Attualità

Varsavia, o cara / Il riepilogo

Riassunto di Euro 2012 fin qui, con tutte le puntate della nostra rubrica aperiodica e semiseria

di Davide Coppo

Varsavia, e non Cracovia o Kiev, per le dichiarazioni pre-Europei di Gianluigi Buffon, per il quale un torneo soddisfacente porterebbe gli azzurri (almeno) in semifinale. Ora che siamo arrivati in finale (che si giocherà stasera a  Kiev), vi proponiamo un riepilogo di Euro 2012 come l’abbiamo visto attraverso “Varsavia o Cara”, la cronaca aperiodica e – come da titolo – semiseria che abbiamo raccolto in questi giorni.

 

Prima puntata


La certezza più certa di sempre, dopo il primo turno della fase finale di ogni competizione internazionale, è il maestoso spettacolo della caduta dei pronostici. I proclami sulla squadra da battere, la squadra materasso, la squadra che darà filo da torcere e la squadra sorpresa si sfracellano al suolo con le pretese di seriosità di esperti calcistici e fini analisti tecnici del globo terracqueo (noi non siamo esclusi, ma almeno non ci prendiamo troppo sul serio). La prima a deflagrare – un bel botto, non c’è che dire – è stata l’Olanda: brutta, lenta, incapace di esprimere un gioco che possa prescindere da venti minuti di dribbling onanistici dei suoi campioni là davanti. Con il risultato che l’unico in grado di combinare qualcosa – in quanto prova a tirare, e soprattutto sa tirare – è il solito Robin Van Persie. Arjen Robben si è dimostrato ancora una volta l’indolente primadonna capricciosa che “voglio fare tutto io” senza riuscire, in fondo, a combinare nulla di buono. Stupefacente l’incapacità della difesa danese, dopo un’intera partita di azioni replicate alla nausea, di capire che Robben si può annullare efficacemente impedendogli di rientrare verso sinistra, e di conseguenza ogni sua finta nella direzione opposta (la destra, quindi la linea di fondo della fascia su cui orbita solitamente) andrebbe categoricamente ignorata, come fosse una sparata di Cecchi Paone e una risposta di Cassano sull’argomento “froci”.

L’altra caduta a cui si è assistito nella seconda giornata di Euro 2012 è quella della lingua italiana. Mentre Vincenzo D’Amico perdeva l’aereo e di conseguenza il posto di commentatore tecnico, il titolare del microfono Gianni Bezzi si esibiva in un colorito creolo dialettale riassumibile nella frase: «Robben punta a Poulsen» (seguono variazioni sul tema). Non verrà approfondito oltre, però, il tema della telecronaca Rai: su Twitter è possibile rintracciare una dottissima enciclopedia sull’argomento, in un noioso gioco a chi riesce a essere il più simpatico (in realtà andrebbe segnalato anche: «Il 2012 per Robben… è fatato… ma in senso negativo», pronunciata sempre da un Bezzi alla disperata ricerca della parola “maledetto”).

L’Italia ha stupito tutti giocando bene, la Spagna ha stupito tutti giocando senza punte. Leggendo i commenti dei quotidiani esteri dopo il pareggio (meritato) con i campioni in carica, significativo è il declino del prestigio azzurro dal 2006 a oggi. L’enfasi posta sulla “sorpresa” di una Nazionale che non crolla sotto i colpi felpati delle Furie Rosse è la costante di ogni titolo. Eppure la difesa a tre di Prandelli ha funzionato bene, con De Rossi già paragonato a Baresi e nonostante un Bonucci non impeccabile. Balotelli ha fatto tutto benissimo prima che le squadre si allungassero, e l’aggancio di tacco “a scorpione” con cui è riuscito a tenere in campo un pallone che pareva (e sarebbe stato, per la maggioranza dei mortali) irrecuperabile riempirà le compilation Youtube. Con una Croazia decisamente più fisica e che giocherà con molte palle lunghe e alte è auspicabile il ritorno alla difesa a quattro, magari provando Abate al posto di uno spento Maggio.

Vero è che il calcio, come la storia, non si fa con i “se”, ma Del Bosque va ringraziato per aver inserito Torres e Navas soltanto in finale di partita. Da segnalare la figura meschina degli spagnoli, che se ne fregano di nazionalismi e regionalismi vari e si comportano esattamente come gli orgogliosi catalani blaugrana, lamentandosi a risultato (sfavorevole) acquisito della mancata inondazione del campo di gioco per favorire il calcio saponato di Iniesta, Xavi e compagni (e se proprio vogliamo dirla tutta, e fare i puntigliosi ad ogni costo, su Balotelli c’era rigore. Lapalissiano).

In Polonia-Grecia, partita inaugurale, si è vista una gara brutta, ravvivata soltanto dai rumorosi e appassionati tifosi casalinghi, dalla scioccante longevità dei nazionali greci (Karagounis sarebbe prossimo alla pensione anche in un paese come l’Italia; mancava soltanto Georgatos) e dalla stupefacente – ogni fischio di più – partigianeria dell’arbitro, che ha negato l’innegabile alla Grecia e concesso l’inconcedibile ai polacchi. Il risultato, almeno sul versante del web italiano, è stato un triste proliferare di trito umorismo sui temi “arbitraggio-Grecia-Germania-Merkel”. In ultima analisi di una noiosa partita che ha visto la conferma del solo Lewandowski come attaccante di razza, occorre far notare la povertà della rosa ellenica, orfana di Otto Rehhagel, riassumibile nella scelta pressoché obbligata di far partire titolare (o anche soltanto di convocare) uno come Samaras.

Nell’altro match del Girone A, i carriarmati russi hanno passeggiato sulle rovine della nazionale ceca, lontanissima dalla primavera di talenti di qualche anno fa, con i soli Cech, Rosicky e Baros rimasti a rappresentare un barlume di notorietà per il tifoso medio. Le quotazioni della Russia vincente all’Europeo, dopo il poker d’esordio e il tris rifilato in amichevole all’Italia, sono scese toccando, ieri, quota 10. Entusiasmi frenati dal pareggio contro la modesta Polonia, in una partita dal sapore amaro e post-bellico, sia per la presenza di un arbitro tedesco sia per gli scontri, inevitabili e tutto sommato, checché ne dicano gli ipocriti non-violenti di turno (quelli che difendevano Adem Ljajic per intenderci), comprensibili. Da segnalare l’apparente rinascita di Arshavin, già autore di tre assist, e il goal più bello della manifestazione fin’ora, firmato Blaszczykowski.

Poche righe per la vittoria della Germania sul Portogallo, meritata pur senza impressionare. Il vero interrogativo riguarda, ormai, l’attacco dei lusitani: è dai tempi di Eusebio che non viene prodotta una punta degna di nota. L’ultimo “grande” attaccante fu Pauleta, ma delle sue 47 reti in 88 partite, soltanto 4 vennero realizzate in un torneo ufficiale (e di queste 4, 3 furono segnate in una sola partita, contro la Polonia, al Mondiale 2002).

Post scriptum: ogni menzione su Francia e Inghilterra è stata volontariamente omessa, in segno di lutto per la pochezza calcistica (e, santo cielo, patriottica!) espressa dalle due squadre.

 

 

Seconda puntata

L’Italia è riuscita ad accedere ai quarti di finale, e adesso che il biscotto e l’incubo bulgaro (e danese, e svedese) del 2004 è lontano, possiamo scherzare. Di cose su cui scherzare ce ne sono tante, d’altronde. Una è Bonucci che tappa la bocca a Balotelli. L’altra è la copertina di Marca del pre-partita, con un Luis Enrique insanguinato, appena incornato da Tassotti, e la scritta “Italia, tranquilla. Non siamo rancorosi”. Possiamo scherzare sulla lentezza di Thiago Motta, o sul fatto che – incredibile ma vero – l’Italia ha segnato non uno ma due goal su calcio d’angolo. E che quel calcio d’angolo l’ha battuto Pirlo (reminder: Pirlo non è bravo con i calci piazzati. Pirlo è bravo a tirare in porta le punizioni, e basta). Potremmo scherzare poi sul fatto che Helder Postiga è riuscito a segnare un goal, e due ne ha realizzati Bendter. I due fatti sono preoccupanti, sempre in vista di quel 21 dicembre 2012 di cui si parla da un po’ di tempo a questa parte: gli attaccanti più brocchi di tutto il campionato hanno segnato più dell’intero reparto offensivo dell’Olanda, che era stato il più prolifico nelle qualificazioni. Il tracollo orange è inspiegabile; chi non pagherebbe oro pur di avere Van Der Vaart al posto di Montolivo, Van Persie al posto di Di Natale, Snejider al posto di Motta (Abate vince su Robben, e così vincono Maggio, Giaccherini e Balzaretti. Forse vince pure Ogbonna)?

Possiamo scherzare, ancora, sulla divisa del povero Joe Hart, mandato in campo con un camouflage da Policlinico Gemelli. E non facciamoci mancare nemmeno Collovati, che in un maestoso sfoggio di idiozia made in Rai riesce a definire «una bella storia» il ricordo di Beslan appena snocciolato dal collega Lollobrigida, per raccontare l’infanzia della sorpresa russa Dzagoev. Nessuno purtroppo scherza sulla Russia, eliminata da una Grecia che in quanto a gioco giocato si contende la Palma di peggior nazionale con l’Irlanda: è tabù, ché tutti avevano incensato il rinato Arshavin, il gioco spumeggiante degli uomini di Advocaat, e addirittura il “borsino” Rai si era spinto a indicarla come la terza pretendente al titolo, subito dietro Germania e Spagna. Scherzeremo poi sui “buuu” razzisti dei tifosi irlandesi verso Balotelli, che però razzisti non erano, e i telecronisti Rai dovrebbero esserne informati: in quella parte di mondo è un tipo di contestazione del tutto neutrale. Bisognerebbe poi spiegare, sempre agli stessi telecronisti, che gli irlandesi non sono britannici, e che anzi ci sono migliaia di persone pronte a uccidere (un telecronista Rai, of course) pur di smentire una simile affermazione.

Infine ci sono cose su cui si è già scherzato troppo, cose su cui una moratoria internazional-giornalistica sarebbe auspicabile, di più, necessaria. La prima riguarda il calderone di battute sulla Grecia, la Germania, la Bce e la Merkel. Il tormentone è iniziato da subito, in Polonia-Grecia, partita inaugurale: un’espulsione francamente inventata, un rigore negato per evidente fallo di mano polacco, e il syrtaki di umorismo è partito, senza freni: «l’arbitro è tedesco – che ridere», «l’arbitro è la Merkel», «l’arbitro è della Bce», e via dicendo. L’arbitro era spagnolo, per inciso (off topic: per i geek calcistici, su Wikipedia si può scaricare il referto ufficiale di OGNI partita, uploadato dalla Uefa). Inutile dire che Twitter è l’indiziato numero uno, colpevole ogni volta di più della creazione di banali forme di protagonismo e trito cabarettismo sensazionalista e ammiccante. La seconda questione è quella concernente le presunte scommesse di Buffon. «Buffon si è giocato il 2-2 della Spagna», «Chissà Buffon quanto ha scommesso sull’eliminazione». Infine, lo spettro dei quarti di finale, con la fatidica sfida tra la capolista e il fanalino di coda dell’Unione Europea. Chiudere i social network per ventiquattro ore sarebbe l’atto più lungimirante di Michel Platini da quando ricopre la carica di presidente Uefa. Magari con il disclaimer, così in voga in questi tempi: «Ce lo chiede l’Europa».

Parlando di calcio giocato, e non (mal) commentato, vanno registrate poche ma significative novità. La prima, come anticipato, è l’eliminazione dell’Olanda. Deve dispiacere a ogni appassionato di calcio, perché a tratti gli Oranges avevano espresso un gioco spettacolare; e spettacolare è stata la rete di Van Der Vaart nella sconfitta con il Portogallo, e il palo colpito più tardi. Ne sa qualcosa la Germania, unica squadra a punteggio pieno, ma che nel confronto con i vicini di casa si è fatta schiacciare per mezz’ora nella propria metà campo. Dispiace a questa rubrica, soprattutto, la fine del torneo di Robben, l’amato mono-piede ossessionato dalla finta a destra e il dribbling a sinistra ancor più di quanto Andrea Pirlo sia ossessionato dall’uscire dalla propria area di rigore palla al piede stramazzando al suolo dopo aver perso il pallone (e guadagnando un fallo inesistente. Sempre).

Dispiace, è chiaro, anche per l’eliminazione dei “cugini” irlandesi, dell’amato Trap e delle decine di migliaia di tifosi di verde vestiti che, sgolandosi per duecentosettanta minuti anche con la squadra sotto di quattro goal a zero, hanno rischiato di trasformare Fields Of Athenry nelle vuvuzele del 2012. E dispiace per l’Ucraina dei palloni d’oro, Blokhin e Shevchenko. Ma sulle polemiche a proposito di goal fantasma sì, goal fantasma no, va ricordato un dato, purtroppo ignorato ma a suo modo decisivo: prima di gridare alla rapina (e scrivere editoriali pacati, come quello di Xavier Iacobelli) bisognerebbe ricordare che tra 1-0 e 1-1, all’Inghilterra non sarebbe cambiato nulla.

Sotto agli inglesi allora, un po’ per vendicare Capello un po’ per infierire sul ricordo di Hodgson. Sono più lenti di Motta, più noiosi di Pirlo, più traballanti di Ranocchia. E hanno dato i natali al calciatore più metrosexual della storia; sarebbe da spifferarlo a Cassano (via Cecchi Paone), chissà che non serva a qualcosa.

 

 

Terza puntata

Questa storia degli scandali calcistici rischia di diventare un affare serio: non più simpatica coincidenza, non più casualità con cui comporre ironiche battute da bar o da giornale. Non ce l’aspettavamo che l’Italia arrivasse in semifinale degli Europei con questo affetto, questo calore, questa partecipazione. Doveva essere l’Europeo del nostro scontento, degli avvisi di garanzie, delle ricevitorie sospette, delle pugnalate al cuore, del romanticismo perduto nelle aule di tribunale e nelle custodie cautelari. Quelli che “il biscotto ce lo meritiamo”, che “per passare il girone bisogna per prima cosa vincere”, che “ma perché togli Balotelli andava tolto Cassano”.

Ci ritroviamo ancora, per l’undicesima volta dal 1934, in semifinale, con gli occhi del mondo addosso per la portata metaforica della sfida da affrontare. Siamo rimasti in tre a circondare il Moloch, con la Grecia già sacrificata da quattro reti di passivo. Euro 2012 è sempre più allegoria, sempre meno semplice gioco. Può diventare il campo di battaglia per la rivincita degli sconfitti economici, o può tramutarsi nell’attestato spietato della supremazia teutonica. Ci proveremo noi, per primi, che non ci credevamo nemmeno un po’. E torna, dopo l’italianissimo revisionismo 2010, il bel ricordo di quella nazionale di sei anni fa, quell’entusiasmo per aver sconfitto i rivali di sempre (che non sono i francesi, di cui siamo soltanto cugini. Cugini litigiosi, ma pur sempre cugini), come torna quella parabola disegnata da Grosso prima e Del Piero dopo a Dortmund, dipinta ieri da Andrea Pirlo in faccia a Joe Hart, sberleffo di questi “lazy italians” alla spocchia pallonara del popolo inventore del calcio: «Il genio italiano ha usato nel modo più fine ciò che ha preso a prestito», per citare Nietzsche.

È stata una vittoria da italiani, teatrale e metaforica anche questa, con tanto cuore e pochissima concretezza, e colpo di genio finale, quello che non ti aspetti. La rabbia inglese nel missile di Ashley Young che impatta la traversa, la pigrizia nostrana nel ricamo del centrocampista bianconero, che ci mette tanto, quasi troppo a terminare la discesa e addormentarsi in rete.

Si sapeva che gli inglesi non fossero la squadra che credevano di essere nel 2010 (o nel 2006, nel 2002, nel 1998, 1996, eccetera), ma la pochezza degli undici di Hodgson fa quasi scalpore. Con Gerrard fantasma del meraviglioso giocatore che fu, Rooney meno incisivo di Ibrahimovic nelle cosiddette “partite che contano”, Welbeck ancora acerbo e Milner completamente inadatto (per non parlare della panchina), i Tre Leoni non hanno fatto una figura migliore di quella della Grecia o dell’Irlanda. Come titolava Time poche settimane fa, “la squadra più deludente del mondo” non ha smentito si è fatta portare a spasso per centoventi minuti, leoni divenuti gattini o peggio, troppo vecchi e bolliti per ruggire ancora. Nemmeno una polemica sui tabloid del giorno dopo, nemmeno un attacco anti-italiano, nemmeno una scorrettezza su scommesse e affini. Albione ha perso la verve, la speranza, la pazienza.

Si è già scritto, la scorsa settimana su questa stessa rubrica, dell’ingiustificato abuso che si è fatto dei paragoni extracalcistici sulla sfida Grecia – Germania, commissariati contro commissari. Ora tocca a noi, a noi in prima persona, e i cortocircuiti economici tornano prepotenti. E pienamente giustificati anzi, ché se dobbiamo rivendicare un po’ di italianità, allora è cosa buona e giusta anche la contraddizione spudorata, la sfacciata incoerenza. Già sabato, alla vigilia di Inghilterra – Italia, ne scriveva Stefano Di Michele sul Foglio: «Sempre meglio la grattachecca sul Lungotevere che sistemare il fanalino di dietro della nuova Golf», in un articolo in cui “all’iperattività tedesca” veniva orgogliosamente contrapposta “la superiorità della nostra lentezza”. E però la lentezza se l’è presa la nazionale di Loew, che avrà, in vista di giovedì, 48 ore di riposo in più rispetto agli Azzurri (eccellente argomento di polemica in caso di sconfitta. Convenirne pienamente).

La passione e la sofferenza di un popolo unito intorno a un campo verde ha fatto anche passare in secondo piano i virtuosismi linguistici di un Gentili ispiratissimo: Danny Welbeck è diventato Welback, Gerrard, francesizzato, si è trasformato in Jeràrd, Scott Parker rinominato Joe, Cesare Prandelli detto (tra amici, si capisce) Mario. E ancora, Nocerino che si pluralizza e diventa, ubiquamente, Nocerini, Federico Balzaretti anche conosciuto come Andrea, e i mancini chiamati con un po’ di superstizione e doppi sensi “sinistri”. Da segnalare poi, più che la prestazione vocale degli inglesi, il tentativo di due tifosi di deconcentrare Diamanti dalla realizzazione del rigore decisivo: più che i genitali mostrati orgogliosamente, è la divisa ospedaliera di Joe Hart che ha rischiato di affossare l’impresa dell’azzurro (qui, proprio sopra la bandiera italiana con la scritta Lucca). Un’intera nazione immaginariamente appesa al pene di un solo uomo.

Alla fine, insperatamente, si va a Varsavia, il terminale di questa rubrica, l’eldorado indicato da Buffon prima del torneo, l’obiettivo che non può più bastare. Perché comunque vada non sarà un successo: bisogna trionfare a tutti i costi, o sarà solo un’altra sconfitta, una che brucia più di altre.

(Ultima nota di colore: sta per finire – e che Dio ce ne scampi e liberi per il futuro – la follia degli animali esperti di pronostici. Defunto il polpo Paul, l’Inghilterra aveva reclutato il lama Nicholas[qui in azione prima di Bayern Monaco – Chelsea], l’Ucraina il maiale Funtik, la Germania la mucca Yvonne, già celebre per essere fuggita da un macello bavarese. I francesi hanno fatto di meglio, scegliendo la pornostar Virginie Caprice, che affida le previsioni a un pennarello e ai suoi seni. Non molto originale, ma certo preferibile a un suino)

 

Post scriptum

Come sia finita, a Varsavia, è noto a tutti: Germania a casa, come nessuno si sarebbe aspettato, Italia con il biglietto per Kiev, dove affronterà la Spagna campione del mondo e d’Europa in carica. Si sono sprecati ettolitri di inchiostro sulla retorica della semifinale (qui vi rimandiamo a un’opinione di Cesare Alemanni apparsa su questo sito alla vigilia della sfida), ma poco ormai importa. Tutto quello che ci rimane da fare, con il cuore in gola, è dire “forza Italia” e sederci, in estatica tensione, davanti alla televisione.