Commesse disperate, proposte di vietare l’ingresso nei beauty store ai minori di 10 anni e preadolescenti fissate con la skincare: perché su Instagram e TikTok si sta parlando tanto di Sephora Kids.
La nuova tendenza nell’industria del beauty è vendere prodotti di bellezza anche a bambine di 3 anni
Da anni si parla di Sephora Kids, ma adesso ci sono storie che riguardano bambine addirittura più piccole.
Una maschera viso fresca e idratante, infusa di vitamina B12 per migliorare la grana della pelle: questa la proposta di Rini, brand di prodotti di bellezza che si rivolge a bambine piccolissime, di tre o quattro anni d’età. Se pensavate che il peggio che potesse capitare da questo punto di vista fosse il fenomeno ribattezzato Sephora Kids – gruppi di preadolescenti che prendono d’assalto i negozi Sephora, alla caccia di prodotti di bellezza di cui non hanno ovviamente nessun bisogno – ecco che la realtà, ancora una volta, vi ribadisce che al peggio non c’è mai fine.
L’industria della cosmesi sembra aver deciso che quello della primissima infanzia è un mercato come tutte gli altri: l’iniziativa di Rini, definita “distopica” da un lungo reportage del New York Times, non è isolata e rientra in un trend che vede da un lato l’abbassamento dell’età media in cui si cominciano a usare i prodotti di bellezza e dall’altro il continuo aumento di questi consumi tra i pre adolescenti. Negli Stati Uniti per esempio, nel 2024 sono stati spesi oltre 2,5 miliardi di dollari nell’acquisto di prodotti di cosmesi per bambini tra i 7 e i 12 anni. Forse è per questo che Rini ha deciso di rivolgersi a un’altra fetta demografica: perché ha visto che questa, ormai, è già satura.
L’industria cosmetica si difende dalle critiche ricevute spiegando che questi prodotti sono pensati per i bambini, non solo nel packaging – che ricorda quello di giocattoli e cartoni animati – ma anche nelle ricette: questi cosmetici sono più blandi e delicati di quelli per gli adulti (e ci mancherebbe pure altro, verrebbe da dire). Le aziende finite sotto accusa si sono difese quasi tutte nello stesso modo, sostenendo cioè che è meglio che i bambini abbiano dei prodotti a loro dedicati, perché altrimenti finirebbero a “rubare” quelli degli adulti che vogliono imitare, come sempre fanno i bambini. Al di là di tutte le spiegazioni e le scuse, è evidente che l’industria del beauty consideri l’infanzia come una fetta demografica qualsiasi, a cui applicare le stesse logiche di mercato che si applicano anche per gli adolescenti, i giovani adulti e gli adulti.
Finita l’era dei volti gonfi di filler, della body positivity e dei tatuaggi, sono tornate magrezza, facce scavate e corpi puliti, insieme a una quantità incalcolabile di routine, strumenti e prodotti che, ancora una volta, spingono grandi e piccoli verso modelli irraggiungibili di perfezione.
Soprattutto ne è convinto il loro maschio alfa Peter Thiel, che alla questione ha anche dedicato un ciclo di conferenze. Secondo lui, tutti i mali del mondo sono riassunti nelle parole, opere e missioni di Thunberg.
Nel momento in cui la comunità è stata rimpiazzata da app e device, la genitorialità è diventata missione impossibile e merce preziosissima per le aziende, come racconta la giornalista Amanda Hess nel suo libro Un'altra vita.