Attualità

Trump resterà Trump?

Un altro Super Tuesday, la candidatura sempre più vicina, ora gli uomini della sua campagna si dividono: The Donald deve offrire un volto più buono?

di Paola Peduzzi

Donald Trump dice che è fatta, è finita, il candidato repubblicano alla Casa Bianca sarà lui, il partito e il mondo se ne devono fare una ragione. Metterà la testa a posto? Chissà, forse non ce n’è bisogno, certo Trump non ne ha molta voglia, soprattutto ora che, in uno dei tanti super-big Tuesday di questa campagna elettorale americana, ha fatto l’en plein, cinque Stati su cinque, importanti e di peso: il suo diretto inseguitore Ted Cruz è arrivato terzo, e secondo si è piazzato John Kasich che in questo momento ha meno delegati di Marco Rubio, il senatore della Florida che si è ritirato a marzo. È fatta, è finita, Trump non ha dubbi: «Il modo migliore per battere il sistema è avere serate come queste», dice raggiante, con il 75 per cento dei delegati necessari per raggiungere la quota della nomination sicura, 1.237, e rivali che siglano patti di unità che non riescono a rispettare nemmeno per un giorno.

Il fronte #NeverTrump non si è mai sentito tanto male, mentre lui, il businessman dalle occhiaie bianche, brinda e rilancia, fa bagni di folla in quei suoi comizi rumorosi e allegri, e mena un colpo contro Hillary Clinton, che ha avuto un’ottima serata pure lei vincendo quattro Stati su cinque: «L’unica carta che ha da giocarsi è quella di essere una donna. Se Hillary fosse un uomo, non avrebbe preso nemmeno il 5 per cento dei voti». Si ricomincia da qui, dalla dichiarazione più banalmente scorretta che si può fare, vinci solo perché sei femmina, il che fa pensare che tutto il grande chiacchiericcio su Trump che vuole trasformarsi, che vuole diventare più “presidenziabile”, rischia di essere soltanto un desiderio o una speranza di chi, nel Partito repubblicano, sta provando ad abituarsi a Trump.

GOP Presidential Candidate Donald Trump Holds Election Night Gathering In Manhattan

Le donne della vita di Trump, in realtà, glielo dicono da sempre: sii presidenziabile, comportati bene. Ivanka e Melania, la moglie e la figlia, che si assomigliano molto pur non avendo sangue in comune, gli consigliano di moderare i toni, va bene le battute “per fare i titoli”, ma poi bisogna rassicurare l’elettorato, che vuole un leader che spacchi tutto sì, ma anche qualche coccola. Le donne danno consigli da donne, direbbe Trump, e infatti lui prende il meglio di quello che le signore dicono, a volte fa il bravo, non insulta pesantemente i suoi rivali, ma per il resto del tempo fa quel che si sente. L’istinto è la strategia di Donald Trump, condito da una grande sicurezza – avete mai sentito qualcuno ripetere tanto spesso «I’m so smart»? – e da molta determinazione.

Gli uomini della campagna di Trump si stanno scannando per questo. Rendiamolo presidenziabile, lo show è finito, dice una corrente. Facciamo calcoli, assumiamo gente che sappia gestire – leggi: convincere – i delegati, facciamoci consigliare da esperti di peso, controlliamo le spese (che comunque sono basse: Trump spende poco a fronte di quanto vince), facciamo porta a porta, sfruttiamo statistiche, intenzioni di voto, mappe, big data. Manca poco, ci sono due appuntamenti importanti, l’Indiana e la California, dove gli avversari si giocano l’ultima chance di ottenere, almeno, una convention da negoziare, bottino misero e pericoloso. Dimostriamo – dice la corrente del “presidenziabile” – che siamo capaci di fare qualcosa di diverso dai megacomizi similreligiosi in cui la musica non tace mai e si urla e si canta e si sbotta. L’ideologo di questa corrente è Paul Manafort, che ha vissuto una settimana di enorme popolarità, andando in televisione e mostrando la faccia buona del trumpismo (buona si fa per dire: nella storia di Manafort c’è una dedizione a ogni teoria del complotto immaginabile, e soprattutto ci sono enormi e loschi affari con oligarchi miliardari e controversi tra la Russia e il Medio Oriente).

US-VOTE-ELECTION-REPUBLICANS-TRUMP

È durata poco. Trump si è offeso, ha preso male alcune parole di Manafort in cui il consigliere sembrava troppo più intelligente di lui, soprattutto non è convinto che contenere il trumpismo, renderlo ragionevole, sia una strada di successo (e probabilmente non è in grado di contenersi). Se diventasse prevedibile e pacato, Trump non sarebbe più Trump, e allora perché votarlo? Trasparenza, correttezza, chiarezza sono qualità da candidati tradizionali, Trump vuole essere tutt’altro, il leader che prende i malumori di un Paese e li vendica, sbraitando o facendo il realista a seconda della necessità. Così, dopo una settimana di quasi-normalità, il tycoon delle insegne bling bling è tornato a essere quel che è, con il suo numero due burbero e minaccioso a fare da spalla. Corey Lewandowski, che ha malmenato una giornalista e che in generale fa da bodyguard ideologico a Trump, è tornato in televisione e ha detto: «Trump non cambierà mai, let Mr. Trump be Mr. Trump». Che è il punto di partenza, il motivo per cui “The Donald” non si è sgonfiato come un palloncino, come dicevano tra spavalderia e speranza tutti i commentatori, il motivo perché “The Donald” è su tutte le copertine dei magazine da mesi, ancora ieri su Variety, in cui si parla di “media monsters” e lui è disegnato mentre si fa il trucco e il parrucco, e ci siamo talmente abituati ai capelli da gatto che quasi non proviamo più troppa paura.

Il Washington Post, commentando la possibilità di un cambio strategico nella campagna di Trump, ha ricordato una per una le frasi che il candidato repubblicano ha detto in questi mesi di campagna, dai messicani che sono tutti stupratori alle insinuazioni sui tradimenti amorosi dei suoi rivali: «Vincere non è un antidoto alla bigotteria, alla violenza, all’ignoranza, agli insulti e alle bugie». Bisognerebbe essere davvero presidenziabili, non soltanto sperimentare tattiche diverse per vedere l’effetto che fanno. Ma Trump ha risposto con una vittoria straordinaria, conquistando in parte anche il voto dei cosiddetti “very conservative” che finora avevano provato a schierarsi contro di lui. «Per quanto mi riguarda, è fatta», fate voi i presidenziabili, e buona fortuna.

 

Foto di Spencer Platt per Getty Images.