Cose che succedono | Attualità

La rivendicazione dell’Isis per l’attentato di Orlando è credibile?

Lo Stato islamico ha rivendicato nel giro di poche ore la responsabilità dell’attentato a Orlando, in Florida, dove sabato notte (domenica in Italia) un uomo armato ha aperto il fuoco in un locale gay uccidendo 49 persone. Si tratta della sparatoria più letale nella storia degli Stati Uniti. La rivendicazione è avvenuta tramite Amaq, l’agenzia di stampa dell’organizzazione terroristica, nota anche come “Isis”,  “Daesh” oppure “Is”.

Qualcuno ha sollevato dubbi sull’attendibilità della dichiarazione, che ha toni decisamente propagandistici. E che, peraltro, esagera il numero delle vittime: «Fonti dicono all’agenzia che l’attacco contro un nightclub omosessuale in Florida, dove sono morte più di cento persone, è stato effettuato da un combattente dello Stato islamico», si legge nel lancio d’agenzia.

Nel caso specifico, i dubbi di un coinvolgimento (diretto, o più probabilmente indiretto, insomma di “ispirazione”) dello Stato islamico sono pochi: l’attentatore, Omar Mateen, un ventinovenne americano di origine afgane, era già stato indagato dall’Fbi per questioni di terrorismo; inoltre secondo alcune ricostruzioni avrebbe dichiarato la sua fedeltà all’Isis durante una telefonata al 911, l’equivalente Usa del 118.

US-ATTACKS-GAY

Tuttavia, come è stato fatto notare, la rivendicazione da parte di un’organizzazione terrorista non equivale a una conferma che sia stato  quel gruppo ad effettuare l’attentato. Non mancano i casi di estremisti che hanno provato a prendersi il “merito” di stragi o crimini compiuti da altri. Uno dei casi più famosi è quello do Lockerbie, l’attentato contro il volo inglese del 1988, immediatamente rivendicato da svariate entità, prima che il governo libico ammettesse la propria responsabilità decenni dopo. Un esempio più recente viene dal Bangladesh, Paese asiatico scosso da una serie di violenze, dove al-Qaeda e l’Isis si sono attribuiti la responsabilità dei medesimi attentati, nonostante i due gruppi siano “concorrenti”.

Perché i terroristi cercano (talvolta) di appropriarsi di crimini altrui? Ha provato a spiegarlo Brian Jenkins, analista del think tank Rand Corporation, intervistato dal sito Live Science: «Il terrorismo è prima di tutto una forma di comunicazione. In alcuni casi, diventa una competizione, e ci si ritrova con delle rivendicazioni rivali per lo stesso attentato. In altri casi, ci sono dichiarazioni false, dove delle organizzazioni si prendono il merito per operazioni partite da ordini non loro. In altre parole, i terroristi (come suggerisce il nome) capitalizzano sulla paura della violenza più ancora che sulla violenza tout court, dunque dal loro punto di vista conviene rivendicare il numero più maggiore possibili di attentati, indipendentemente da chi li ha commessi e/o ordinati in realtà. Dunque le rivendicazioni possono essere false.

Il problema è che, quando è coinvolto l’Isis, la faccenda si fa più complicata. Una delle caratteristiche dello Stato islamico infatti è quella di incoraggiare le azioni dei cosiddetti “lupi solitari”. Infatti leader dello Stato islamico avevano annunciato alla vigilia del Ramadan, il mese sacro del calendario islamico, che qualunque musulmano avesse effettuato un attacco sarebbe stato considerato un loro seguace. Il messaggio che stanno mandando è più o meno questo: chiunque voglia uccidere gli infedeli, lo faccia pure di propria iniziativa e noi saremo ben contenti di dare la nostra benedizione, anche a posteriori; giurare fedeltà all’Isis è pratica gradita ma non necessaria.

Dunque il terrorista di Orlando avrebbe potuto agire in modo del tutto autonomo – animato dall’omofobia, dal radicalismo islamico, da una combinazione delle due cose, o persino anche da altre motivazioni che ignoriamo – senza avere legami diretti con l’Isis ma ricercando comunque un cappello ideologico dell’organizzazione terroristica. Che, dal canto suo, è più che contenta di fornirglielo.

 

Una veglia a Wellington, in Nuova Zelanda, e una a Dallas, in Texas (MARTY MELVILLE e LAURA BUCKMAN per AFP/Getty Images)