Le attiviste che hanno lanciato la zuppa di pomodoro sui Girasoli di Van Gogh hanno compiuto un gesto narrativamente perfetto ma che lascia un dubbio: si può discutere della crisi climatica compiendo azioni così radicali?
Sulla parola dell’anno
Che è post-verità, pare. Che sia vero o no, che sia una scusa per giustificare fallimenti politici o meno, basta contrapporle fatti e verifica delle notizie?

L’abbiamo letto tutti: una delle parole che concorre maggiormente a riassumere quanto accaduto nel corso degli ultimi dodici mesi è post-verità. Oxford Dictionaries ha definito proprio post-truth parola internazionale dell’anno, spinta indubbiamente dall’uso che ne è stato fatto per descrivere, ad esempio, gli esiti per certi versi imprevedibili, del referendum nel Regno Unito lo scorso giugno e della corsa alla Casa Bianca. Che l’essere umano non sia motivato nelle sue scelte solo da fattori razionali è palese ma davvero i fatti sono stati accantonati a tutto vantaggio di emozioni, convinzioni e dunque ipotesi? Molti studiosi si stanno interrogando sul tema e i ricercatori presentano indagini e analisi volte a capire le cause di questa tendenza e ovviamente a spiegarne e perché no, prevederne, gli effetti.
Una coltre di sfiducia e sospetto sembra aver coperto l’opinione pubblica, teorie e nozioni ormai assodate sono messe in discussione, dati e numeri vengono guardati con diffidenza, i pareri degli esperti ignorati e trattati con superficialità. Tutto quello che è apertura, collegamento su scala globale, viene osteggiato. La sana capacità critica tende sempre più spesso verso un pregiudizievole rifiuto di spiegazioni e approfondimenti sui temi più disparati. In uno scenario del genere ipotesi di macchinazioni e congetture trovano terreno fertile. Anche il web, e in particolare i social network, sono ovviamente stati chiamati in causa: il clickbaiting, l’esistenza di camere dell’eco in cui si legge solo ciò che si vuole vedere e si finisce per pensarla in maniera ancora più estrema e pregiudiziale rispetto a prima, fino agli algoritmi che inevitabilmente condizionano le ricerche in rete.
Lo scenario delineato appare dunque tanto complesso quanto problematico. In sintesi: se non ci si appella ai fatti si diventa preda delle emozioni e dell’emotività e la ragione rischia di cedere il passo alla paura e alla sfiducia. La paura investe il futuro e il progresso, la sfiducia inevitabilmente riguarda anche e soprattutto l’ambito politico, le cui dinamiche scontano un meccanismo decisionale talvolta troppo complesso, senza riuscire a far comprendere pienamente chi faccia cosa e dunque, in ultima istanza, chi sia davvero responsabile e di cosa. Una situazione del genere in parte spiega la distanza che gli elettori stanno prendendo dai loro rappresentanti. Ed è in questa distanza che crescono e proliferano indifferenza, riluttanza, rabbia e sfiducia nei confronti delle istituzioni. Al contrario, va fatto ogni sforzo per recuperare la partecipazione, il senso civico e il costruttivo interesse di ciascuno, fattori questi fondamentali per garantire il perfetto funzionamento dell’intero impianto democratico. Il problema è politico e la risposta non può che essere, inevitabilmente, politica. La democrazia va rivitalizzata e valorizzata a partire dal recupero di determinati valori e da un confronto stimolante e propositivo.
Ma per poter garantire un dibattito pubblico proficuo come si può prescindere dai fatti? Accanto a post-truth, fra le parole dell’anno, abbiamo spesso visto comparire in contrapposizione fact-checking, l’attività di verifica e controllo delle notizie operata da chi si occupa di informazione e non solo. Parallelamente alla crescita della consapevolezza di un ambiente infestato da inesattezze e disinformazione, è infatti cresciuta la richiesta e l’esigenza di operare un riscontro: sui giornali, sui siti specializzati, durante i dibattiti politici, contestualmente alla presentazione di particolari misure da parte di governi e istituzioni. Dando per assodato che non si possa non tener conto dei fatti, e quindi dell’attività di controllo, molti si stanno però domandando quali azioni possano risultare efficaci. La situazione è meno semplice di come possa sembrare: secondo alcuni, ad esempio, la verifica sarebbe maggiormente presa in considerazione quando è di parte; in sostanza tendiamo a credere alla rettifica di una notizia se questa avviene da parte di un soggetto verso cui si ha già una predisposizione favorevole.
È per questo che il modo migliore di rispondere ai neologismi 2016 (sebbene la parola post-truth, come ricorda il Guardian, sia stata usata per la prima volta nel 1992) resta probabilmente la riscoperta della pratica di parole antiche, comuni e preziose come ragione, fiducia e progresso.

Come funziona Jigsaw, la divisione (poco conosciuta) di Google che sta cercando di mettere la potenza di calcolo digitale del motore di ricerca al servizio della democrazia, contro disinformazione, manipolazioni elettorali, radicalizzazioni e abusi.