Attualità

La seconda figlia di Hillary

Chi è Huma Abedin, la più amata tra le collaboratrici della Clinton: bella, riservata, chiacchieratissima, ex moglie di Weiner, "quello del sexting".

di Paola Peduzzi

Quando nel gennaio di quest’anno il documentario Weiner è stato presentato al Sundance Film Festival, molti si sono chiesti: perché? Perché Huma Abedin ha partecipato a questo progetto, alla rappresentazione impietosa del massacro di un leader politico, di un marito, di un amore? Il film racconta la campagna elettorale di Anthony Weiner, che nel 2013 si era candidato a sindaco di New York, dopo essersi dimesso due anni prima da deputato: aveva inviato immagini del suo crotch – del suo pene in erezione coperto da mutande grigie – ad alcune ragazze su Twitter. Prima aveva negato, detto che il suo account era stato hackerato, poi che le foto non erano del suo pene, infine aveva ammesso di essere stato lui ma ancora non si era dimesso, e poi quando persino Barack Obama aveva detto «al suo posto me ne andrei», piangendo, tra i fischi, Weiner aveva lasciato il suo posto. «Ho mentito a tutti, ho mentito anche a lei», ammette Weiner nel documentario, con gli occhi lucidi.

Lei è Huma, la più amata tra le collaboratrici di Hillary Clinton, “la seconda figlia” di Hillary, bella, riservata, chiacchieratissima. Huma ha iniziato a lavorare con Hillary quando aveva 19 anni, a metà degli anni Novanta: era appena uscita da Georgetown, aveva diritto a uno stage alla Casa Bianca, finì nell’ufficio della first lady e fu amore a prima vista. Oggi Huma è la vice della campagna elettorale di Hillary, ma il suo incarico ufficiale non conta più di tanto, perché tutti sanno che Huma è indispensabile per Hillary, che il rapporto tra le due è lavoro, è famiglia, è lotta, è ambizione, è futuro. Huma è anche la moglie tradita che ha deciso di rimanere accanto al suo uomo, nonostante l’umiliazione, che ha deciso di dargli quella seconda chance che nella cultura americana è promessa di successo, che ha deciso che anche tutti i newyorchesi dovessero fare come lei: perdonare Weiner, e votarlo sindaco.

La storia d’amore tra Huma e Anthony è una creatura di Hillary: era il 2001 quando Weiner chiese per la prima volta a Huma di andare a prendere qualcosa da bere. Mentre Huma guardava Hillary implorandola con lo sguardo e dicendo “no” con ogni parte del corpo, Hillary, che allora era senatrice a New York, aveva detto: «Certo, voi giovani dovete uscire insieme». L’incontro non era andato benissimo, o almeno Weiner ci aveva messo parecchio a conquistare Huma. Nel 2007, durante il discorso sullo Stato dell’Unione dell’allora presidente Bush, Weiner si era seduto tra la Clinton e il suo rivale, l’allora senatore Barack Obama. «Mi piace che proteggi il mio capo», aveva scritto Huma a Weiner in un messaggio. Erano usciti per un caffè, e nel luglio del 2010 si erano sposati: Bill Clinton aveva celebrato la cerimonia, e le foto di quel giorno erano ancora in bella vista in casa mentre il matrimonio si sfasciava.

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Ad agosto, Huma ha lasciato Weiner. Il giorno prima che venisse pubblicata l’ennesima foto di lui arrapato – in quel caso era nel letto con di fianco il figlio Jordan, quattro anni, addormentato – lei ha annunciato il divorzio. La decisione è stata accolta con un sospiro di sollievo dai più, mentre i commentatori hanno iniziato a fare calcoli abbastanza casuali sulla possibilità che dietro alla scelta di Huma ci fossero state pressioni da parte della campagna clintoniana. Oggi che il “fattore Weiner” è tornato di nuovo esplosivo, quei calcoli sembrano avere un senso. L’Fbi ha annunciato di voler aprire un’altra inchiesta sulle email di Hillary. Non è dato sapere a che cosa punti l’Fbi, né a che email faccia riferimento, né se Hillary sia coinvolta direttamente: si sa soltanto che l’Fbi sarebbe entrata in possesso di alcuni «device» appartententi ad Anthony Weiner, che è indagato perché con le sue foto erotiche avrebbe importunato una ragazza di quindici anni, minorenne. L’avvocato di Huma ha fatto sapere che la sua cliente non era a conoscenza dell’esistenza di questi «device», ma se il merito di questa inchiesta – soltanto annunciata – è piuttosto confuso, il risvolto politico è chiarissimo: la mossa dell’Fbi getta l’ennesima ombra sulla candidatura di Hillary, sottolinea quella mancanza di trasparenza che da sempre offusca il personaggio, la sua campagna elettorale, il clintonismo intero. I sondaggi sono di nuovo incerti, Donald Trump gongola e ripete: ve l’avevo detto, non ci si può fidare della Clinton e del suo team.

Non soltanto Huma ha partecipato al lancio della campagna elettorale di suo marito, ma ha lasciato che le telecamere entrassero in casa sua, che la immortalassero mentre – per quasi tutto il tempo, a parte un inizio di sorrisi, in cui sembrava che davvero ci credesse nel suo matrimonio, si fidasse di quell’uomo carismatico ed energico – guarda il marito con gli occhi stanchi, severi e lontani, le braccia conserte e le dita strette, imbarazzata, delusa, a disagio. La campagna per diventare sindaco finisce in un disastro, una sconfitta umiliante, dopo che scoppia un altro scandalo, che poi è sempre lo stesso: sotto lo pseudonimo Carlos Danger, Weiner ha continuato a mandare immagini di sé, del suo petto, del suo pene, questa volta senza mutande, a molte sconosciute, o conosciute, chissà, non è che importi molto. È straziante, Huma. Mangia molta pizza mentre il massacro pubblico di suo marito diventa rabbioso, lui inizia a litigare con gli elettori e con i giornalisti, lei scuote soltanto la testa, o in alternativa alza gli occhi al cielo, sta in un angolo a osservare, sperando di potersi salvare da tanta miseria. Quando la candidatura di Hillary alla Casa Bianca inizia a prendere forma, i reporter tormentano Weiner: chi sceglierà, Huma, te o lei? Weiner vorrebbe essere il prescelto, dice a Huma «devi soltanto fare la moglie di un candidato», lei risponde: «Non sai nemmeno di che cosa parli» e scompare sempre più. Non fa più filmati assieme a lui, non compare agli eventi, lui deve giustificare l’assenza di Huma e lei non cede, escono di casa separatamente, «così possono pensare che non sei nemmeno mia moglie», le dice una mattina Weiner, seccato. Prima erano in tre, ora c’è soltanto Weiner e il piccolo Jordan: anche nel giorno delle elezioni, al seggio elettorale, Huma non c’è, aveva salutato i due ragazzi della sua vita in ascensore.

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Huma ci avrebbe messo ancora tre anni a lasciare Weiner. Allora ancora una volta aveva deciso di non lasciare questo marito impresentabile e dannoso, si favoleggia sui consigli di Hillary che sulla materia ha esperienza personalissima (non ha mai detto una parola in pubblico sul marito sciagurato della sua Huma), ma ecco: c’era bisogno di un documentario? Il narcisismo di lui è senza limiti, ma lei è una che sta dietro le quinte, che non parla con nessuno, che arringando un gruppo di signore durante la campagna di Weiner, quando ancora si presentava in pubblico accanto a lui, disse: so che non siete abituate a sentirmi parlare, di solito sono là dietro – e indica un punto dietro le tende – ma questa campagna è importante, per me e per mio marito (lui, che è emotivo, si commuove). Perché allora, sapendo già come andava a finire la storia, Huma ha lasciato che il documentario uscisse? A questa domanda nessuno ha trovato risposta. Ora il mondo clintoniano protegge la “seconda figlia” tradita, ferita da un amore sbagliato che l’ha resa l’anello debole di una catena che si vuole solidissima. E mentre si cerca di risolvere il mistero di Huma si rimettono assieme, a ritroso, i pezzi di questa storia umiliante, che conserva alcune ironie surreali. Una per tutte: nel documentario si vede un minivideo di Trump che commenta la candidatura a sindaco di Weiner e ripete, con un’insistenza che oggi ci suona familiare ma che allora non lo era: «Noi non vogliamo pervertiti, noi non votiamo pervertiti».

 

Nelle immagini: Huma Abedin durante la campagna elettorale di Hillary Clinton (Getty Images)