Cose che succedono | Cinema

Avevamo bisogno del sequel di Frozen?

È l’eterno dilemma che oggi attanaglia film e serie tv di successo: avevamo davvero bisogno di un sequel? Nella maggior parte dei casi no e, ahinoi, gli esempi sarebbero davvero tantissimi, da Trainspotting 2 al seguito di Donnie Darko (qualcuno lo ha mai visto?) fino al recente El Camino su Netflix. Nel migliore dei casi sono un regalo ai fan oppure, come sembra essere Frozen 2 (almeno a leggere molte delle critiche), un altro modo per incassare soldi.

Scrive David Sims sull’Atlantic che «anche se Disney non è mai stata contraria alla rivisitazione di una storia a scopi di lucro, il sequel dei cartoni più di successo è sempre uscito direttamente in video, mentre Frozen 2 arriva al cinema», motivo per cui le aspettative molto alte. Ma è molto difficile scrivere un seguito di un film così amato e con un finale così soddisfacente: «Il risultato è un film contorto, che ha senso solo a tratti, occasionalmente allucinato che non riesce a trovare uno scopo in questo nuovo mondo incantato» continua Sims. «Farà un sacco di soldi e piacerà al pubblico più giovane, a cui è rivolto, ma anche uno come me a cui era piaciuto quel ritorno agli anni ’90 del primo film, ha trovato ben poco da apprezzare».

Peter Bradshaw sul Guardian è solo apparentemente più morbido: «L’adorata eroina Elsa ha una nuova fantastica canzone mentre si dirige nella foresta incantata in questo sequel che è divertente, simpatico, ma poco potente. Forse è arrivato il momento di lasciarla andare?» si chiede. Per Nicholas Barber di Bbc News, «è una valanga di idee lasciate a metà», mentre per A. A. Dowd di AV Club il film «riecheggia senza aggiungere nulla di nuovo alla magia dell’originale». Non tutti i critici, però, sono d’accordo nella stroncatura: Kate Erbland su IndieWire ha scritto che «il tanto atteso film scritto da Jennifer Lee e Chris Buck ci convince che un sequel fosse necessario, non tanto perché era richiesto dal pubblico, ma perché l’originale non si concludeva in maniera giusta». Per Peter Debruge di Variety, invece, «il sequel è tutt’altro che senza senso».