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Le cose più interessanti viste a Pitti 93

Dal museo di Gucci al corner di Birkenstock fino agli ospiti, ecco come la fiera maschile per eccellenza riesce a mantenere la sua rilevanza.

di Silvia Schirinzi

L’ultima volta che abbiamo parlato di moda uomo, lo scorso giugno, non era stata una stagione particolarmente brillante, anzi. In un panorama che si prospetta per il 2018 cautamente ottimista, con una crescita del commercio internazionale di beni e servizi che il Fondo monetario (IMF) prevede del 4%, il comparto della moda maschile italiana ha segnato nel 2017 un più 2,1% con un fatturato di quasi 9,2 miliardi di euro, secondo le stime di Sistema Moda Italia, una delle più grandi organizzazioni di rappresentanza degli industriali del settore tessile e della moda. Come già segnalato nella rassegna annuale, gli analisti concordano nel prevedere un anno di stabilità dell’intero settore dell’abbigliamento, ipotizzando una moderata crescita e riconfermando, allo stesso tempo, il momento difficile del retail e le sfide dell’e-commerce. In questo scenario, la moda uomo ha i suoi crucci, a cominciare dal fatto che sempre più marchi hanno scelto di combinare gli show per presentare all’unisono le collezioni femminili e maschili durante la settimana della donna, tradizionalmente più rilevante, o durante eventi slegati dal calendario ufficiale. Così New York ha perso Calvin Klein e Coach, Londra J.W. Anderson e Burberry, Milano Gucci.

Se da una parte questa non è una buona notizia per le fashion week più in generale, che perdono alcuni degli attori principali che assicuravano interesse e copertura mediatica, dall’altra è un elemento interessante per tutti i marchi più giovani, che hanno così l’opportunità di usufruire di piattaforme non intasate dalla presenza ingombrante dei “big”, come scrive Osman Ahmed su Business of Fashion. Tuttavia, perché nomi di talentuosi come Craig Green, Grace Wales Bonner o Xander Zhou diventino sempre più rilevanti, quelle stesse piattaforme hanno bisogno di cambiare per adeguarsi alla velocità di un mercato, o meglio dei mercati, che mai come oggi sembrano frammentati e difficili da fotografare. L’esempio di Pitti Immagine, la più consolidata tra le fiere di abbigliamento maschile al mondo svoltasi a Firenze dal 9 al 12 gennaio, può essere un utile metro di paragone per il futuro della “vecchia” settimana della moda. La formula mista del salone fiorentino, lo abbiamo detto più volte, si è dimostrata in questi anni più adatta ad accogliere e interpretare i cambiamenti che stanno stravolgendo il settore, confermandosi come il termometro più affidabile sullo status quo e sulle prospettive di medio termine dell’intero comparto.

032c - 030

Affiancare al core-business della fiera un’attenta selezione di designer e nazioni ospiti e, contemporaneamente, un carnet di eventi a garantire lo spazio glamour che una rassegna di moda richiede, ha permesso a Pitti di mantenere e consolidare il proprio ruolo a fronte della parabola discendente di manifestazioni simili, su tutte quella di Londra che dal 2012 a oggi ha faticato a decollare, nonostante alcuni nomi degni di nota. Nel sopracitato rapporto di rapporto di Smi, si legge anche che i Paesi verso i quali l’export di abbigliamento maschile italiano ha sofferto di più nel 2017 sono stati gli Stati Uniti (meno 4,3%) e il Giappone (meno 2,1%). Non è un caso, allora, che la novantatreesima edizione di Pitti si sia aperta con due eventi speciali: lo show a Palazzo Vecchio per celebrare i duecento anni di Brooks Brothers, storico marchio americano, e quello di Undercover, brand avant-garde disegnato dai giapponesi Jun Takahashi e Takahiro Miyashita The Soloist.

Tra gli altri ospiti della manifestazione, particolarmente interessante poi si è rivelata la scelta della Finlandia: otto marchi finlandesi sono stati infatti invitati a presentare le loro collezioni all’interno dello Spazio Carra, a dimostrazione del momento d’oro dello stile nordico di cui abbiamo parlato non troppo tempo fa. Uno speciale corner, poi, è stato allestito per la prima volta in Italia da Birkenstock: presentato per la prima volta a Berlino lo scorso luglio, subito dopo la sfilata-evento tenutasi durante la settimana della moda di Parigi, inaugura di fatto un nuovo corso del marchio di ciabatte più famoso al mondo. In questo speciale “negozio”, oltre alle suddette ciabatte, si possono trovare complementi d’arredo (nello specifico, letti) e una linea di cosmesi naturale che rispecchiano la visione del brand. È un negozio di cui si fa “esperienza” (quella di Birkenstock è definita “olistica”), esattamente come di quello di Arket, il nuovo marchio di H&M, che ha appena annunciato la prima apertura italiana, a Torino.

BIRKENSTOCK Natural Care

E a conferma di come il lifestyle (nelle sue tante declinazioni) sia l’appiglio cui guardano tanto i marchi di moda quanto i giornali, da segnalare l’iniziativa del magazine tedesco 032c, che a Firenze ha presentato la sua prima collezione di apparel a Palazzo Medici Riccardi, con tanto di performer della community di Kreuzberg. È Alessandro Michele, però, a costruire il negozio più curioso e stimolante di tutti: a Palazzo della Mercanzia ha infatti inaugurato Gucci Garden, il museo “convenzionale” con la curatela di Maria Luisa Frisa, che ricostruisce la storia del marchio attraverso un’accurata selezione d’archivio, e una speciale riedizione fiorentina dell’Osteria Francescana di Massimo Bottura. E almeno in questo, possiamo dirlo, siamo più bravi anche degli scandinavi.

In apertura: l’artista Jayde Fish all’inagurazione di Gucci Garden (Getty Images); nel testo: un momento dell’evento di o32c (Studio Proje3ct); la linea di cosmesi naturale di Birkenstock.