Attualità

La gentrificazione dei meme

Un'intervista agli autori di alcune delle pagine che stanno ridisegnando i confini della risata colta su Facebook, tra nonsense ed estetiche vaporwave.

di Davide Piacenza

Negli ultimi tempi – direi mesi, forse anni: nella cultura digitale il tempo è dilatato come nello spazio cosmico – si sono affermate su Facebook pagine peculiari, votate come molte altre all’ironia da social network ma con stili più raffinati e riconoscibili. Frequentandole un po’, danno l’idea di spazi “just for the lol” evoluti, che hanno raccolto intorno a loro comunità di utenti che hanno voglia di ridere grazie a complesse fiction superomistico-sentimentali con protagonista Maria Elena Boschi, finti meta-titoli del quotidiano Libero e fotomontaggi con Pippo Baudo rivisitato in chiave vaporwave. Mescolando alto e basso, personaggi della commedia italiana e attualità nazionale e internazionale, gergo mutuato dalla cultura digitale e personaggi di bolsi sceneggiati Rai, neorealismo e Di Battista, questo gruppo delimitato di pagine ha inventato un linguaggio immediatamente identificabile, capace di creare nuovi universi regolati da codici interni, e poetiche sui generis che conquistano quella fetta di utenti più acculturata e consapevole, con un gusto per l’ironia sottile, che solitamente rimane fredda davanti alla comicità più standard.

Ci troviamo di fronte alla gentrification dei meme? I creatori di tre fra i più importanti centri di questa Nouvelle Vague internettiana – “Karbopapero 900”, “Oznerol” e “Logo comune” – hanno risposto ad alcune nostre domande sul loro mestiere di memificatori (altre, come “Bispensiero”, alias Alessandro Longo, forse il più demiurgico del gruppo, e “Hai già scelto che gif mettere sulla tua lapide?”, non hanno potuto o hanno scelto di non partecipare). Il quarto intervistato, Raffaele Alberto Ventura, lavora nel marketing di un grande brand editoriale a Parigi e scrive su diverse testate (compreso Studio) ma è anche un frequente riferimento o nume tutelare di alcune di queste pagine (se nessuno si offende per la proporzione, possiamo dire che Ventura e la sua pagina/sito, “Eschaton”, stanno a esse come papa Wojtyla stava a Solidarnosc).

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ⓢ La domanda fatidica, irrinunciabile, originalissima: come hai iniziato, perché?

Karbopapero 900: Avevo già un’altra piccola pagina, creata più per noia/emulazione che per effettivo divertimento, con la quale cercavo di capire un po’ come funzionassero le dinamiche delle pagine meme all’interno di Facebook; per capire se lo potessi fare anch’io, insomma. Sono andato avanti per qualche mese con quella, fino a quando mi sono ritrovato ad avere alcuni meme non ancora pubblicati che erano però distanti stilisticamente da quelli che avevo fatto fino a quel momento, così ho deciso di ricominciare daccapo e aprire Karbopapero 900, stavolta con effettivo divertimento. (Karbopapero in esperanto vuol dire “carta carbone”, così strizzo l’occhio alla riproducibilità dei contenuti tanto cara al signor Benjamin, e faccio vedere che ho studiato).

Oznerol: Ti darò una risposta originalissima: per gioco. Prima della pagina Facebook ho iniziato su YouTube, nel 2011 mi pare, ma i primissimi video erano cose su cui ridere con tre o quattro amici (considera che la maggior parte avevano come protagonista il mio cane). Poi stranamente la gente ha cominciato a ridere delle mie cose, e allora mi sono detto: beh, allarghiamo ‘sto linguaggio. Poi una cosa tira l’altra, sai, e allora sono sbarcato anche su Facebook.

Logo comune: Logo comune risponderebbe “perché ce lo chiede il Paese reale (che è solo un’astrazione)”. Diciamo che è un buon modo per sfogare un’endemica tossicodipendenza da telepolitica e un complicato rapporto con la realtà.

Eschaton: La mia pagina nasce ai tempi di Splinder, la prima piattaforma di blogging italiano, attorno al 2004: all’epoca si chiamava “Violent Unknow Event”. Già all’epoca alternavo post scritti e fotomontaggi, ad esempio ne ricordo uno con Hermann Hesse prigioniero nel covo delle Brigate Rosse. Di tutta evidenza faceva riferimento a qualche notizia dell’epoca, ormai dimenticata: certi memi, evidentemente, invecchiano male. Anche se “meme” ovviamente non era ancora il termine esatto, perché di fatto all’epoca queste immagini non circolavano poiché mancavano le infrastrutture (ovvero i social network).

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ⓢ Nella ormai vagamente complicata galassia dei meme italiana, viene istintivamente da accostare la tua pagina alle altre coinvolte in questa intervista: cosa vi lega, secondo te? L’immaginario? Il tono? Lo stile? L’estetica un po’ vaporwave e un po’ analogica?

Karbopapero 900: Forse l’elemento che più ci unisce è l’atmosfera di verosimiglianza nelle immagini che pubblichiamo. A prescindere dal fatto che un meme possa avere basi realistiche o totalmente assurde, se è photoshoppato bene finirai per voler credere che sia vero, è un godimento visivo che cerca un po’ di fare da stampella alla nostra immaginazione. Poi, più in generale, uno degli elementi caratterizzanti è il non voler seguire i trend attualmente in voga su Facebook: penso banalmente che sia molto più facile esprimersi creativamente facendo qualcosa di originale che non creando l’ennesimo clone della Fabbrica del Degrado.

Oznerol: È una bella domanda, ma più che l’estetica sono due, secondo me, i punti che ci accomunano. Il primo è che tutte queste pagine vengono in parte considerate una sorta di diario personale pubblico. È molto alla “chissà cosa ne pensa Oznerol di questa faccenda”, anche perché siamo pagine che “campano” principalmente dell’istantaneità della notizia o del nuovo fenomeno. C’è sempre quel giochino da parte del nostro pubblico di vedere cosa faranno Hai già scelto che gif mettere sulla tua lapide?, Karbopapero e Oznerol su una determinata notizia. L’altro punto riguarda più il tipo di lavoro e di comicità. Mentre spesso le immagini delle grandi pagine Facebook puntano molto su una comicità testuale, qui si cerca di arrivare a una comicità più velata e fatta di riferimenti, sta al pubblico capire cosa accomuna un determinato personaggio con una certa situazione.

Logo comune: C’è da dire che Logo comune è l’ultimo arrivato ed è anche fan di queste pagine, che segue da tempo e verso cui – inutile negarlo – ha qualche debito stilistico. Questo perché probabilmente alla base ci sono immaginari più o meno condivisi. Anni di efferato cineforum ai tempi del liceo, studi di comunicazione, una pregressa frequentazione dell’ambito giornalistico, nonché l’ostinata resistenza di un televisore a tubo catodico (ormai purtroppo passato a miglior vita) in casa hanno fatto il resto.

Eschaton: Con Bispensiero ci conosciamo da anni, abbiamo mosso assieme i primi passi in rete. All’epoca (e parliamo di oltre dieci anni fa) io avevo lanciato una specie di nucleo situazionista di terrorismo cognitivo chiamato “Associazione Amici di Arrigo Boito”, dedicato all’opera del sommo poeta. I blog stavano soltanto iniziando e io avevo una pagina web fatta ancora a mano con l’html, in cui documentavamo le azioni dell’Associazione: ad esempio applicavamo degli adesivi con scritto «sommo poeta» su tutte le targhe di Milano intitolate ad Arrigo Boito. Vabbè, avevo vent’anni. Questa cosa dev’essere piaciuta un sacco a Bispensiero che assieme a un amico lanciò, nella sua città, un’iniziativa parallela con azioni e reading dedicati a Boito. Questa storia antichissima può forse aiutarti a inquadrare una certa estetica (che mescola l’avanguardia con la cultura alta con il nonsense) e un certo umorismo (autistico). Siamo andati avanti ma in fondo questa cosa di Arrigo Boito potremmo riprenderla domani e sarebbe ancora coerentissima.

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ⓢ Un fil rouge che certamente vi unisce è la frequenza dei riferimenti al nazionalpopolare: Christian De Sica, vecchie commedie, talk show, l’ineffabile Magalli (per Bispensiero, ovviamente, l’archè-Meb)… Se dico che avete avuto successo anche perché vi trovate a parodiare un Paese abbastanza strano – o, uhm, caratteristico – da rasentare il nonsense, mi avvicino al nocciolo della questione?

Karbopapero 900: Dell’immaginario nazionalpopolare in Italia si ha una percezione così sacra e totemica, sia con accezione positiva che negativa, che risulta poi ancor più straniante distorcerlo o decontestualizzarlo. Più che «strano», direi che è un Paese dove la spettacolarizzazione pervade ogni cosa, tanto da far svanire il confine tra formale e informale e porci tutti all’interno dello stesso grande salotto televisivo.

Oznerol: Su Magalli sfondi una porta aperta: è stata una delle mie prime muse sul canale YouTube. Avrò fatto si e no una trentina di video solo su di lui nel 2013-2014, tanto che quand’è esplosa la nota Magalli-mania mi sono sentito un po’ espropriato del personaggio e ho deciso di non usarlo più (ok, ho addirittura creato un epitaffio del nostro rapporto). Noi lavoriamo principalmente su notizie e fenomeni del momento, siamo una sorta di Blob su Facebook, quindi direi proprio di si, senza questa Italia non si lavorerebbe. (Beh, poi “lavorare” è una parola grossissima).

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Logo comune: Sì, e in tal senso si potrebbe dire che attraversiamo un periodo particolarmente fertile: abbiamo un passato ampio a cui attingere e un presente ricco di possibilità. Vale per i riferimenti ai prodotti dell’industria culturale, ma vale anche per la politica: da un lato basti pensare al revival social della Prima repubblica (che si appresta a tornare anche nella realtà); dall’altro un presente che, rispetto alla polarizzazione del ventennio del berlusconismo, negli ultimi anni ci ha offerto tanti volti e chance nuove.

Eschaton: Il riferimento al nazionalpopolare è una moda divertente che frequento occasionalmente ma di cui non sono certo il principale esponente. Se lo faccio credo che sia per il gusto di infangare qualche mito, magari e soprattutto un mio mito, e quindi infangare me stesso, ridimensionarmi, forse flagellarmi. Prendi ad esempio quelle false copertine di romanzi classici, di cui ha parlato persino Repubblica per quanto era nazionalpopolare l’esercizio, in cui traduco i titoli dei libri nel linguaggio del clickbaiting. Il gioco funziona perché evidentemente c’è un pubblico che padroneggia entrambi i codici, quindi queste forme di umorismo sono una forma di gioco enigmistico. La risata prodotta dalla decifrazione dei vari piani di lettura fa scattare una specie di riconoscimento tra pari: “Ah, anche tu classe creativa disagiata, siamo sulla stessa barca”.

 

ⓢ C’è una tua creazione di cui vai particolarmente orgoglioso?

Karbopapero 900: Mi diverto molto tutte le volte che utilizzo il personaggio di Berlusconi, più lui diventa un meme vivente più io cerco di farlo sembrare ancora un essere umano.

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Oznerol: Sicuramente questo video di seguito, un lavoro a quattro mani con il collega catoblepacatoblepa. Lo scelgo sia per la mole di lavoro, che ci ha portato via circa 2 mesi (sono una persona molto pigra, di solito lascio perdere molte cose se per realizzarle devo impiegare più di 3-4 ore), sia perché l’ho sempre considerato una sorta di sussidiario del mio modo di far ridere (e di cosa ridere).

Logo comune: “Dibba Trance”, il video con Di Battista che dal finestrino di un treno guarda scorrere davanti ai propri occhi tutto il 2016: da Salvini che balla alla Brexit, da Erdogan che parla alla nazione via smartphone a Pokemon Go, passando per Boschi e Raggi, fino a Trump.

Eschaton: Fare memi e fotomontaggi mi rilassa, e ne ho fatti di vario genere: da quelli più demenziali che non facevano ridere nessuno a quelli così arguti che non li capiva nessuno, passando per qualcuno che ancora oggi mi pare abbastanza felice ma che comunque, diciamoci la verità, non fa ridere. La cosa stupefacente è che ho avuto più successo con i miei pensosi longform che con i miei goffi tentativi di fare memi. L’ultima volta che sono stato davvero contento, e ho provato quella sensazione incredibile che probabilmente conoscono soltanto i grandi artisti, è stato per il meme su Pertini che pugnala Janet Leigh in Psycho. Perché lì parti da un’immagine iconica, totalmente inflazionata e quindi pronta a essere détournata, e trovi una specie di combinazione perfetta, sublime.

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ⓢ Nella tua produzione convivono pop, meta-ironia, cultura nerd e riferimenti politici: sono convinto del fatto che ciò che fai è bello perché – non fraintendermi, ma non mi fraintenderai – spesso non ha alcun senso, ma sbaglieremmo a vederci anche un qualche messaggio politico, o culturale?

Karbopapero 900: Dipende tutto dall’immagine. Spesso sono accostamenti di situazioni che hanno dei punti in comune di fondo, alcune volte sono senza senso mentre altre sono diciamo più consapevoli e possono anche avere dei messaggi insiti, ma ripeto dovremmo stare a vedere caso per caso.

OznerolIl nonsense è per come lo vede il pubblico: in ogni cosa che faccio trovo sempre il modo di inserire un senso che probabilmente ha un collegamento solo nella mia testa. Gioco molto con la scelta dei titoli, della descrizione nei video o nella scelta dei contenuti e del piccolo particolare insito nelle foto. Come messaggio culturale non saprei, boh: va bene “ragazzi andate a scuola”? È un lavoro di riferimenti, c’è un messaggio di fondo per come la vedo io, ma detto questo ognuno è liberissimo di vederci quello che vuole a collegarlo nei modi più aperti.

Logo comune: Il messaggio politico-culturale (ammesso che ci sia) forse sta proprio in quel «spesso non ha alcun senso»: a volte basta un semplice sottotitolo strampalato per mostrare che sotto le strutture ricorrenti del dibattito pubblico attuale, spesso, c’è poco o nulla.

Eschaton: La prima cosa politica che mi viene in mente è: abbattere l’idea stessa che il canone culturale vada rispettato. Con il canone noi vogliamo giocare, vogliamo giocare con tutto, perché ci pare un modo bello di farlo vivere. Ma attenzione: si tratta anche di una dichiarazione d’amore per quel canone, che paradossalmente diventa importante, perché se non lo conserviamo non scatta quel meccanismo di deciframento. Il détournement è una specie di museo mobile. E poi certo c’è, in maniera chiarissima in Bispensiero ad esempio, un tentativo di fare saltare tutte le contraddizioni ideologiche contemporaneamente: lui crea questo universo parallelo, quasi fantascientifico eppure iper-realistico, in cui emerge contemporaneamente tutto l’assurdo dei discorsi in cui siamo immersi. Lui è il vero genio, il vero grande artista del nostro tempo.