Attualità
Guida pratica a podcast di qualità
Un vademecum completo, pieno di consigli, tips e link: tutto sui podcast, da quelli musicali alle crime stories, dalla musica africana alle donne nel mondo del lavoro (e molto altro). Da leggere prima di immergersi nell'ascolto.
Quest’autunno mi sono trovata per la prima volta nella mia vita “senza musica”, o meglio senza nuovi dischi da ascoltare o vecchi gruppi da approfondire. Mi ero stufata della pur divertentissima vaporwave e dopo aver fatto svariati tentativi – falliti – con la musica africana occidentale prodotta con suonerie telefoniche, non sapevo cosa ascoltare in metropolitana o la sera davanti ai fornelli. Per di più mi trovo nella sgradevolissima posizione di vivere in Germania, paese in cui la pirateria è perseguita e punita con grande successo. Nessun torrent né zip, rapidshare, mediafire che potessero salvarmi.
Ho allora riesumato una vecchia cartella con alcuni episodi di una trasmissione radiofonica famosissima, consigliatami a gran voce da più persone. Ascoltare This American Life ha ridato vita alle mie orecchie e offriva esattamente quello di cui avevo bisogno: una compagnia confortevole, intelligente e soprattutto gratuita durante tutte quelle attività tediose della vita quotidiana che contemplano attese, solitudine e spazi pubblici (e no, sebbene spesso suggerito come altra opzione di simile svago, Tinder non è mai stato davvero preso sul serio). Da This American Life il passaggio a Serial è stato un attimo, ed ecco che mi trovo risucchiata nel tunnel dei podcast o, semplicemente, delle radio online. Eccole: finalmente la perfetta soluzione per il mio pendolarismo, sete di conoscenza e pigrizia. Posso scaricarle legalmente o ascoltarle in streaming. Per poche ore mi trasformano in una turista dell’umano e mi raccontano storie di mondanità eccezionali e di realismi favolosi. E poi scopro musicisti notevolissimi che neanche nelle esplorazioni più spinte del profondo Internet avrei avuto la fortuna di incontrare. Ecco allora una lista pratica e agevole di alcuni dei podcast, mixtape e aggregatori musicali più interessanti che ho trovato in questo tour radiotelefonico. Sono in lingua inglese ma non temete: è tutto molto accessibile e vale davvero la pena di darci un ascolto.
Due parole, perché se non la conoscete già ne avrete senz’altro sentito parlare. Storico programma della Chicago Public Media, esiste dal 1995 e fin da allora deve buona parte del suo successo all’ottimo lavoro fatto dal conduttore Ira Glass & staff. Il formato è semplice, il risultato è massimo: ogni settimana una puntata e un tema diverso e 4/5 storie riguardanti quel tema, tutte accadute realmente (nel presente o nel passato non importa) e rigorosamente americane. I protagonisti sono nobili sconosciuti che accettano di condividere le loro storie col pubblico mondiale (da quando, nel 2006, This American Life è diventato un podcast accessibile ovunque) con tutti i rumori viscerali della sincerità e dell’umanità verissima. Come dice una mia amica, alcuni episodi sono un po’ un “hit-and-miss”: puoi beccare la storia eccelsa come anche quella deludente, nonostante l’argomento settimanale particolarmente titillante. Per provare:
Episodio 541, Regrets, I had a few: per la storia di emancipazione di un mormone fondamentalista che decide di cambiar vita, musicata da Stephen Merritt dei Magnetic Fields.
Episodio 539, The Leap: per le due magnifiche storie dell’autista newyorchese che, mentre era in servizio, guidò l’autobus cittadino fino in Florida e quella di Tina Dupuy, “immaginaria” ex bambina alcolizzata.
Prodotto e condotto da Sara Koenig, e nato come spin off di This American Life, Serial è è stato in poche settimane scaricato da 5 milioni di utenti, top nella storia di iTunes. Se non l’avete finito in 24 ore, in rete se n’è detto già di tutto e ogni commento ulteriore potrebbe essere inutile. Però, nonostante l’abbia già finito – e non veda l’ora che cominci la seconda stagione – parlare di Serial non mi annoia mai. Ho convenuto con un’altra amica che Serial è praticamente Law & Order SVU ma raccontato alla maniera di This American Life nell’atmosfera e ai tempi di The Wire, Baltimore. In brevissimo, Serial è la riesumazione di un caso d’omicidio del 1999, quando un diciottenne venne accusato e poi incarcerato per la morte dell’ex fidanzata—le diverse versioni delle persone coinvolte, la voce ricorrente dell’ergastolano (con cui la conduttrice ha un filo diretto), consulenti legali, professionisti del crimine e decine di materiale audio dell’epoca vengono tessuti insieme in un unico grande giallo-melodramma (con tutto il fascino di avvenimenti di un’epoca quasi pre-Internet, pre-11 settembre). La narrazione di Koenig è il tenente Cooper di Twin Peaks, tanto idiosincratica quanto confortevole e, soprattutto, nella stessa posizione dell’ascoltare: non conosce la verità. La grandezza di Serial è infatti questa: è un thriller in cui il whodunit – a meno che Adnan Sayed, l’accusato, non confessi – rimarrà sempre irrisolto. A differenza dei documentari investigativi, non ha una soluzione decisiva e la sua cifra intrattenente sta proprio nello “svisceramento” intellettuale delle ipotesi. Obbligatorio!
Gilles Peterson’s Worldwide, BBC 6
Forse conosciuto fuori dal Regno Unito soprattutto per il suo World Wide festival che si tiene da ormai 7 anni a Sète in Francia, Gilles Peterson ha un curriculum molto vario e di difficile definizione. Sopra tutto vale però la descrizione di conoscitore curioso e promotore di musica di alta qualità. Prima di approdare alla BBC ha bazzicato nella scena jazz di Londra e ha proseguito fondando etichette discografiche, collezionando l’introvabile e lavorando come produttore. È vero, durante le sue tre ore di programma il sabato pomeriggio potreste sentirlo dire cose tipo “il pezzo che avete appena sentito è tratto da un magnifico disco di spoken word bossa nova che ascoltai per la prima volta in un bar di Tromsø all’inizio degli anni Ottanta. L’ho ritrovato l’altra settimana che ero a Cuba a lavorare con Roberto Fonseca!”. Non esattamente il più umile degli appassionati, insomma. Grazie a Gilles ho però imparato ad apprezzare musicisti cruciali come Arthur Russell e scoperto gruppi emergenti come i John Wizards. Mi ha introdotto al jazz etiope e mi ha educato alle donnine RnB come Phlo Finister, SZA e Jessy Lanza prima dell’acclamazione di FKA Twigs. Mi ha fatto capire che apprezzare musica africana non significa sfoggiare un paio di compile di Awesome Tapes From Africa. Alla fine, Gilles mi ha insegnato a non scartare quella musica spesso sommariamente definita “da fricchettoni”, altrimenti e tristemente confinata all’etichetta di “world music”. Che la musica mondiale non si chiami semplicemente “musica” è un po’ frustrante, ma almeno c’è gente come Gilles che si impegna a diffonderla laddove non arriva.
Momento radiofonico della mia discesa negli inferi dell’autocoscienza femminista, dovrei negare che lo ascolto mentre vado a yoga ma, ahimè, è la verità. Ma trascurando gli indesiderati cliché del caso, The Broad Experience è un ottimo podcast sulle donne e il mondo del lavoro. Fondato nel 2012 dalla giornalista Ashley Milne-Tyte, mentre lavorava da Marketplace.org, questa serie si rivolge alla donna lavoratrice e sollecita discussioni spesso riprese da articoli, report, studi statistici di recente pubblicazione—molto volentieri tramite l’inserto femminile del Financial Times. Nel dettaglio e nelle volte in cui si azzardano delle linee programmatiche (“Io, donna, consiglio a voi, donne che volete migliorare questo o fare quest’altro, di fare così”) il podcast è decisamente troppo “anglo-centrico” per noi italiane: non solo per la nostra tuttora idea distorta di donna in carriera, ma semplicemente per le industrie e i mercati tirati in ballo, a volte quasi inesistenti nel nostro Paese. Ma in generale succede che alcune delle “impressioni, sensazioni ed esperienze condivise” (sì, un altro stereotipo femminile) siano così veritiere da far scattare spontaneamente il piglio ribelle che tenevamo sopito da tanto tempo. Per esempio, ascoltate la puntata sulla scena delle start-up: vi verrà confermato che le sviluppatrici poi finiscono a fare lavori gestionali o di test del prodotto (e non creazione di codici!) e vedrete che non siete state le prime a ricevere lo stigma di lavoratrici “aggressive e stronze” solo perché siete dirette ed esigenti.
Scoperta tramite Josh Safdie mentre cercavo una cura per la mia ossessione dei suoi film, Know-Wave è una radio “pirata” (cioè, online) di New York, costola della galleria losangelina Oh Wow. È fighettissima ma molto varia, divertente e ben fatta. Il formato non esiste, o meglio, si limita a radunare “persone che ci stanno dentro” e a farle chiacchierare mentre mettono qualche disco, senza preoccuparsi troppo di generi o coerenza musicale all’interno dell’episodio. Nessuna personalità radiofonica che intende spiccare, tutto molto rilassato e disinvolto. I programmi sono molti con ospiti e temi vagamente ricorrenti. Il concetto alla fine è semplice: è come ascoltare tre amici discutere di un certo fenomeno culturale o di un particolare evento artistico/sociale e annuire mentre hanno brevi colpi di genio filosofici o ridacchiare mentre propongono teorie non molto ortodosse su, non so, la fantascienza del Wu Tang Clan.
Sudden Star, episodio di dicembre, per la playlist funky stellare messa insieme da Josh Safdie, gli estratti da The King of Comedy e le poche parole del direttore della fotografia del remake di The Gambler.
No Instagram, tutti gli episodi della stazione “satellite” di Londra con Tremaine Emory aka Denim Tears e Acyde dei We Are Shinging. I due sono spassosissimi, arrivano sempre in ritardo, spaziano dalla musicassetta impolverato all’ultimo disco hip hop e (credo) si fanno un sacco di canne.
Cheap Talk, puntata di novembre, per Sarah Nicole Prickett di Adult Magazine e la curatrice Piper Marshall che fanno le fusa ad Hans Ulrich Obrist, in tutta la sua nervosissima logorrea.
Yak Radio, puntata dello scorso settembre, per Devonté Hynes e Julian Casablancas che “fanno gli scemi” mentre in sottofondo scorrono capolavori musicali.
Tahiti Dusk, con Logan Takahashi dei Teengirl Fantasy: semplicemente il podcast perfetto per fare jogging.
Questo podcast è facilissimo ma anche un po’ meno online-friendly degli altri. Musica del cinema, dal cinema e per il cinema, come direbbe Gigi Marzullo. Mette insieme registi, compositori, attori, e altri addetti ai lavori, insomma tutto ciò che di sonoro ha l’immagine in movimento. Ricordo ancora la gloriosa puntata del bellissimo Cillian Murphy – anche cantante non male, dalla voce molto sabbiosa come forse qualcuno si ricorderà in Breakfast on Pluto – ma purtroppo al momento l’unico episodio disponibile è una solida ora di chiacchiere e musica con Quentin Tarantino, dalla puntata di Natale. Alcune playlist passate sono però ancora disponibili e si possono sbirciare le preferenze musicali di Danny Elfman aka l’uomo che inventò la sigla dei Simpsons (e altre iconiche colonne sonore).
Praticamente il corrispettivo berlinese di Know-Wave, con ore e ore da ascoltare per le orecchie di tutti i tipi. Consigliati: Welcome to Berlin, che cerca di abbattere il Londra-centrismo in termini di qualità e novità musicali; le mixplay della Bass Gang Berlin, una crew di DJ dalle origine molto miste (Camerun, Vietnam, Congo e Francia) ma uniti a Friedrichshain da aspirazioni grime e techno rilassatissima; infine ascoltate soprattutto le compile di Love, estremamente varie, piene di musica giapponese e RnB non soporifero e prodotte da Terekke il dj “ke spakka”.
Formula simile a This American Life, solo molto più lunga e approfondita, Love+Radio pubblica ogni mese un reportage umano raccontato in prima persona dal protagonista. I soggetti diventano speaker molto consapevoli del pubblico ma allo stesso tempo mantengono sempre una certa ritrosia e sentimento che lasciano spazio a commoventi istanti “Maria, apro la busta?”. Insomma, il repertorio esistenziale è vastissimo e molto ben ricercato. La produzione è impeccabile. È una meraviglia: la prossima volta che qualcuno vi parla di audiolibri, lanciategli questo podcast immaginando che si tratti di una torre porta CD Billy. Dal 2014 fanno parte di Radiotopia, una specie di aggregatore e produttore di “podcast indie di qualità”, nato sulla piattaforma di Public Radio Exchange.
Due gli episodi che consiglio. La carriera folle del giornalista Jason Leopold, prima tossico aspirante criminale poi irascibile giornalista investigativo, inciampato per sbaglio nelle “grandi tele” tessute dal governo americano. Poi, semplicemente, la vita di Genesis P-Orridge raccontata da sua maestà in persona. Godeteveli.
Questo è un progetto di curatela molto interessante, non solo perché strettamente europeo ma anche perché propone un nuovo modo di ascoltare e conoscere musica. Da Londra, Amsterdam, Parigi e Bruxelles un gruppo, dj o musicista propone una playlist di 22 tracce aggiornate ogni settimana. Le compilation si rinnovano, gli artisti si danno il cambio e insieme si costruisce una piattaforma che promuove autori emergenti, nuovi generi o vecchie stelle ancora troppo sconosciute. Ci ho trovato metà della mia colonna sono invernale, è davvero da provare.
Due dritte: la playlist di Muziekgebouw da Amsterdam, musica contemporanea generica (cioè afropop, elettronica e classica sperimentale) e quella di Jon K da Londra che ha messo i Gaussian Curve e quindi merita per forza. Ah, è c’è anche Gilles con un riassunto musicale dei Worldwide Awards.
Strangers è un podcast creato da Lea Thau, diventata celebre come produttrice di The Moth, un programma di storytelling itinerante e votato a diffondere le storie dei meno fortunati—senza paternalismi e coinvolgendo narratori illustri come Suzanne Vega e Ethan Hawke. Lì Lea ha vinto il Peabody Award (una specie di Pulitzer delle radio) e poi ha creato Strangers, che riprende a tratti il formato di The Moth ma racconta, come direbbe de André, «storie diverse per gente normale o storie comuni per gente speciale». Di recente Thau si è imbarcata in una serie tematica sull’amore… il focus è sull’online dating, che forse a noi sembra ancora (o per fortuna) uno scempio, ma negli Stati Uniti pare sia la base di 1/3 dei matrimoni. Però, se avete problemi di cuore o siete interessati alle dinamiche del corteggiamento, o, anche, se leggete nella socialità quotidiana i soprusi di genere come sto facendo io di recente, Love hurts è un podcast assolutamente da ascoltare.