Attualità

Dubito, quindi scrivo

Un testo inedito su arte e dubbio di Jón Kalman Stefánsson, ospite in questi giorni al festival della Grande invasione di Ivrea.

di Jón Kalman Stefánsson

Il ruolo dell’artista è dubitare. Ma un artista deve anche inebriarci e renderci più perspicaci, farci più teneri e affinarci, scatenare le nostre ire e indurci alla riconciliazione, convincerci a ricordare tutto quello che abbiamo sempre tentato di dimenticare; deve farci provare la paura della morte, il desiderio di semplicità, di una tavola imbandita, di baldorie notturne, del silenzio tra i poggi d’erba sulla brughiera. È il ruolo dell’artista combattere contro l’esistenza, predisporre un mondo parallelo al nostro per dilatarlo, ampliare la vita, cogliere ciò che è accaduto, ciò che sarebbe potuto accadere e ciò che sarebbe dovuto accadere. E l’artista deve dubitare.

Deve dubitare del suo ambiente, della società, dell’organizzazione sociale, dei valori, delle forze imperanti, che siano politiche o meno, deve dubitare dello scopo, della vita e della morte, deve dubitare di se stesso e in primo luogo della forma artistica, perché deve sapere, comprendere con ogni cellula del proprio corpo che nell’arte ciò che si arresta è destinato a inaridirsi e morire. Sono concetti già espressi in precedenza, ma è sempre necessario ripetere le cose importanti, altrimenti le perdiamo, e forse non ce n’è mai stato più bisogno di adesso, in questi nostri tempi in cui la legge dei mass media e della pubblicità ci deforma il modo di pensare, le percezioni e i sentimenti, esalta l’individuo, la persona, o meglio, il suo volto, e cerca di sgravarci dal bagaglio più pesante – il contenuto, la sostanza. Per questo sono qui a ribadirlo ancora una volta.

Question Mark

È stato affermato che l’artista deve stare al di fuori, o al massimo ai margini, io invece dico che può starsene dove vuole, perfino in mezzo, basta che non dimentichi di dubitare: chi non dubita è stagnante, si prosciuga, inaridisce. Un artista che dubita può darci una nuova prospettiva sull’essere umano, sul giorno che sta per finire, sulla notte che giunge e ci passa attraverso mentre dormiamo. Il dubbio raramente si esplicita in un’opera d’arte, forse lo percepiamo tutt’al più come un sospetto lontano, eppure sufficiente a far dubitare anche noi. Dubitiamo della nostra esistenza qui e ora, delle vicende di Gesù, della libertà, delle disposizioni del governatore della banca centrale, della brama di un nuovo telefono cellulare, delle labbra che abbiamo voglia di baciare.

L’artista a volte va contro corrente ma non lo fa per coraggio, per gli ideali, piuttosto semplicemente perché non può farne a meno, la divergenza ce l’ha nel sangue, è in eterna opposizione. Non che salga su una cassa di birre per annunciare la fine del mondo, o ci piombi addosso come un razzo privo di controllo, no: il dissenso nasce da un dubbio radicato, esiste nei colori, nelle tonalità, nelle parole – o negli spazi tra di loro. Il dubbio non è una forza motrice, gli scrittori di tutto il mondo non pensano: «dubito, quindi scrivo». No, perché la forza motrice è molteplice, ovvio, quanto lo sono gli artisti, ma è il dubbio a unirli, e a volte è magnifico, a volte è un ronzio sgradevole, a volte è crudele, ed è colpa sua se abbiamo giornate spiacevoli e il mondo risulta spinoso. Il dubbio, nei confronti della vita, dell’ambiente, della forma artistica. Più di cent’anni fa Stephan G. Stephansson (1852-1927) compose una poesia immortale sul dubbio, la intitolò “Scetticismo”:

Pari a lampo nell’algida penombra giunse,

e splendente un chiarore vi depose:

al suo fulgore fu ogni fiammella più netta,

e l’ombre più ritorte, più grandi, più brutte.

Meglio di così è quasi impossibile esprimerlo.

Domenica 5 giugno l’autore sarà presente alla Grande invasione di Ivrea. Qui il programma dettagliato. Mentre il 3 giugno, esce per Iperborea il suo nuovo libro Grande come l’universo.

 

(traduzione di Silvia Cosimini, courtesy Iperborea)
In copertina: foto Evening Standard/Getty Images.