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No vuol dire No

E Sì vuol dire Sì. Allora perché c'è ancora chi confonde il sesso violento con lo stupro? Due casi di cronaca e una scena da un film intimista.

10 Ottobre 2012

La scena di sesso più violenta che mi ricordo di avere visto al cinema è questa: una coppia sposata di mezza età, nel letto di casa, lo fa nella posizione del missionario. Non si vede molto, i corpi di lui e di lei che s’intuiscono appena al di sotto delle lenzuola. A un certo punto la moglie dice “ahi, mi stai facendo male.” Il marito stringe la testa di lei con affetto, le risponde “ho bisogno di te”, e va avanti. La donna ripete: “Per favore, mi stai facendo male. “Shhh,” sussurra lui dolcemente, “in questo momento ho bisogno di te.” Non si ferma.

La scena proviene da Private di Saverio Costanzo (2005), un lungometraggio sul conflitto israelo-palestinese dal sapore decisamente intimista e che, sebbene criticabile anche sotto altri aspetti, tutto sommato mi è pure piaciuto. Ma c’è qualcosa, in quella scena di sesso, che non riesco a togliermi dalla mente.

Sono profondamente grata a Saverio Costanzo (lo dico seriamente) per non avere incluso una parola in quel dialogo: lei non pronuncia mai la parola “No”.

Private racconta la quotidianità sconvolta di una famiglia palestinese costretta ad ospitare una piccola unità dell’esercito israeliano: conflitto mediorientale a parte, è la vicenda umana di un padre che tenta di mantenere la sua dignità, la sua funzione di guida e di sostegno, nonostante l’umiliazione e la paura in cui vivono i figli. La moglie è l’unico punto di appoggio di un marito che, a sua volta, è il punto fermo dell’intera famiglia. Da cui si spiega il sopracitato dialogo “in questo momento ho bisogno di te.” Certo, il pater familias, che per il resto è il vero eroe borghese del film, in quella scena di sesso non ci fa una gran bella figura (questa almeno è la mia impressione, non so se faccia parte del sottotesto): lei gli fa capire, e più di una volta, che quel rapporto non le piace, “mi stai facendo male,” ma lui decide di ignorare le lamentele della moglie perché quel rapporto è necessario a trovare la forza.

Io ci trovo un che di violento, sarà una questione di sensibilità. Però apprezzo molto che, tra un “mi fai male” e l’altro, l’autore del film non abbia incluso un “No” secco. Perché, in fondo, sarebbe bastata una parola – due lettere, una sillaba – per trasformare la più banale scena di sesso nella rappresentazione di uno stupro.

È di questi giorni la notizia che la Corte di Cassazione ha “stabilito” (metto le virgolette perché, se ben ricordo, nel nostro ordinamento il precedente non è vincolante) che in relazione a ”certe pratiche estreme non basta il consenso espresso nel momento iniziale” e che il sesso diventa stupro se una delle due parti coinvolte a un certo punto dichiara di ”non essere più consenziente al protrarsi dell’azione alla quale aveva inizialmente aderito”. In pratica non basta un Sì pronunciato all’inizio per rendere nulli eventuali No affermati in seguito. La sentenza arriva a seguito di una denuncia per stupro, avvenuto nel corso di una relazione sadomasochista che, inizialmente, era stata consensuale.

Come c’era da aspettarsi, molti media che hanno riportato la notizia si sono soffermati sull’aspetto del sadomaso, del “sesso estremo” (espressione da manuale di giornalese che meriterebbe un discorso a parte), e via dicendo. Ho trovo la cosa molto fastidiosa, non tanto perché sia un esempio di informazione bavosetta (comunque: lo è), quanto piuttosto perché – in tutta onestà – il punto è un altro.

Che sia una banalissima sessione di posizione del missionario tra coniugi ultra-cinquantenni, o un’orgia di trenta persone iper-accessoriate di sex toys contundenti, la sostanza non cambia: se uno dei partner (vale per le donne, ma anche per gli uomini!) dice che non vuole, è violenza. Punto.

Quello che separa il sesso dallo stupro è il consenso. Non i lividi, i graffi, o la mancanza di: è il consenso. No vuol dire No, Sì vuol dire Sì. È di una banalità disarmante, ma forse vale la pena di ribadire il concetto. Perché pare che la confusione tra sesso violento e stupro sia piuttosto frequente.

Prendiamo ad esempio un altro fatto di cronaca di cui qualcuno avrà sentito parlare. La scorsa estate una turista australiana era finita in ospedale a Roma, pare per lesioni legate a un rapporto sessuale: lei non fa alcuna denuncia per stupro, ma in compenso una psicologa dell’ospedale rilascia dichiarazioni alla stampa in cui si dice convinta che la turista sia stata stuprata, solo che “non vuole ammetterlo.”

Ora, può darsi che veramente sia stato un caso di stupro e che la vittima fosse tanto traumatizzata da non ammetterlo (domanda: ma è normale che lo psicologo di un ospedale rilasci dichiarazioni pubbliche, parlando a nome di una “presunta vittima” che però vittima non si dichiara?). Ma può anche darsi che quel rapporto sessuale – per quanto fisicamente violento, sennò la turista mica sarebbe finita all’ospedale – sia stato consensuale. La differenza sta tutta in un Sì o un No: la diretta interessata saprà quello che ha detto.

Magari partiamo da questo presupposto.

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