Attualità
Buon compleanno, Studio
Due anni di Studio. Ecco cosa ho trovato aprendo il cassetto dei ricordi. Amici, colleghi, viaggi e una domanda a bruciapelo dell'aprile 2010
Studio compie due anni. Lo ha ricordato proprio oggi sul suo blog il direttore – che con il tempo è diventato anche un amico e quindi per questa volta facciamo che lo chiamo Federico – ma per chi è parte di questa storia fin quasi dagli inizi, quegli anni sono ormai quasi tre. Era un pomeriggio di inizio aprile 2010 quando con Federico ci siamo dati appuntamento in un bar di Via Watt a Milano per discutere di un altro bel progetto a cui stavamo collaborando. Di quel giorno ricordo un caldo fuori stagione e una domanda quasi a bruciapelo: «Con un amico ed eventuale socio (il nostro publisher Alessandro De Felice ndr) sto pensando a una piccola squadra per mettere insieme una rivista. Modello Atlantic, New York Magazine. Redazione leggera, penne giovani, pezzi lunghi di approfondimento, taglio contemporaneo. Secondo me ce la si può fare, è una cosa che manca in Italia. Ti interesserebbe partecipare?». Avevo 27 anni, collaboravo con alcune riviste ma, detto sinceramente, non avevo mai pensato a entrare nell’organico di nessuna, proprio perché mi sembrava che nessuna offrisse quel che Federico mi prospettava: la possibilità di trattare la contemporaneità con la testa sgombra dai molti pregiudizi che appesantiscono il giornalese italiano. Provare a fare un piccolo Atlantic in Italia? Da indipendenti? Perché no? A molti sarebbe parsa una follia a me sembrò un’ambizione bellissima. Dissi di sì.
Comunque andrà a finire la sensazione sarà sempre quella di aver guadagnato vita e non di aver perso tempo facendo questa rivista e questo sito
Sono passati tre anni da quel giorno. Un tempo in cui, partendo dal nulla, siamo riusciti a realizzare cose di cui vado, andiamo orgogliosissimi e altre che ci sono venute probabilmente meno bene. Lo spirito però è sempre stato lo stesso: voglia di rischiare, di mettere in gioco le proprie passioni e competenze per presentare storie e personaggi, grandi o piccoli che fossero, cercati fuori dai percorsi ordinari. Voglia di divertirsi e di mantenere intatto l’entusiasmo del primo giorno soprattutto, anche quando intorno a noi c’era poco per cui entusiasmarsi. Sono passati tre anni e tutti quanti siamo molto cambiati, abbiamo tutti faticato, ci siamo spremuti ognuno per quello che sapeva fare meglio, ci siamo tolti molte soddisfazioni e patito alcune delusioni, siamo cresciuti umanamente e professionalmente e, comunque andrà a finire, la sensazione sarà sempre quella di aver guadagnato vita e non di aver perso tempo facendo questa rivista e questo sito.
Nella scatola delle memorie di questi tre anni conservo molte cose e persone, troppe per elencarle tutte. Eccone alcune. Per esempio la ricerca, nell’estate 2010, degli altri redattori: tanti colloqui, tante idee ascoltate e tante ottime “teste” conosciute. Persone professionalmente eccezionali come Davide Coppo che pure era già un mio amico di lunga data, come Pietro Minto la cui genialità nell’esplorare la cultura umanistica digitale non smette mai di stupirmi o come Tommaso Garner e Giorgio Di Salvo che di numero in numero hanno reso Studio un oggetto sempre più bello. Persone giornalisticamente già navigatissime come Anna Momigliano che hanno saputo rimettersi in gioco con grande intelligenza e ironia in un contesto nuovo e diverso da quello da cui provenivano, come Manuela Ravasio che ogni volta arriva in redazione con cinque idee stranissime e affascinanti che potrebbero diventare altrettanti articoloni del New Yorker o come Michele Bisceglia, Marco Cendron e Alessandro Cavallini che hanno dato una mano, a me e a Federico, a mettere insieme un numero zero con una cover story di grande spessore e poi se ne sono andate per seguire i loro percorsi, augurandoci tutto il meglio e viceversa. E poi le prime riunioni informali per preparare quel numero zero – Fede, Mick ed io, seduti ai tavolini di qualche bar di Ticinese – a settembre 2010, con ancora l’abbronzatura addosso e scorte di taccuini e timoni su cui segnare idee e nomi di possibili collaboratori. Molte di quelle idee le abbiamo poi realizzate, quasi tutti quei collaboratori nel tempo li abbiamo coinvolti, instaurando rapporti di amicizia e stima reciproca sempre più solidi.
Le prime riunioni con scorte di taccuini e timoni su cui segnare idee e nomi di possibili collaboratori. Molte di quelle idee le abbiamo poi realizzate, quasi tutti quei collaboratori nel tempo li abbiamo coinvolti
Ricordo le torrenziali discussioni con Francesco Pacifico e Tim Small, a volte fino a tarda notte, parlando di cultura pop, letteratura, cinema, serie tv, comici, videogiochi, basket e a volte tutte queste cose insieme e la soddisfazione di prendere in mano il numero 2 fresco di stampa, con il volto di Matthew Barney in copertina e le stupende foto di Ari Marcopoulos all’interno. Andammo a Torino a presentare quel numero, a casa di Gianluigi Ricuperati che ci aprì la sua terrazza con vista sulla città e lì ebbi anche il piacere di conoscere l’ironia pungente di Michele Masneri e approfondire il già ottimo rapporto con Fabio Guarnaccia. Ricordo una bella chiacchierata tardo-primaverile con Vincenzo Latronico in cui parlammo del suo romanzo La Cospirazione delle colombe e di quasi tutto il resto di cui si può parlare in tre/quattro ore, ed ebbi l’opportunità di apprezzarne meglio l’intelligenza cristallina. Ricordo la soddisfazione di pubblicare interviste ai direttori di N+1 e a Lorin Stein della Paris Review, che ho avuto poi modo di conoscere scoprendovi uno dei più raffinati gentleman a cui ho mai stretto la mano. Ricordo l’incontro con Guido Gazzilli a febbrario 2012, in un bar di Berlino semi-fatiscente e al riparo da una bufera di neve, l’amicizia che ne è nata e la soddisfazione di essere riuscito, anche grazie alle foto di Guido, a pubblicare un reportage – credo bello e non banale – che racconta i mutamenti di una città che amo da sempre, pur se in un periodo non felicissimo della mia vita. Ricordo le birre con Andrea Marinelli, in Piazza Grande a Perugia, durante il Festival del giornalismo e la sensazione di essere un po’ degli alieni sbarcati su un pianeta che non capivamo fino in fondo. Sempre lì, ricordo una incredibile cena con Eugeny Morozov e il pensiero che mi rimbalzava tra le pareti del cervello in quel momento: «Ok, a un certo punto probabilmente mi sveglierò». A quel tavolo oltre alla bravissima Serena Danna sedeva anche Gianni Riotta. Un nome su tutti, insieme a quello di Christian Rocca, per ringraziare quanti, tra i senior del giornalismo italiano, hanno creduto in Studio, investendoci tempo e credibilità personale, quando ancora era davvero poco più che un neonato. Non era facile e neppure scontato che lo facessero.
I ricordi si fanno poi più recenti: i viaggi a Londra a intervistare James Bridle e altri fantastici “pazzi” della scena digitale di Shoreditch. Venti/trentenni che dormono 3 ore a notte per leggere il più possibile, ricercare il più possibile, creare e innovare il più possibile, divulgare il più possibile. Oppure la trasferta recente ad Amburgo, vista attraverso gli occhi di un ex marinaio polacco, un ragazzone di trent’anni e due metri con lo sguardo ancora adolescente. L’ultima bella esperienza che ho fatto grazie a e per Studio. Ne leggerete sul prossimo numero. Perché, festeggiati i compleanni, la vita poi continua.