto”, c’è la quota locura.

A Carlo Conti toccherà presentare alle amiche di mia mamma questo strano cantante rap, “tale Nesli”. Noi invece ci siamo stupiti di trovare nelle otto pellicole candidate alla statuetta come Miglior Film, Whiplash del giovane Damien Chazelle.

1996: Ragione e Sentimento di Ang Lee. 1997: Fargo dei fratelli Coen. 1998: The Full Monty di Peter Cattaneo. 1998: La Sottile Linea Rossa di Terence Malick. 1999: American Beauty di Sam Mendes. 2000: Traffic di Steven Soderbergh. E poi ancora titoli come Lost in TranslationSidewaysLittle Miss Sunshine e tanti altri “piccoli film indipendenti”. Vediamo quest’anno qual è la situazione. A Carlo Conti toccherà il difficile compito di spiegare alle amiche di mia mamma chi è questo strano cantante rap, “tale Nesli”. Noi invece ci siamo stupiti di trovare nelle otto pellicole candidate alla statuetta come Miglior Film, Whiplash del giovane Damien Chazelle. Vi torna il discorso?

Vediamo di cosa parla Whiplash. Si tratta, come già il primo lavoro di Chazelle, di un film musicale, jazz. Qui si racconta il rapporto tra un giovane aspirante batterista iscritto al Conservatorio di New York, interpretato da Miles Teller, e il suo professore/direttore d’orchestra, il roccioso J.K. Simmons. Il primo è disposto a tutto pur di eccellere, pur di diventare il prossimo Buddy Rich. Per lui non c’è nulla di più importante di riuscire a diventare immortale grazie alla propria passione, la musica. Il secondo invece è il Terrore di tutti gli studenti. Un perfido dittatore – muscoloso e di nero vestito – che non vede l’ora di vessare in lungo e in largo chiunque gli si pari davanti. Perché lo fa? Perché è pazzo, ovviamente. Ma non solo: lo fa perché, come dice in una sequenza, per lui non ci sono nella lingua inglese due parole più dannose di “buon lavoro”. Chi si accontenta, chi non vuole varcare i propri limiti per diventare Leggenda, non è degno di stare nella sua classe. Il talento e la passione del primo andranno a scontrarsi con la  cattiveria del secondo, dando vita a un’appassionante guerra combattuta con bacchette da batterista, sedie lanciate da una parte all’altra dell’aula e velenosissime battute di sceneggiatura.

Whiplash è girato in maniera spettacolare: Chazelle tenta di raccontare per immagini utilizzando la struttura della musica  jazz, soprattutto quella dei pezzi cardini del film.

In un’annata particolarmente piatta per gli Academy Awards, in cui tutti i film sembrano essere il Manifesto di una categoria “Acchiappa Oscar”, Whiplash è – come già detto – il film outsider, la novità. Al fianco del film sui problemi razziali, oltre a quello sul Genio e la sua Sregolatezza o il Genio e la sua Malattia, dopo quello autoreferenziale sul divismo hollywoodiano, c’è lui: il film piccolo, girato dallo sconosciuto, capace di regalare la parte della vita al caratterista che è sempre stato bravo anche se in pochi si ricordavano il nome, ambientato nel mondo alto e culturale del jazz. Sì, non c’è che dire, Whiplash ha tutte queste caratteristiche. Ma ad un secondo sguardo ci si accorge che nella struttura richiama molto da vicino la pellicola sportiva/musicale americana della metà degli anni Ottanta. Qualche titolo: Flashdance Karate Kid.  La sfida del giovane apprendista per emergere, anche contro tutto e tutti. La classica battaglia più grande di noi, che alla fine però si vince e che ci fa uscire dal cinema sempre e comunque sorridenti e ispirati. Che il giorno dopo ci si vada a iscrivere a un corso di danza, di karate o di batteria la cosa non cambia, no?

Ma c’è però in questi film una differenza sostanziale. Per prima cosa Whiplash è girato in maniera spettacolare. Non fraintendete: anche Karate KidFlashdance sono film più o meno inattaccabili dal punto di vista della messa in scena. Ma se in questi ultimi due casi il tutto era piegato ad esaltare la narrazione, qui Chazelle tenta di raccontare per immagini utilizzando la struttura della musica  jazz, soprattutto quella dei pezzi cardini del film, quindi la titletrack “Whiplash” di Hank Levy e la bellissima “Caravan” di Juan Tizol. Per cui preparatevi ad assistere ad un tripudio di stacchi a tempo sincopatissimi, che faranno la felicità di tutti gli appassionati di Buddy Rich. Ma oltre a questo, particolarmente evidente nell’incipit e nel bellissimo finale, c’è tutta quell’aria da film indipendente americano che ormai abbiamo imparato a conoscere a memoria. Ma non si tratta di una differenza solo stilistica.

Anche in Whiplash si parla di talento, ma la cosa interessante è come l’accento sia posto principalmente sul lavoro, sulla fatica, sugli sforzi che una persona può fare per arrivare dove vuole.

Quello che Whiplash racconta, ed in questo mi sembra stia la vera novità, è la storia di un’autoaffermazione. Siamo sempre stati abituati a incontrare nel cinema americano personaggi “nati per”. Abbiamo avuto sfilze di predestinati, di quelli che hanno ricevuto a sorpresa la visita de la Natura in fregola di fare doni. Personaggi che, anche se poveri e obbligati a fare i bidelli, erano in grado di risolvere le equazioni difficilissime che professori sbadati lasciavano irrisolte sulle lavagne. Pazzi con svariati vizi capaci di vedere le carte da gioco. Drogati dal capolavoro facile. Musicisti nati con la musica nel sangue. Certo, anche in Whiplash si parla di talento, ma la cosa interessante è come l’accento sia posto principalmente sul lavoro, sulla fatica, sugli sforzi che una persona può fare per arrivare dove vuole. La perfezione non è un concetto totalmente astratto che si può raggiungere solo grazie a un fattore indefinibile e quasi magico, ma un traguardo che si può passare con il lavoro e la fatica.

Concludiamo spendendo due parole sul cast: Miles Teller – che fra poco vedremo nella parte di Reed Richards in quel disastro annunciato che sarà i Fantastici 4 – è decisamente bravo e convincente nella parte dello studente adolescente disposto a sacrificare la sua vita sentimentale per un assolo fatto bene. Suo padre è un irriconoscibile Paul Reiser, che forse qualcuno ricorda come caratterista spalla comica di Eddie Murphy in Un Poliziotto a Beverly Hills o perfido traditore in Aliens – Scontro Finale. Ma la parte del leone la fa inevitabilmente J. K. Simmons. L’attore di Detroit, classe 1955, è in giro da 30 anni, da quando fece una piccola parte nel film per la TV Il Braccio Violento della Legge 3.  Da allora ha lavorato sodo, ha dato tutto quello che poteva, passando per pellicole come Un Colpo da Campione (ironia della sorta, un film in cui il coach Albert Brooks scopre un talentuoso ma problematico giocatore di baseball con la faccia di Brendan Fraser) fino ad arrivare a piccole parti di lusso come quella in Spider Man di Raimi, in cui era un Jonah J. Jameson identico a quello dei fumetti, o alla parte del padre nel film Juno. Qui sa di giocarsi la parte della vita. E non ne sbaglia una.

Immagine: una scena di Whiplash

Articoli Suggeriti
Ripensare tutto

Le storie, le interviste, i personaggi del nuovo numero di Rivista Studio.

Il surreale identikit di uno degli autori dell’attentato a Darya Dugina diffuso dai servizi segreti russi

Leggi anche ↓
Ripensare tutto

Le storie, le interviste, i personaggi del nuovo numero di Rivista Studio.

Il surreale identikit di uno degli autori dell’attentato a Darya Dugina diffuso dai servizi segreti russi

La Nasa è riuscita a registrare il rumore emesso da un buco nero

Un algoritmo per salvare il mondo

Come funziona Jigsaw, la divisione (poco conosciuta) di Google che sta cercando di mettere la potenza di calcolo digitale del motore di ricerca al servizio della democrazia, contro disinformazione, manipolazioni elettorali, radicalizzazioni e abusi.

Odessa ex città aperta

Reportage dalla "capitale del sud" dell'Ucraina, città in cui la guerra ha imposto un dibattito difficile e conflittuale sul passato del Paese, tra il desiderio di liberarsi dai segni dell'imperialismo russo e la paura di abbandonare così una parte della propria storia.

Assediati dai tassisti

Cronaca tragicomica di come non sia possibile sfuggire alla categoria più temuta e detestata del Paese.