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Come gli Stati Uniti hanno trovato al-Baghdadi

I dettagli della morte di Abu Bakr al-Baghdadi sono oggi su tutti i giornali del mondo. Non è la prima volta che la notizia della cattura e uccisione del leader dello Stato Islamico rimbalza sui media internazionali – ha scritto Daniele Raineri sul Foglio: «Ogni volta che moriva Baghdadi, e succedeva un paio di volte l’anno, in redazione c’erano alzate di occhi al cielo e scrollate di capo», ma questa volta, sin da subito, si è capito che era vero. Come riporta il Guardian, al-Baghdadi è morto «messo all’angolo in un tunnel senza uscita, con un robot che marciava verso di lui, senza più nessuna possibilità di fuga. I cani hanno abbaiato nell’oscurità, si è sentito l’ordine di un soldato americano e poi c’è stata l’esplosione, che ha ucciso l’uomo più ricercato al mondo e i tre bambini terrorizzati che ha usato come scudi umani».

Il terrorista si nascondeva in una remota zona della Siria nord-occidentale e prima di essere raggiunto dai reparti speciali nella sua spoglia casa di pietra, costruita sopra un sistema di tunnel che avrebbe dovuto metterlo in salvo, è riuscito a far detonare il giubbotto pieno di esplosivo che indossava. Due ore dopo l’attacco, i militari sono riusciti a confermare che il Dna era il suo: al-Baghdadi era davvero morto. Una notizia che ha rallegrato l’amministrazione di Donald Trump dopo la rovinosa ritirata delle truppe americane all’inizio del mese e l’inizio dell’offensiva turca contro i curdi. Spiega sempre Martin Chulov sul Guardian: «Baghdadi è un premio (per Trump, ndr) che in precedenza è sfuggito di mano a tutti i suoi inseguitori, e nella sua cattura è stata utilizzata la più avanzata tecnologia che le agenzie di intelligence del mondo avessero a disposizione; lo zar del terrore aveva da tempo compreso i pericoli di essere un fuggitivo nell’era digitale. Eppure la caccia, nel suo caso, è iniziata e si è conclusa in un modo ben più antico che nel videogioco Spycraft: con un’altra persona che nascondeva un segreto».

A metà settembre, infatti, alcuni funzionari iracheni erano riusciti a identificare un uomo siriano che era stato usato per contrabbandare le mogli di due fratelli di Baghdadi, Ahmad e Jumah, nella provincia di Idlib attraverso la Turchia. Lo stesso trafficante aveva precedentemente aiutato a spostare i bambini di Baghdadi dall’Iraq. Grazie a lui, l’intelligence irachena è riuscita a reperire le informazioni necessarie sul percorso per raggiungere la location di al-Baghdadi. Le informazioni sono quindi passate in mano alla Cia, che per metà ottobre aveva già imbastito un piano per la cattura. Come rivelato dal Consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Robert O’Brien, all’operazione è stato dato il nome di Kayla Mueller, l’operatrice umanitaria e attivista, originaria dell’Arizona, rapita e uccisa dall’Isis nel febbraio del 2015.

Baghdadi, che aveva 48 anni, viene descritto come «paranoico, rallentato dalle ferite di guerra e dal diabete», ma abituato ai continui spostamenti. Per tutta la sua vita de terrorista si era infatti mosso tra la Siria orientale e l’Iraq occidentale, prima di stabilirsi in una piccola zona nella provincia di Idlib. All’inizio della scorsa settimana americani e iracheni erano ormai convinti che Baghdadi si trovasse nelle vicinanze di Idlib, non lontano dal confine con la Turchia. È in questo momento che le capacità tecnologiche americane sono entrate in gioco, stabilendone la posizione esatta e individuando le persone che lo circondavano. Giovedì 24 ottobre, di pomeriggio, Trump e Pence sono stati avvisati sulla sua posizione e l’attacco è stato programmato per sabato 26. Dell’operazione sono stati informati sia i russi, che controllano lo spazio aereo di Idlib, sia i turchi che i curdo-siriani. Nell’attacco sono morti almeno nove miliziani dell’Isis, alcuni dei quali imparentati con Baghdadi, due sue mogli (che molto probabilmente indossavano anche loro dei giubbotti esplosivi) e i tre figli che lui ha trascinato nel tunnel con sé.