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Loab, storia del mostro generato dall’intelligenza artificiale

L'ultima leggenda metropolitana dell'internet è l'inquietante immagine di una donna disegnata da una misteriosa IA: c'è chi pensa sia solo una coincidenza, chi la considera una specie di virus e chi, invece, ha preso a chiamarla "the ghost in the machine".

di Studio

Ci sono storie dell’orrore che cominciano con una ragazza che decide di ripetere per cinque volte il nome di Candyman mentre si guarda allo specchio, o con un equipaggio di minatori spaziali che ritrova le uova di un alieno sconosciuto dentro una nave abbandonata su un pianeta misterioso, o con un clown demoniaco che passeggia nelle fogne in attesa di barchette di carta e di ragazzini con kiwai gialli da far galleggiare. E poi ci sono storie dell’orrore come quella di Loab, che comincia inserendo nel prompt di comando di un’intelligenza artificiale il nome di Marlon Brando.

Negli ultimi giorni, in quella parte dell’internet che si è appassionata alle immagini generate delle IA attraverso una breve sequenza di parole-comando-indicazioni – le pareti dei social media sono ormai tappezzate con le opere dell’ingegno algoritmico di  DALL-E o di Midjourney – gira moltissimo un thread Twitter pubblicato da una misteriosa musicista svedese nota con il nickname di Supercomposite. In questo thread, Supercomposite racconta di essersi “imbattuta” in Loab nello scorso aprile, mentre si divertiva a sperimentare con i negative prompt e il latent space di una non precisata intelligenza artificiale. Lo “spazio latente” è da intendersi più o meno come la mente/memoria dell’intelligenza artificiale. «Muoversi nel latent space è come esplorare una mappa dei vari concetti disponibili nell’IA. Un prompt, invece, è una sorta di freccia che indica la direzione e la distanza da percorrere durante l’esplorazione», ha spiegato la stessa Supercomposite. Il processo artistico di intelligenze artificiali come DALL-E o Midjourney comincia dalle parole di un utente, la freccia grazie alla quale l’IA capisce in quale direzione e fino a quale distanza spingersi nell’esplorazione dello spazio latente. Pur con dei limiti, le indicazioni dell’utente possono anche essere composite e complesse, contenere più di un concetto o di un’immagine. In quel caso, attraverso l’uso dei numeri, è possibile imporre alla macchina anche la quantità di “attenzione” da dedicare a ogni concetto: inserendo nel prompt dei comandi “mongolfiera::0.5, tempesta:: 0.5”, l’IA saprà cosa cercare e quanto dedicarsi a ogni ricerca. I negative prompt funzionano in maniera uguale e contraria: invece di suggerire alla macchina il concetto verso il quale andare, le indicano quello dal quale allontanarsi. È quello che ha fatto Supercomposite quando ha inserito il comando “Brando::-1”, curiosa di scoprire quale fosse, secondo l’IA, l’immagine più lontana dal volto di Marlon Brando. Per qualche ragione – difficile da definire con esattezza vista la vastità del latent space e la tortuosità delle strade che collegano le diverse regioni concettuali contenute al suo interno – il risultato di questa ricerca è stato uno strano logo: una specie di skyline stilizzato, nero, con sopra la scritta, verde, “DIGITA PNITICS”. A questo punto Supercomposite ha cercato di ottenere una sorta di controprova: ha inserito nel prompt dei comandi “DIGITA PNITICS skyline logo::-1” aspettandosi di vedere apparire sullo schermo il volto di Marlon Brando. E invece l’IA le ha fatto conoscere Loab.

Loab è il nome che Supercomposite ha dato alla donna protagonista delle immagini generate dall’intelligenza artificiale dopo averle impartito il negative prompt “DIGITA PNITICS skyline logo::-1”: in uno dei primi quattro risultati ottenuti, nell’angolo in alto a destra dell’immagine c’è una sorta di watermark con scritto LOAB, tutto in stampatello. La donna “ritratta” in queste immagini ha dei lunghi capelli neri, un volto che ricorda quello di Daniela Santanché e una qualche forma di malattia della pelle che le arrossa le guance. Supercomposite non ha idea del perché l’IA le abbia mostrato il volto di Loab in seguito a quella particolare ricerca. C’è chi, leggendo il thread di Supercomposite, ha pensato a quella volta in cui DALL-E cominciò a generare immagini di uccelli rispondendo al comando “Apoploe vesrreaitais”, solo perché la parola “Apoploe” somigliava ai nomi scientifici di alcuni uccelli. «Avrà cominciato a correre veloce nella direzione opposta alla regione dello spazio latente in cui ci sono i loghi. Avrà attraversato quella in cui ci sono i volti realistici, concettualmente molto distante da quella dei loghi. Avrà continuato a correre, dato che non le importava dei volti ma solo di allontanarsi dai loghi. A un certo punto, si sarà ritrovata vicino al bordo della regione dei volti. Loab deve essere l’ultima faccia che si vede prima della fine», ha provato a spiegare Supercomposite. Fin qui la storia era strana (è strano che l’IA restituisse una qualche variazione del volto di Loab ogni volta che riceveva il comando “DIGITA PNITICS skyline logo::-1”, una coerenza di risultati rarissima per questi software) ma non era poi così spaventosa. Il fatto spaventoso è avvenuto dopo che Supercomposite ha provato a incrociare un’immagine di Loab – l’IA può interpretare come comando anche un’immagine, non solo una parola – con un’immagine generata da un suo amico inserendo l’indicazione […] un tunnel di vetro super compresso circondato da angeli […] nello stile di Wes Anderson”. E cosa può mai succedere di buono una volta che si tira in mezzo Wes Anderson?

Supercomposite racconta che è a questo punto che è cominciata la sua ossessione con Loab. Il volto della donna, poi la sua figura intera, poi variazioni dell’uno e dell’altra, dominavano quasi tutte le immagini generate incrociandone una con Loab protagonista e un’altra, qualsiasi altra, con o senza lo stile di Wes Anderson. L’altra immagine può contenere api, personaggi dei videogiochi, descrizioni di scene di film: il risultato è praticamente sempre un’immagine con Loab a dominare la scena, al centro della composizione. La cosa che, racconta Supercomposite, l’ha spaventata è che spesso dall’incontro tra un’immagine qualsiasi e un’immagine di Loab ne viene fuori una grottesca e violenta: scene di sventramenti e mutilazioni le cui vittime sono spesso, per qualche ragione, dei bambini. Alcune delle immagini di Loab sono talmente macabre che Supercomposite ha detto di non essersela sentita di condividerle sui social. Diverse di quelle che ha condiviso si possono vedere solo superando disclaimer e dimostrando la maggiore età previo inserimento della data di nascita nel proprio profilo social. Ovviamente, subito dopo la prima apparizione di Loab è iniziata la costruzione attorno a lei di una mitologia che si va facendo più complessa e dettagliata ogni giorno che passa. All’inizio, ci si è limitati a etichettarla come l’ennesimo creepypasta dell’internet. Poi sono arrivati quelli per i quali Loab è il primo criptide – animali la cui esistenza non è mai stata confermata ma che ricorrono nel folklore, come lo yeti, Bigfoot, il kraken, il chupacabra, il mostro di Lochness –  scoperto nelle terre selvagge ai limiti della mappa del latent space. Adesso siamo già a quelli che Supercomposite ha definito i «truthers» di Loab: personaggi misteriosi che affermano di aver lavorato alla messa a punto dell’IA e di essere testimoni diretti della nascita di questa “entità” capace di infettare ogni immagine che le viene accostata e con la quale viene incrociata. Supercomposite, dal canto suo, considera Loab «una specie di incidente statistico che fa sì che quel volto si trovi, nello distribuzione della conoscenza di questa IA, molto vicino a immagini truculente e macabre». La cosa più inquietante è, ovviamente, la consapevolezza che non c’è nessun “fantasma nella macchina”, come alcuni hanno preso a chiamare Loab. Le IA sono reti intessute dagli uomini, architetture disegnate da progettisti umani, macchine addestrate da informatici-domatori. «È tutto basato su immagini create da persone e dai criteri che altre persone hanno deciso per raccogliere e organizzare le informazioni. Loab è solo un riflesso della nostra cultura».