Attualità

Stefano De Luigi

Intervista al fotografo italiano sui nuovi mezzi della fotografia e sul suo più recente progetto, iDyssey, un'Odissea realizzata con iPhone.

di Giorgia Malatrasi

Di recente ho incontrato Stefano De Luigi a Berlino, dove si trovava per un workshop promosso da Photo Berlin, e ho approfittato dell’occasione per fargli qualche domanda a proposito del suo ultimo progetto, iDyssey, che qualche tempo fa aveva catturato la mia attenzione sul New Yorker.

Guardandolo, la mia prima considerazione a caldo aveva riguardato lo strumento usato da De Luigi in questo lavoro, ed era stata: ecco un progetto che stabilisce la credibilità del cellulare come mezzo fotografico, perché ad utilizzarlo, in un contesto che ne giustifica la funzione e al contempo stimola una serie di riflessioni – estetiche e non – è un fotoreporter di enorme esperienza e fama internazionale.

La successiva riflessione non poteva che essere concettuale: la fotografia, come il viaggio, è un mezzo per scoprire il mondo. Tutti abbiamo bisogno di ridurre l’esperienza a variabili riconoscibili, per interpretarla; una volta che l’immagine del mondo è “inquadrata”, il criterio di rappresentazione è dato dall’occhio, e quindi dal pensiero, del fotografo.

In parole povere, ogni fotografia è, per sua natura, una delle interpretazioni possibili del mondo – più precisamente la visione del signor ics in quel preciso momento in quel posto, catturata grazie all’aggeggio ipsilon. Quello che fa davvero la differenza, oltre alla finezza dell’occhio del fotografo, sono la sua esperienza sul campo e, cosa che generalmente viene di conseguenza, la sua sensibilità nel rappresentare una storia. Volendo, tutte qualità che non farebbero di certo danno ad un viaggiatore.

Questo per dire che con iDyssey Stefano De Luigi dimostra di essere, come Ulisse, un protagonista curioso e visionario che fa della propria esperienza (di reporter come di viaggiatore) uno strumento per mettere in prospettiva le novità e quindi di guardare avanti, senza paura. O meglio, come leggerete, qualche paura Stefano ce l’ha.

Dato che ti trovi qui a Berlino per qualche giorno, parliamo del Viaggio. Come ti approcci ad un nuovo posto per arrivare a raccontarlo in fotografie?

Nel mio lavoro, arrivare in un luogo che non conosco è sempre una specie di approdo ad un porto nuovo. Per prima cosa cerco di percepire l’atmosfera generale che si evince da segni quali l’architettura dei palazzi, i visi delle persone, come ti guardano, come si muovono, il colore e la densità della luce. È sempre un’operazione che ha dei limiti, può a volte indurre in errore, in fondo è un modo come un altro di prendere le misure dell’universo che si esplorerà e si cercherà di raccontare.

 

Raccontami della tua esperienza rispetto al passaggio al digitale; prima di tutto, che attrezzatura hai?

Quando lavoravo in analogico avevo più possibilità e quindi spesso molte più indecisioni, utilizzavo diversi formati e diversi tipi di macchine – essenzialmente delle Leica e un 6×7 Mamiya. Dal 2007, ovvero da quando ho cominciato davvero ad utilizzare quasi soltanto il digitale, la scelta si è ridotta ad una Canon 5d e una o due lenti, che sono il 24/105 e il 24/70. Di recente si sono inseriti due smartphone ad “inquinare” un po’ il quadro, forse per rispondere all’esigenza, che d’altronde ho sempre sentito, di lasciare spazio alla sperimentazione.

 

Spiegami meglio in che modo secondo te la fotografia con il cellulare è sperimentazione.

Lo smartphone è semplicemente una delle possibili evoluzioni della macchina fotografica, ed io ho sentito la necessità di dire la mia, fotograficamente, rispetto a quelle che ritengo essere le caratteristiche esclusive e assolutamente innovative del mezzo: la manovrabilità, l’agilità, e la quasi totale invisibilità. Per dare forma al progetto mi sono dovuto imporre dei limiti, ovviamente, ma i limiti mi hanno costretto a sfruttare quello che avevo a disposizione nel pieno delle sue potenzialità.

 

Forse è arrivato il momento di raccontarcelo, questo progetto.

L’idea, che avevo già da molti anni, era quella di realizzare una libera espressione di un carnet di viaggio, seguendo le orme di Ulisse nelle sue avventure riportate dall’Odissea – ovvero il “viaggio dei viaggi”.

Per questo lavoro, che abbiamo deciso poi di chiamare iDyssey, sono partito per la prima volta nella mia vita professionale senza macchine fotografiche ma portando con me soltanto due iPhone.

Ora, come immagino tu sappia, ci sono diverse ipotesi rispetto ai luoghi effettivamente visitati da Ulisse. Alcune addirittura non lo collocano nemmeno nel Mediterraneo bensì nel Mar Baltico. Io ho scelto l’interpretazione di Victor Berard, ellenista francese vissuto a cavallo tra l’800 e il ’900, che ha identificato con una certa accuratezza una serie di luoghi che, grazie alle proprie caratteristiche geografiche, avevano un forte riscontro nelle descrizioni di Omero.

Partendo il 21 Marzo 2012, primo giorno di primavera, ho percorso 12 di queste tappe, ognuna delle quali corrisponde ad un episodio dell’Odissea, terminando il 12 maggio ad Itaca, simbolo del ritorno ad un approdo sicuro dopo tante peripezie.

Come hai passato il tempo in ognuna delle tappe? Che tipo di accoglienza hai ricevuto?

Ho viaggiato senza un’agenda troppo precisa, dedicando il tempo che mi sembrava necessario ad ogni tappa e sapendo che avrei voluto terminare il viaggio più o meno in due mesi. Gli imprevisti erano contemplati e spesso anche ben attesi.

Per ogni tappa non ho solo raccolto fotografie ma anche registrato video e suoni; oltre al classico materiale di reportage, ho girato in ognuna delle tappe anche brevi filmati in cui una persona legge nella propria lingua, che è anche la lingua locale, un estratto dall’Odissea che riguarda quello stesso luogo. Ho raccolto quindi dodici letture in dodici lingue diverse, che corrispondono a dodici momenti dell’Odissea. Durante il viaggio ho incontrato grande interesse attorno all’ipotesi del lavoro, a conferma dell’universalità dell’opera e del personaggio Ulisse, e anche della loro contemporaneità. I protagonisti si sono quasi scelte da soli, a volte è stato un incontro fortuito e altre volte la curiosità rispetto al progetto ha reso molto naturale che qualcuno si prestasse. La cifra di questo lavoro è stata in effetti – sicuramente anche grazie alla natura dei luoghi visitati, praticamente tutti porti affacciati al Mediterraneo – l’accoglienza dello straniero, del forestiero.

 

Immagino che il fatto di non avere con te un’attrezzatura ingombrante ti abbia reso più trasparente, ma forse apparentemente meno credibile. È così?

Il fatto di andare in giro con due iPhone mi ha reso per le prime tre settimane praticamente trasparente. Agli occhi dei più ero un semplice passante che faceva degli scatti strani, dato che ad esempio mi avvicinavo molto ai soggetti. Le uniche difficoltà le ho avute una volta sbarcato in Italia, perché il fatto di non essere riconoscibile come fotografo professionista – che nell’immaginario collettivo è uno con almeno un paio di macchine fotografiche al collo – mi ha reso immediatamente sospetto e ingombrante, indiscreto.

A posteriori credo che queste reazioni siano dovute al fatto che nel nostro paese è ormai immediato collegare l’utilizzo degli smartphone alla diffusione delle immagini online tramite i Social Network e di conseguenza le persone si sentono istintivamente minacciate nella privacy.

 

Vorrei fare assieme a te un punto sulla diffusione dell’utilizzo del cellulare nella fotografia anche da parte dei professionisti. Quali sono a tuo avviso gli argomenti rilevanti a riguardo?

Io parto dal principio che la novità non deve spaventare, ma piuttosto essere vissuta come un’opportunità da cogliere. Questo media ha la caratteristica specifica di permettere a diversi linguaggi di incrociarsi e quindi mette di fronte ad una ricchezza di opportunità senza precedenti. Non per ultimo, come si diceva, il vantaggio di poter passare praticamente inosservati, che aiuta a salvaguardare la sicurezza personale e di conseguenza ad addentrarsi più in profondità nelle situazioni e quindi nelle storie che si vuole raccontare.

Detto questo, ci sono però alcuni argomenti critici, soprattutto dal punto di vista etico e legale, che toccano da vicino la mia professione e che a mio avviso vanno tenuti sotto controllo.

Per fare un esempio su tutti, sono convinto che la diffusione senza regole delle immagini su internet ed il relativo lassismo nel controllo legato all’eccesso di produzione, metta in pericolo la fotografia d’autore. Quello del fotografo, pensate un po’, è per alcuni un mestiere vero e proprio, per il quale in questo momento la questione dell’utilizzo del Copyright costituisce una vera e propria minaccia.
Non so, è un orizzonte ancora confuso ma i cui segni mi preoccupano non poco.

 

Idyssey sarà in mostra a Milano alla Fondazione Stelline a partire da sabato 13 Aprile.

 

Nelle immagini
In evidenza, una donna velata in posa davanti alla testa di Faustina, moglie di Marco Aurelio, al Museo Cartaginese di Tunisi, aprile 2012.
Un tratto di scogliera di Trapani, Sicilia.
Turisti a Canakkale, Turchia, con il cavallo di legno donato alla città dalla produzione del film Troy.