Cultura | Moda
Il museo dei talenti emergenti a Trieste
Ha inaugurato ITS Arcademy, il museo dedicato all’esperienza ventennale di ITS Contest, il premio internazionale per giovani creativi lanciato nel 2002. Ne abbiamo parlato con Barbara Franchin, Presidente di ITS, e il curatore Olivier Saillard.
Come si raccontano vent’anni di talent scouting? È la domanda che si sono posti da ITS Contest, il premio internazionale per giovani creativi lanciato a Trieste da Barbara Franchin, dal 2002 punto di riferimento nel panorama della moda internazionale. Una manifestazione che in due decenni ha saputo selezionare e lanciare personalità che sono entrate a far parte dell’industria della moda e che a Trieste sono sempre tornate in qualità di mentori, in uno scambio virtuoso che è diventato la cifra di ITS. Oggi quel patrimonio continua a vivere all’interno di ITS Arcademy – Museum of Art in Fashion, il primo museo della moda contemporanea in Italia e l’unico dedicato alla creatività dei talenti emergenti, inaugurato lo scorso 4 maggio e ospitato in uno splendido palazzo realizzato dall’architetto Enrico Nordio a fine Ottocento. ITS Arcademy ospita una collezione composta da 14.758 portfolio, 1.089 abiti, 163 accessori, 118 gioielli e oltre 700 opere fotografiche, tutte opere prime – definite «progetti radicali e innovativi, liberi da logiche commerciali» – ma è anche un luogo di formazione ed educazione che propone corsi, laboratori e workshop rivolti a un pubblico ampio di non soli addetti ai lavori.
Dal 18 aprile al 4 febbraio 2024, negli spazi di Arcademy sarà possibile visitare la mostra The First Exhibition – 20 Years of Contemporary Fashion Evolution, curata da Olivier Saillard, storico della moda e per molti anni direttore del Palais Galliera, uno dei più importanti musei della moda al mondo. Gli spettatori potranno ammirare una collezione di quasi cento opere esposte, scelte dal curatore nella collezione di ITS Arcademy e organizzate in sei sezioni, ognuna delle quali rappresenta un tema o una corrente artistica universale: Espressionisti, Neo Futuristi, Astrazioni liriche, Art Brut, Figurazioni libere e Autoritratti. Al suo interno ci sono le prime creazioni di nomi ormai entrati nella storia del design contemporaneo, come quelli di Demna, oggi direttore creativo di Balenciaga e Matthieu Blazy, direttore creativo di Bottega Veneta, ma anche di Richard Quinn, Maiko Takeda, Thomasine Barnekow e Justin Smith. Intanto, dal 10 maggio sono aperte le iscrizioni per la nuova edizione di ITS Contest, che chiuderanno il prossimo 10 settembre (i finalisti saranno annunciati a novembre 2023). Potranno parteciparci, come da tradizione, giovani designer emergenti e studenti in corsi di fashion, accessori e gioielli in tutto il mondo. La nuova edizione prevede, per la prima volta, una residenza creativa per i finalisti nella cornice di ITS Arcademy: i loro lavori entreranno a far parte della Collezione permanente del Museo. Ne abbiamo parlato con Franchin e Saillard, che ci hanno raccontato come ha preso forma l’Arcademy e la mostra che ne racconta i suoi primi vent’anni.
Barbara Franchin, presidente di Fondazione ITS
ⓢ Quando e come è nata l’idea di far diventare ITS un archivio vivo?
Sin dall’inizio di questo grande progetto ho iniziato a catalogare e conservare, motivo per cui ci sono i portfolio della prima edizione. Possiamo quindi dire che l’idea di conservarli per farne un luogo dove, in un secondo momento, si potessero condividere era in nuce fin dall’inizio. Certo, non sarebbe onesto dirti che fin dall’inizio avevo in mente quello che poi si è concretizzato in ITS Arcademy, ma di certo questo pensiero è maturato e maturato anche nel tempo, osservando le cose che ci arrivavano, quali erano i nostri contenuti: diciamo che un punto d’inizio può essere considerato ITS 5, anno 2006-2007. Se avessimo iniziato tre anni fa non sarebbe stato possibile costruire quello che c’è oggi, anche perché una cosa è lavorare su un allestimento e restauro e un’altra cosa è invece lavorare sui contenuti. E i nostri contenuti necessitano di molto tempo. Perciò è giusto dire che esisteva sin dall’inizio la volontà di conservare tutto, perché questo dava dignità all’intero progetto, mentre l’idea di dar vita a uno spazio per quei contenuti è arrivata cinque anni dopo. È un’idea che si è evoluta e raffinata nel tempo, perché non avremmo potuto avere le idee chiare quindici anni fa ma solo nel momento in cui Arcademy avrebbe effettivamente preso vita: è un progetto che necessitava di essere aggiornato per essere in linea con il presente e il futuro: non volevamo fare un museo “vecchio”.
ⓢ Come ha spiegato lei in conferenza stampa, questo è il primo passo per un museo “diffuso” della moda italiana, che rispecchi la natura legata al territorio e multi-sfaccettata del nostro sistema moda. Ci può spiegare meglio cosa intende?
Quella del museo della moda in Italia è una questione irrisolta che va avanti da almeno trent’anni, con innumerevoli commissioni che annualmente si incontrano a Roma, mettono giù un piano d’azione e poi non succede nulla. Probabilmente è la premessa che è sbagliata, un progetto “definitivo” è pressoché impossibile vista la quantità di pensieri, spunti, tradizioni differenti. Un museo “diffuso”, invece, metterebbe in risalto tutte quelle realtà che esistono in giro per l’Italia e che sono troppe per essere concentrate e chiuse in un’unica sede. Per me il museo diffuso parte da Trieste e finisce al Sud, con tutte le produzioni dell’abito da uomo, la camiceria e così via, mentre è giusto che Milano abbia un museo che rappresenti la moda in città (ce l’ha già, andrebbe arricchito di contenuti): idealmente, ognuno dovrebbe fare la sua parte per costruire un percorso che attraversi tutto il Paese e racconti le tante sfaccettature della moda italiana. Così riusciremmo anche a dare un’immagine diversa dell’Italia, ma questa è un’operazione complessa: la moda ha un’importanza sociale ed economica tale che le si dovrebbero dedicare un Ministero e moltissime energie.
ⓢ Sono assolutamente d’accordo. Dal 10 maggio hanno riaperto le iscrizioni a ITS Contest, che novità ci sono quest’anno?
Da ITS abbiamo sempre usato la sfilata come un momento di racconto, una celebrazione che include tutti i partecipanti, non solo per chi disegna abiti ma anche gli accessori, i gioielli, i progetti fotografici. È un momento bellissimo. Lo scorso settembre è stato meraviglioso, ma allo stesso tempo volevamo metterci alla prova e sperimentare con altri formati, per cui abbiamo pensato di istituire una “residenza” per i nostri artisti, per aiutarli a farsi conoscere meglio ma allo stesso tempo perché essi stessi conoscano la città, i luoghi, le persone. La residenza serve a quello: un momento in cui chi partecipa ha accesso a tante informazioni utili per costruire il proprio futuro, sia che voglia lavorare in un’azienda sia che voglia avviarne una sua, forniamo gli strumenti per capire come presentarsi e strutturare il proprio lavoro. Gli altri giorni saranno dedicati per iniziare a immaginare a come creare la ITS Arcademy Collection, un progetto collettivo che coinvolgerà tutti i finalisti.
ⓢ Come immagina il futuro di Arcademy e di ITS più in generale?
Guarda, i momenti passati con noi non sono che un assaggio di quello che aspetterà loro dopo, nel mondo, ma vorrei che chi arriva da ITS imparasse a lavorare in maniera collettiva, a gestire cioè la propria creatività, la propria individualità, e a metterla a frutto in un gruppo. Vorremmo che imparassero a collaborare, a rispettarsi vicendevolmente, a non percepirsi in competizione ma in collaborazione. Non credo sarà difficile, a dire il vero, sono già molto propensi a ragionare in questo modo. Il lavoro degli ultimi mesi è stato quello, immenso, di mettere a punto un dialogo, un metodo, e non era un’operazione semplice: noi speriamo di andare avanti così, con l’aiuto di tutti.
Olivier Saillard, storico della moda e curatore di The First Exhibition – 20 Years of Contemporary Fashion Evolution
ⓢ Mi racconta del processo scientifico e creativo che ha adottato nell’approcciare un progetto come quello di The First Exhibition?
Per riflettere la molteplicità delle creazioni e le differenze espressive, ho voluto che la mostra non assumesse un carattere eccessivamente compiuto. Mi sono sempre piaciute le mostre e le installazioni che danno l’impressione di non essere completate nelle quali le opere si presentano al visitatore in una relazione alla pari. Ero rimasto colpito dai portfolio che sono una collezione unica al mondo. Pertanto, ho voluto che le creazioni fossero presentate in scatole di legno da trasporti, che per me sono il riflesso delle scatole nelle quali vengono racchiusi i portfolio per la spedizione. Questo dà l’idea della freschezza inviolata delle opere, come se queste si presentassero per la prima volta dall’intimità della stanza di chi le ha immaginate.
ⓢ Qual è stata la sfida più complessa nel realizzare questa mostra?
La sfida era trovare fili e collegamenti che unissero vent’anni di creazioni. Per questo ho deciso di formare capitoli che, indipendentemente dalla data di creazione, riuniscono i creativi tra di loro e attraverso lo stile espressivo di ognuno.
ⓢ La cosa interessante di The First Exhibition e dell’Arcademy nel suo insieme è il concetto di essere un work in progress, una testimonianza di come la creatività nella moda possa evolversi e cambiare nel tempo. Secondo lei, perché è importante tenere traccia di cose come i portfolio e cosa possono dirci sulla creatività?
Mi è piaciuto scoprire il lavoro di tutti questi creativi, ancora puro e non distorto dalla pratica della moda e della sua industria. Queste creazioni equivalgono a pagine di diario. Dai portfolio agli abiti stessi, abbiamo la sensazione di creazioni che non sono state concertate in risposta agli imperativi della moda. Sono lo specchio di sentimenti e convinzioni personali. Per questo motivo si tratta davvero rigorosamente di moda e arte contemporanea, che arriva assolutamente integra e diretta passando dal pensiero ricco e abbondante dei creativi fino al pubblico a cui si presenta.