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La storia dell’ex rapper che ha fondato il primo sindacato di Amazon

Christian Smalls ha 33 anni e passerà alla storia per due motivi: aver organizzato il primo sindacato di Amazon ed essere il sindacalista più figo del mondo.

di Studio

Christian Smalls passerà alla storia per due motivi: aver organizzato il primo sindacato di Amazon ed essere il sindacalista più figo (e meglio vestito) del mondo. A 33 anni è diventato una star, anche se non per i motivi che avrebbe immaginato da ragazzo: i giornali americani parlano di lui da almeno un anno, ma in questi giorni gli articoli che raccontano la sua prodigiosa missione sono apparsi ovunque, dal Guardian al New York Times. È del 1 aprile, infatti, la notizia della nascita del primo sindacato di Amazon negli Stati Uniti: insieme al suo amico Derrick Palmer – il titolo del bellissimo articolo del New York Times è “How Two Best Friends Beat Amazon” – Smalls è riuscito nell’impresa impossibile di unire i lavoratori di un’azienda che per decenni ha resistito alla sindacalizzazione.

Nato e cresciuto a Hackensack, nel New Jersey, nel suo cv Smalls può vantare almeno due grandi delusioni professionali, la prima quand’era poco più che adolescente. Patito di basket, da ragazzino sognava di giocare nella National Basketball Association. La sua carriera sportiva, però, si interrompe bruscamente: mentre lavora come parcheggiatore, qualcuno lo investe con la macchina e poi scappa. A causa dei danni fisici riportati dopo l’incidente Smalls è costretto a rinunciare al basket. Si dedica allora all’altra sua passione, il rap. Le cose sembrano andare bene, riesce perfino a fare un breve tour con il rapper di culto Meek Mill, ma i soldi che guadagna con la musica non bastano per mantenere i suoi due figli (a cui poi se ne aggiungerà un altro). In poco tempo Smalls si rende conto di dover rinunciare alla carriera musicale e dal 2012 al 2015 lavora a tempo pieno da Walmart, Home Depot, FedEx e Target.

Nel 2015 accetta un lavoro come maganizziere in un magazzino Amazon nel Connecticut. A certo punto viene licenziato, così, senza motivo. Lui fa subito ricorso e viene reintergrato. Nel 2018 Amazon apre un nuovo magazzino a Staten Island, il JFK8: viene trasferito lì nel ruolo di assistant manager. Negli anni il dipendente Smalls nota molte cose che non gli piacciono, ma è all’inizio della pandemia che la sua incazzatura raggiunge un livello che gli impone di agire. Nel 2020, un collega estremamente malato viene autorizzato a lavorare con tutti i sintomi del Covid in attesa dei risultati del test. Dopo aver contattato (inutilmente) il settore risorse umane di Amazon e i politici locali, il 30 marzo Smalls organizza uno sciopero per protestare contro i protocolli di sicurezza dell’azienda durante la pandemia, compresa l’impossibilità di rispettare il distanziamento, richiedendo la chiusura temporanea del magazzino JFK8.

Smalls non si lamenta solo della gestione della pandemia: inizia a parlare della discriminazione razziale sistemica che ha osservato in azienda, raccontando di aver fatto domanda per assumere posizioni dirigenziali 49 volte senza mai essere stato selezionato. Poi passa ai problemi con i protocolli di sicurezza, cita il tasso di infortuni, il sessismo e la discriminazione contro i caregiver. In poco tempo riesce a unire un gruppo di lavoratori scontenti che fino a quel momento non erano mai riusciti a organizzarsi. Ricordando i tentativi col rap, i suoi amici gli dicono: «Ecco a cosa serviva la tua voce».

Il giorno dello sciopero, però, Smalls viene stato licenziato. Il procuratore generale di New York Letitia James accusa Amazon di aver licenziato illegalmente un dipendente e ordina un’indagine sulla questione. Diversi politici si schierano dalla sua parte: nove senatori inviano una lettera all’azienda chiedendo maggiori informazioni sul licenziamento di Smalls e altri tre whistleblower. L’ex vicepresidente di Amazon Web Services, Tim Bray, si dimette per i licenziamenti e scrive in un post: «Sono sicuro che sia una coincidenza che ognuno di loro sia una persona di colore, una donna o entrambi, giusto?». Qualche giorno dopo il frammento di una riunione con Bezos finisce nelle mani di Vice Usa. Riferendosi a Smalls come «non intelligente o articolato», il Counsel di Amazon, David Zapolsky, esorta a fare di lui «il volto dell’intero movimento sindacale/organizzativo».

Dopo il licenziamento, Smalls decide di seguire il prezioso suggerimento dei capi e fonda The Congress of Essential Workers (TCOEW), un gruppo di attivisti sindacali con cui organizza uno sciopero del Primo Maggio da Amazon, Target, Walmart e altre grandi aziende in tutto il Paese. Il 20 aprile 2021, col sostegno di TCOEW, fonda la Amazon Labor Union (ALU). Ai problemi di sicurezza, salario, sorveglianza invasiva dei dipendenti e tutto il resto, si aggiunge ora la propaganda antisindacale: Amazon inizia a diffondere cartelli antisindacali nei bagni, invia sms antisindacali ai lavoratori e organizza riunioni interne volte a convincere i lavoratori a non aderire al sindacato. Nonostante gli sforzi dell’azienda (che continuano ancora oggi: come dimostra la lista delle parole vietate nella chat dei dipendenti), a gennaio Smalls comunica con un tweet che la ALU è riuscita a raccogliere abbastanza firme per creare un sindacato. Il 1 aprile 2022, anche i lavoratori del JFK8 votano a favore, la notizia è ufficiale: è nato il primo sindacato di Amazon. Smalls ha festeggiato in total red, sbocciando champagne. Ha postato la foto su Instagram scrivendo: «Keep calm Amazon got Unionized!!».

 

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