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Perché il New York Times ha attaccato Ronan Farrow

Noto per il proprio lavoro d’inchiesta con cui Ronan Farrow si è conquistato negli anni l’ammirazione di gran parte dell’opinione pubblica grazie all’articolo decisivo apparso sul New Yorker che fece a pezzi Harvey Weinstein e che fu all’origine del #MeToo, il figlio di Mia Farrow e Woody Allen (nonostante lei abbia spesso affermato di averlo avuto con Frank Sinatra, ma questa è un’altra storia) è stato accusato sul New York Times di aver eccessivamente romanzato i propri scoop, «troppo belli per essere veri».

Era il 10 ottobre del 2017. Ronan pubblicava la prima delle sue storie sul New Yorker, in cui oltre alle dettagliate accuse di molestie sessuali di decine di attrici, svelava i nomi dell’esercito compiacente di Weinstein – il tutto, proprio mentre si infoltiva la lista di attrici che si sono dette pentite di aver lavorato con Woody Allen, dopo l’ennesima richiesta da parte di Dylan Farrow, sorella di Ronan, di una presa di posizione nei confronti del padre adottivo accusato nel 2014 di averla molestata. Ronan e Woody Allen, Allen e Dylan, Allen e Mia Farrow: un cortocircuito fatto di interviste, obiezioni, dubbi e accuse su cui nel tempo si sono spese numerose riflessioni. Che ha visto Ronan più volte difendere pubblicamente la sorella (esponendosi anche contro il proprio editore dopo aver appreso che Hachette avrebbe pubblicato il memoir del padre, che poi, proprio per questo, non ha pubblicato, così come in America non è uscito il suo ultimo film, A Rainy Day in New York), e lo stesso Woody Allen esprimersi contro l’ex moglie, che in chiusura del libro, A proposito di niente, definisce «una squilibrata. È stato molto divertente vedere tutta quella gente scalmanarsi per aiutarla a realizzare la sua vendetta».

È questo il contesto grazie a cui Ronan Farrow, secondo Ben Smith, ex direttore di BuzzNews, avrebbe realizzato i propri scoop, arrivando a vincere anche il Pulitzer: «Se scavi sotto gli articoli che ha scritto per il New Yorker e il suo bestseller del 2019 Catch and Kill, cominci a vedere crepe nelle fondamenta». Stando a quanto afferma Smith, infatti, «Farrow produce racconti irresistibilmente cinematografici – con eroi e cattivi definiti in bianco e nero – ma spesso omette fatti complicati e dettagli sconvenienti che potrebbero rendere il racconto meno drammatico. A volte non segue gli imperativi giornalistici che esigono di confermare quanto affermato. A volte suggerisce cospirazioni che sono invitanti ma che non può provare». Non solo: benché nel lungo articolo, Smith ammetta che Farrow «ha prodotto articoli rivelatori su alcune delle vicende che definiscono il nostro tempo», a un esame più attento si noterebbero tutte le debolezze di «quel “giornalismo della resistenza” che sta prosperando nell’era di Donald Trump», scrive Smith.

Non è la prima volta che qualcuno mette in dubbio le posizioni di Ronan, o più precisamente, la loro totale veridicità. Come ricorda il Guardian infatti, le sue esposizioni sugli abusi sessuali lo hanno portato a essere seguito da investigatori privati ​​impiegati proprio da Harvey Weinstein, e alle accuse del suo ex datore di lavoro, NBC News, di aver detto «bugie colorite». La nuova ipotesi circa un «abbellimento eccessivo dei fatti», ha sottoposto l’articolo di Smith a numerose critiche da parte della stampa e non solo. Ma se in molti come Jesse Eisinger di ProPublica hanno affermato che le parole di Smith siano «sciocche e imprecise», tanti dubbi ancora rimangono. «Si tratta di una vera opera di debunking, che nessuno a livello giornalistico ha mai messo in atto con le inchieste di Ronan Farrow», ha scritto Erin Wemple del Washington Post.