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Italian svapo

Come si è evoluto il vaping, dal botto iniziale allo stallo fino all’attuale ripresa, tra pop e sdoganamento di una nuova “cultura dello svapo”.

di Studio
19 Maggio 2017

C’è stato un momento nel nostro Paese, tra il 2012 e il 2013, in cui tutti si sono sentiti in dovere di provare la cosiddetta sigaretta elettronica, vuoi perché a molti sembrava un modo per “iniziare a smettere”, vuoi perché era l’ultima novità d’oltreoceano, figlia di quella cultura tutta californiana dove «il tech incontra la filosofia degli hippie», come raccontava sul New Yorker Atossa Araxia Abrahamian in un articolo del 2014, eloquentemente intitolato Vaping for Yuppies. Migliaia di piccoli esercenti hanno avviato attività legate alla commercializzazione di sigarette elettroniche, oggi più note come “prodotti da vaping” per segnarne la distanza rispetto alle sigarette, e di liquidi, mentre il numero di siti e portali online dedicati allo “svapo” cresceva esponenzialmente. Era nata ufficialmente una nuova moda, con tanto di lunga lista di celebrity che ormai ne avevano fatto uno stile di vita, per dirla à la Complex, capeggiate dall’insolita coppia formata da Snoop Dogg e Leonardo Di Caprio, per i quali la sigaretta elettronica era diventata ormai un simbolo di riconoscimento e parte integrante del look, almeno quanto le treccine o il cappellino da golf. Era piuttosto facile incontrare per strada qualcuno che avesse in mano quelli che a prima vista sembravano gadget elettronici, circondato da una nuvola di vapore più o meno profumato.

A riprova della forza della neonata vaping culture, nel 2014 “vape” diventa la parola dell’anno e viene inserita di diritto nel vocabolario Oxford. In quell’occasione, i ricercatori di Oxford avevano evidenziato come «l’uso della parola “vape”, che si riferisce all’atto di fumare una sigaretta elettronica o alla sigaretta in sé, è più che raddoppiato nel corso del 2014 e aumentato di 30 volte dal 2012, mentre il termine «e-cigarette», inventato nel 2003, è diventato ormai di uso comune». Eppure, la parola “vaping” risultava essere ben più vecchia della stessa azione cui ora veniva associata, ci tenevano ancora a specificare quelli di Oxford: il suo primo utilizzo noto, infatti, risale a un articolo del 1983 su New Society, dove si descrive un prototipo di dispositivo.

Così come si sono diffuse e hanno proliferato, dalla città alla provincia, e dopo aver tracciato un arco tanto notevole quanto rapido, le sigarette elettroniche sono però repentinamente e momentaneamente scomparse dal radar della cultura popolare, sembrando destinate a essere archiviate come un imbarazzante momento d’infatuazione collettiva. I motivi del disinnamoramento sono stati molteplici: la bassa qualità e performance dei prodotti, tanto per cominciare, che aveva lasciato i primi consumatori insoddisfatti della loro esperienza, e il diffondersi di dati contraddittori sui benefici effettivi di questa forma di fumo alternativo, che ha scatenato un acceso dibattito all’interno della comunità scientifica. Oggi si contano in Italia circa 900 negozi che vendono sigarette elettroniche e liquidi, un numero che si è più che dimezzato nel giro degli ultimi cinque anni: di questi 900 esercenti, circa il 20% sono tabaccai che hanno diversificato la loro offerta, mentre il 60% sono negozi specializzati.

NJOY, una delle prime startup di cui Abrahamian parla nel sopracitato pezzo del New Yorker, ha dichiarato bancarotta lo scorso autunno: potrebbe quasi sembrare la chiusura definitiva del cerchio, se non fosse che per molti analisti il 2017 è l’anno in cui lo svapo tornerà prepotentemente di moda. Dopo l’iniziale boom, infatti, il mercato delle sigarette elettroniche ha attraversato una forte contrazione per poi stabilizzarsi e infine ricominciare a crescere, momento che è coinciso con l’entrata in campo dei grandi operatori del settore, che hanno visto in questa nuova categoria una grande opportunità: essere parte della soluzione anziché parte del problema. Mettendo sul piatto l’esperienza maturata nella comprensione dei gusti e delle abitudini dei consumatori e i mezzi per investire ingenti risorse in attività di Ricerca e Sviluppo, fondamentali per lanciare sul mercato prodotti da vaping sempre più performanti, dotati di elevati standard di qualità e sicurezza, in linea con le esigenze e le aspettative di questa nuova categoria di consumatori.

VYPE Store

Joe Nocera su Bloomberg, in un articolo intitolato When Public Health and Big Tobacco Align, sottolinea come ora sia universalmente accettato il fatto che «ingerire nicotina attraverso dispositivi che non producono combustione è ampiamente più sicuro che fumare una normale sigaretta», supportato anche da evidenze scientifiche autorevoli come quelle emerse dallo studio pubblicato da Public Health England – espressione del Ministero della Salute della Gran Bretagna – secondo il quale le emissioni dannose di questi prodotti sarebbero meno dannose del 95% rispetto alle sigarette tradizionali. Di conseguenza, con lo stabilizzarsi del mercato di riferimento, le grandi compagnie di tabacco sono entrate in gioco. E l’hanno fatto innanzitutto autoregolamentandosi, chiedendo al Governo britannico di tassare i loro stessi prodotti «in base all’ indice di pericolosità», contribuendo insieme alle Istituzioni alla stesura di standard di prodotto elevati e investendo in ricerca e tecnologia: un “salto di qualità” che ha portato a una sorta di selezione naturale fra i produttori, con buona pace delle startup e della Silicon Valley.

Questo accade perché mentre il consumo di sigarette è in continuo, inesorabile, calo – ne parliamo anche sull’ultimo numero di Studio, in edicola – lo svapo mostra segnali di crescita decisamente positivi, anche nel nostro Paese. Secondo le stime di PWC, infatti, nel 2016 il mercato italiano del vaping si è attestato sui 280 milioni di euro, a fronte dei circa 190 registrati l’anno precedente. Il consumatore italiano, nello specifico, è interessato ai prodotti del vapore sia come alternativa alla sigaretta tradizionale sia come parziale succedaneo, per quei cosiddetti consumatori “duali” (fonte DOXA 2015). Non è un caso, allora, che un player internazionale come British American Tobacco abbia scelto proprio l’Italia per il lancio mondiale di Vype Pebble, un nuovo modello di vaporizzatore dal design innovativo rispetto agli altri prodotti del settore, inaugurando recentemente il primo flagship store del gruppo a Milano, in zona Navigli. Nemmeno stupisce che negli ultimi 5 anni a livello globale l’azienda abbia investito oltre 1 miliardo di dollari nei prodotti di nuova generazione, i cosiddetti NGP (Next Generation Products) e dedicato oltre 50 scienziati, presso il suo avveniristico centro di Ricerca a Southampton, nel Regno Unito, alla realizzazione di prodotti dotati di elevatissimi standard di qualità e sicurezza.

Dunque, la sigaretta elettronica si sta evolvendo, un po’ com’è successo al telefono cellulare negli ultimi vent’anni. E se l’arco che ci ha portato dal Motorola Startac all’iPhone può essere di qualche indicazione, è interessante notare come la trasformazione della sigaretta elettronica in “prodotto da vaping” ne abbracci in pieno la sua rilevanza culturale. La sua rinnovata popolarità, d’altronde, è ormai piuttosto evidente, a partire dalla copertina di Paper con Zayn Malik della scorsa estate, passando per il debutto della e-cigarette sulle passerelle di New York e il ragazzino che su YouTube è riuscito a installare un intero videogioco sul suo dispositivo. E a proposito di vaping e di cambiamenti radicali, sarebbe bello sapere cosa avrebbe scritto questa volta Don Draper nella sua lettera aperta sul New York Times.

In copertina: foto di Matt Cardy/Getty Images; nel testo: foto courtesy of Vype.
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