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Venezuela, una distopia al collasso
Un Paese che galleggia in un mare di petrolio è finito sul lastrico, col cibo che scarseggia e i colectivos armati che spadroneggiano.
General view of the Petare shantytown in Caracas on August 11, 2016. / AFP / JUAN BARRETO (Photo credit should read JUAN BARRETO/AFP/Getty Images)
Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood è ambientato negli Stati Uniti, ma potrebbe essere benissimo il Venezuela: una setta politico-militare prende il potere inducendo la popolazione in schiavitù. A Caracas è successo. Sin dall’arrivo nell’aeroporto della capitale, colpiscono i tanti uffici di cambio aperti, e vuoti. In Venezuela esistono due tipi di cambio: quello ufficiale, dove per un dollaro vi danno circa dieci bolivares, e quello nero, quello che conta: per un biglietto verde, se trovate qualcuno che abbia ancora banconote, otterrete quasi un chilo di carta. Nel Paese la svalutazione ha superato il 24 mila per cento e i prezzi sono aumentati di oltre l’80 per cento in un mese. Moneta non se ne stampa più perché il denaro vale meno della carta su cui è stato stampato. Per fare un esempio, se vi venisse in mente di pagare un pasto strisciando la vostra carta di credito europea, vi verrebbe applicato il tasso ufficiale e al vostro ritorno potreste scoprire di aver mangiato la pizza più costosa della vostra vita. Negli alberghi, se restate oltre due notti, non vi chiedono di pagare all’inizio, ma alla fine della vostra permanenza: visto che la svalutazione corre su base quotidiana, in quindici giorni gli hotel perderebbero la metà del valore della camera.
Come abbia fatto un Paese tanto ricco di petrolio a ridursi così è la domanda che tanti si pongono. C’è chi dà la colpa ai perfidi Stati Uniti e alla loro decisione di imporre sanzioni, ma le cause sono soprattutto endogene. E le sanzioni sono contro alti esponenti del governo chavista, non contro il popolo venezuelano. Quando il defunto Hugo Chavez prese il potere, approfittando della stanchezza della gente per la corruzione, ebbe anche la fortuna di governare durante la decade in cui il prezzo del petrolio fu il più alto nella storia dell’umanità, oltre 100 dollari al barile. Poi è crollato della metà. Nel frattempo però il chavismo ha infiltrato tutti i gangli della società, senza curare né le infrastrutture né l’agricoltura.
Il petrolio venezuelano, ad esempio, è particolarmente difficile da depurare: per farlo c’era bisogno di professionalità particolari, ma quando il chavismo ha messo le mani su PDVSA, l’azienda petrolifera statale, molti tecnici non allineati sono stati licenziati e sostituiti da personale non qualificato. La mancanza d’investimenti sostanziali ha fatto il resto. Se non si sono trovati i soldi per innovare quando gli ingressi in valuta pregiata erano importanti, figuratevi con la crisi. Un altro esempio è l’approvvigionamento energetico di Caracas. La capitale di un Paese che galleggia su di un mare di petrolio dipende dalla diga del Guri: quando si ferma, come può capitare se piove poco, a Caracas restano senza luce. L’agricoltura è messa anche peggio: inseguendo il sogno di lavorare nell’industria petrolifera, in molti hanno lasciato le campagne, il governo o ha espropriato molti terreni oppure non ha adeguatamente sostenuto il comparto (tanto c’erano i proventi del petrolio che assicuravano le importazioni). Dopo anni di vacche grasse i venezuelani si sono svegliati e si sono resi conto che semplicemente non avevano più un’agricoltura degna di questo nome.
Per venire incontro alle difficoltà il governo ha avuto l’idea di stampare tantissima moneta e il valore della valuta è crollato. Oggi lo stipendio di un professionista venezuelano si aggira sui tre dollari al mese. Si vive delle rimesse di chi è partito all’estero, dell’elemosina del governo, oppure si cerca in qualche modo di scappare. A raccontare le meraviglie del socialismo caribico sono rimasti i media, ormai quasi tutti nelle mani dello Stato, che non ha rinnovato le licenze alle televisioni sgradite oppure non fa arrivare la carta ai quotidiani. L’informazione si è dunque spostata su internet, su Whatsapp. Il governo ha reagito con un’inquietante legge contro “l’odio in rete”: se durante un controllo di sicurezza vi trovassero sul cellulare messaggi che offendono o criticano il governo, potreste essere arrestati. Fra i megafoni dell’esecutivo c’è Telesur. Avrebbe dovuto essere la Cnn sudamericana, e chi scrive ci ha lavorato senza nessuna censura, prima che il controllo statale diventasse asfissiante.
Tutto è accaduto per gradi. Chavez ha saputo sfruttare la propria eccezionale personalità e un Paese intero gli è andato dietro in nome del cambiamento. È stato capace di usare i social network per muovere l’opinione pubblica, fino a quando la sua figura è stata avvolta da una specie di santità. Oggi sono numerosissimi i murales che lo ritraggono con Gesù o circondato da un’aureola. Nell’epoca delle vacche grasse Chavez ha anche finanziato a pioggia media amici. Il suo successore Nicolas Maduro ha esautorato il Parlamento creando un’Assemblea Costituente che ha permesso di accentrare tutti i poteri nelle mani dello Stato: esecutivo, legislativo e giudiziario. Un’opposizione politica divisa e spesso incapace di qualsiasi strategia ha fatto il resto.
Oggi il Venezuela è probabilmente il Paese più pericoloso della terra, lo conferma un recente sondaggio Gallup. Dalle cinque del pomeriggio c’è praticamente il coprifuoco e la gente si chiude in casa. Chi ha un lavoro spesso lo lascia perché i costi per raggiungere il posto di lavoro sono più alti dello stipendio. Il controllo del territorio è in mano ai colectivos, bande di attivisti armati che impongono la legge e che fanno il bello e il cattivo tempo, soprattutto sotto elezioni. I sequestri-express sono all’ordine del giorno. Vi rapiscono il bambino mentre lo portate a scuola e ve lo riconsegnano qualche ora dopo, se pagate. La gente passa la vita a fare file davanti ai supermercati. I beni di consumo hanno prezzi impossibili per la popolazione che quindi deve attendere l’arrivo del cibo a prezzo controllato dal governo. Ma le quantità sono ridicole e quindi ogni persona, ogni giorno, in Venezuela deve letteralmente battere la strada alla ricerca di cibo.
Secondo la magistratura americana il Paese è diventato il più grosso hub mondiale per la distribuzione della cocaina. A gestire gli affari, i cartelli messicani, colombiani, la ‘ndrangheta calabrese e il cartello dei soli. I soli sono le stellette dei generali corrotti diventati miliardari, in dollari, gestendo il fiume di polvere bianca dalla vicina Colombia. Ma oggi, dopo la rielezione di Maduro, le cose sembrano ancora più complicate. L’emergenza umanitaria, la fame, la mancanza di medicine, tutte cose non riconosciute dal governo, uccidono. Milioni di venezuelani sono fuggiti alla ricerca di un modo di sopravvivere.
Nel garbuglio di interessi internazionali, non manca l’ltalia. I nostri connazionali, possessori di passaporto, sono moltissimi e anche di venezuelani che vorrebbero la nazionalità italiana ce ne sono parecchi. È il caso di Maikol Moreno, presidente della Corte suprema. Un assassino passato in giudicato per duplice omicidio che, uscito di galera, è diventato giudice arrivando a presiedere l’alta corte. Ha sposato in seconde nozze una italo-venezuelana ed ha richiesto il passaporto, che gli sarebbe stato probabilmente concesso se alcuni esuli venezuelani non fossero venuti a Roma a fermare il processo. Gli interessi italiani in loco sono molti. Aziende del Belpaese hanno crediti inevasi con Caracas, ma anche molti membri del governo hanno interessi e proprietà in Italia.
I governi italiani fanno a volte la voce grossa con Caracas, ma il primo grosso invio di coltan, minerale fondamentale per i microprocessori dei nostri cellulari, è partito proprio per l’Italia. Delegazioni politiche come i Cinque Stelle hanno accettato inviti del governo bolivariano e si sono dichiarati contrari a qualsiasi ingerenza nel Paese. Oggi il Venezuela sopravvive ufficialmente con aiuti e prestiti cinesi, a cambio di concessioni che però non avrebbero valore legale perché non autorizzate dal Parlamento, di fatto esautorato. E poi c’è la Russia di Vladimir Putin che sostiene, per ora, l’esecutivo di Maduro. L’Italia ha finora seguito la corrente di generiche condanne internazionali, ma la simpatia di alcune fette di maggioranza per Mosca, fa quantomeno dubitare circa la possibilità di qualche reazione.