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Charli xcx sarà produttrice e protagonista del nuovo film di Takashi Miike Chiusa ufficialmente la brat summer, la cantante ha deciso di dedicarsi al cinema.
A Parigi hanno dimostrato che la migliore arma contro l’inquinamento è la pedonalizzazione delle città Negli ultimi dieci anni più di 100 strade sono state chiuse al traffico e l'inquinamento è calato del 50 per cento.
Tutti i media hanno ripreso un articolo di Reuters sulla vibrazione atmosferica indotta, che però non c’entra niente con il blackout iberico (e forse non esiste) E infatti Reuters quell'articolo è stata costretta a cancellarlo.
La chiusura della più famosa sauna di Bruxelles è un grosso problema per la diplomazia internazionale A Bruxelles tutti amano la sauna nella sede della rappresentanza permanente della Finlandia. Che ora però resterà chiusa almeno un anno.
C’è un cardinale che potrebbe non partecipare al conclave perché non si riesce a capire quando è nato Philippe Nakellentuba Ouédraogo, arcivescovo emerito di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, ha 80 anni o 79? Nessuno riesce a trovare la risposta.
La Corte europea ha vietato ai super ricchi di comprarsi la cittadinanza maltese Per la sorpresa di nessuno, si è scoperto che vendere "passaporti d'oro" non è legale.
Una nuova casa editrice indipendente pubblicherà soltanto libri scritti da maschi Tratterà temi come paternità, mascolinità, sesso, relazioni e «il modo in cui si affronta il XXI secolo da uomini».
Nella classifica dei peggiori blackout della storia, quello in Spagna e Portogallo si piazza piuttosto in basso Nonostante abbia interessato 58 milioni di persone, ce ne sono stati altri molto peggiori.

Come stanno andando i consumi in Cina?

A un mese dalla riapertura dei negozi dei grandi marchi si fatica a tornare alla normalità. È il segno di un mercato in trasformazione, mentre il lusso sperimenta nuove modalità per raggiungere i suoi clienti.

05 Maggio 2020

Il solo fatto che il Pil cinese sia sceso per la prima volta dal 1992 (del 6,8% nel primo trimestre del 2020) potrebbe già essere una prima risposta alla domanda nel titolo. La questione è interessante da analizzare, in particolare dal punto di vista del settore del lusso perché la Cina di oggi, e i comportamenti dei suoi cittadini post quarantena, possono raccontarci molto di quello che succederà nel resto del mondo fra qualche mese. Dopo un lockdown di 76 giorni, la settimana scorsa Wuhan ha registrato per la prima volta zero casi nei suoi ospedali e sta per raggiungere il primo mese di ritorno alla normalità, nonostante alcune restrizioni rimangano ancora in vigore. Dal punto di vista dei consumi, però, non si è ancora registrata una vera e propria ripresa. Una ricerca della Southwestern University of Finance and Economics racconta infatti che più della metà delle famiglie ha pianificato di ridurre le proprie spese, mentre il 40 per cento ha mantenuto i propri schemi e solo il 9 per cento ha previsto di spendere di più. Anche l’update del rapporto annuale The State of Fashion formulato da McKinsey rileva che, nonostante la quasi totalità dei negozi di abbigliamento abbia riaperto, gli acquisti sono ancora al 50-60 per cento in meno rispetto al livello pre crisi.

Molti marchi sperano nel revenge buying , che potremmo definire una sorta di shopping consolatorio post crisi, ma per ora la performance del negozio Hermès a Guangzhou, che nel giorno di riapertura ha guadagnato 2,7 milioni di dollari, sembra più un’eccezione che la regola. Nei prossimi mesi a incidere sui dati potrebbe essere invece quella che viene chiamata “tendenza al rimpatrio”. È difficile pensare infatti che i consumatori del lusso cinesi tornino presto in Europa per fare shopping, per cui spenderanno di più in Cina e compreranno più prodotti cinesi, una tendenza in atto da tempo come già aveva spiegato a Rivista Studio Simone Pieranni all’epoca della sfilata annullata da Dolce & Gabbana nel novembre 2018. Il mercato del lusso cinese, d’altra parte, stava già cambiando prima della pandemia. E il lockdown con tutte le sue conseguenze, non meno importante quella che riguarda il cambiamento del modo di vestirsi, non fa che aggiungersi a una situazione complicata. I dati finanziari pubblicati dai grandi gruppi nelle scorse settimane dicono che i brand maggiormente dipendenti dal mercato cinese sono stati particolarmente penalizzati e sono anche quelli che devono lavorare a strategie di marketing ben diverse da quelle tradizionali per raggiungere un pubblico sempre più digitale e meno fidelizzato.

Un’altra ricerca McKinsey, questa volta sui consumi digitali, racconta che il mercato cinese della vendita online vale 1.5 trilioni di dollari e che è più grande di quello dei dieci nomi consecutivi della classifica messi insieme, compresi U.S.A. (600 bilioni) e Regno Unito (135 bilioni). I player più importanti sono gli e-tailer Tmall.com (proprietà di Alibaba e focalizzato sul lusso), JD.com, Pinduoduo e Suning.com. In ognuno di essi i rivenditori creano i loro negozi digitali perfettamente integrati con WeChat, l’app in cui transitano la maggior parte delle azioni online in Cina, dalla messaggistica alle notizie, dai pagamenti allo streaming di musica e film. Proprio lo streaming (live) è la tendenza che ha maggiormente contaminato la moda sulle piattaforme negli ultimi mesi. Trattasi nient’altro che di televendite in diretta, ma decisamente più social, spesso tenute da celebrity, che offrono premi e giochi a tempo. Tmall ha dato il via alla sua strategia alla fine del 2019: protagoniste del primo appuntamento Kim Kardashian e l’influencer cinese Viya Huang che hanno promosso il profumo della prima, KKW, a 13 milioni di utenti connessi. A fine marzo è stato proprio Tmall a ospitare la Shanghai Fashion Week, tutta digitale. Il formato che ha riscosso maggiore successo di pubblico è un ibrido tra la sfilata e la televendita, nel quale si possono acquistare i capi dei brand in un “see now, buy now” evoluto nella forma. Se molti marchi occidentali non hanno ancora capito come muoversi – da anni propongono le loro sfilate in streaming, ma solo come alternativa a quelle dal vivo e senza monetizzarle – la Cina si impone aggiungendo la diretta ai tanti modi di avvicinare persone e prodotto.

Altro giocatore in campo è Douyin, la versione cinese di TikTok, che è più evoluta sul lato e-commerce rispetto alla sua controparte occidentale, e quindi più appetibile per i brand (che pure stanno iniziando a muoversi anche lì). È Gucci il primo a sperimentare, con una serie di contenuti simili a quelli già pubblicati sul suo account TikTok e che vedono protagoniste le sneaker di stagione del marchio, le Tennis 1977. E anche Prada sembra muoversi in quella direzione. E poi, il mondo del gaming. La maggior parte dei videogiochi contemporanei ha due peculiarità: si gioca online con altre persone e si ha un proprio avatar, una trasposizione virtuale con tanto di look. E l’attenzione verso i look di centinaia di migliaia di giocatori sta attirando sempre di più i marchi. Lo ha già fatto Louis Vuitton, che 2019 ha realizzato le “skin” [i costumi, ndr] dei personaggi del popolare gioco League of Legends. La nuova frontiera sembra però chiamarsi Animal Crossing, il gioco per Nintendo Switch in cui si svolgono attività, si incontrano altri giocatori e si guadagnano soldi mentre il tempo scorre come nel mondo reale. Sembra piuttosto noioso fino a che non ci si imbatte in @animalcrossingfashionarchive, account Instagram che raccoglie outfit di utenti ispirati a quelli delle passerelle di Celine, Craig Green, Saint Laurent e via dicendo (la cui creazione però non ha visto il coinvolgimento del brand). Il primo a provarci seriamente è Valentino, che ha annunciato settimana scorsa la collaborazione con la fotografa Kara Chung e la possibilità di scaricare gli outfit virtuali.

Ma il futuro di Animal Crossing è incerto in Cina: Taobao (il “fratello” generalista di Tmall) ne avrebbe già vietato la vendita sulla piattaforma. Non sono state fatte dichiarazioni ufficiali, ma la decisione potrebbe stata presa come conseguenza all’utilizzo del gioco da parte di molti utenti per condividere messaggi politici. Oltre a quelli cinesi, anche i Millennial coreani stanno iniziando a diventare sempre più oggetto di interesse per i marchi occidentali. La Corea del Sud, come sappiamo, è stato uno dei Paesi che meglio ha affrontato l’emergenza sanitaria causata dal Coronavirus: da giorni nel Paese non si registrano più casi di contagio (se non quelli cosiddetti “importati”) e la vita sta lentamente tornando alla normalità senza che ci sia stato un vero e proprio lockdown come quello italiano. Dopo il calo delle vendite al dettaglio del mese di marzo, la prima settimana di aprile ha visto un notevole balzo all’insù, segno che c’è una fetta di popolazione, quella dei giovani professionisti, pronta a riprendere con le spese. Fa più paura, invece, il mercato giapponese dove il lockdown ha avuto conseguenze più gravi sulle vendite a causa della poca digitalizzazione dello shopping. L’utilizzo dell’e-commerce raggiunge solo l’8,7 per cento (contro il 35,3 per cento della Cina e il 22,2 per cento della Corea del Sud) e, con i negozi chiusi, i marchi non sono riusciti a comunicare con efficacia con la propria community.

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