Attualità

25 anni dopo Seinfeld

I vestiti brutti, i cappelli gonfi, quel "nothing" che proprio nulla non è, il rapporto con Curb Your Enthusiasm, il finale: una chiacchierata a più voci su un capolavoro del Novecento.

di Aa.Vv.

Venticinque anni fa, il 5 luglio 1989, il canale statunitense Nbc trasmise la prima puntata di Seinfeld, serie comica ideata da Larry David e Jerry Seinfeld. Lo show finì il 14 maggio 1998, dopo nove stagioni con l’episodio “The Finale”, visto da 76 milioni di persone.

Seinfeld non ha mai attecchito in Italia per alcune ragioni: la sua comicità particolare, molto ebraica («too Jewish» dissero pure dai piani alti del network); i continui riferimenti alla stand up comedy e alla “comicità osservazionale”, non molto in voga in Italia; l’universo Manhattan-centrico alla base di tutto; un discutibile lavoro di doppiaggio in italiano, che di certo non ha aiutato. Nonostante questo, nel nostro paese vive felice un’agguerrita nicchia di appassionati, tutta gente che parla in codice e ridacchia da sola nel bel mezzo dei party. Molti dei sospetti massoni che vedete comportarsi in modo anomalo sono in realtà innocui fan di George Costanza: non usano un linguaggio in codice, sono solo inside joke. A tutti loro – e a chi volesse provare a entrare nel mondo di Seinfeld –, è dedicata questa nuova puntata di “Tema Caldo”, la rubrica a più voci di Studio (puntate precedenti qui e qui).
– pm

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Matteo Lenardon – The Show About Everything

George e Jerry sono seduti in un diner e discutono del suono della parola “salsa”; è il terzo episodio della quarta stagione, quella in cui Seinfeld passa da show amato dai critici — ma con ascolti non convincenti — a fenomeno di costume che cambia il linguaggio di un Paese e la sua cultura televisiva. Da questo scambio sui condimenti George ha una delle sue idee da un milione di dollari. «Dovremmo fare una serie così,» dice a Jerry. «Una serie dove la gente discute e basta? E di cosa parlerà la serie?» Quindi George gli risponde con la battuta che ha poi involontariamente offerto il modo più pigro per definire le nove stagioni dello show. «Di nulla,» dice. «Sarà una serie sul nulla.»

È infatti paradossale come Seinfeld sia stato codificato negli anni come paradigma postmoderno del niente, quando in realtà è una serie con una ossessione per parlare e decostruire tutto. Larry David e Jerry Seinfeld hanno creato uno show che mette al centro la quotidianità dandogli la stessa importanza di una trama orizzontale in una serie drammatica HBO. Nessuno dei protagonisti è invecchiato o ha avuto una qualsiasi evoluzione nei quasi dieci anni del programma — Larry David ha definito questa scelta la “No hugging, no learning rule” — perché l’attenzione era interamente dedicata al rispondere alla domanda esistenziale “Quanto può essere stupida la routine di tutti i giorni?” Tutto ciò può apparire noioso e banale — come hanno dimostrato le centinaia di altre sit com che hanno provato, fallendo, lo stesso approccio — ma trovare la punchline vincente in una disquisizione fonetica della parola “salsa” è ciò che hanno sempre fatto i migliori comici di observational humour nelle loro performance standup. Parlare del niente ha permesso poi di avere The Office, 30 Rock, The Thick of It, Curb Your Enthusiasm e Louie. «Il vero pitch che io e Larry facemmo alla Nbc nel 1988,» ha spiegato Jerry Seinfeld su Reddit recentemente, «era basato sul mostrare come i comici ottengono il loro materiale. Siamo sbalorditi come ancora oggi Seinfeld venga descritto come Uno show sul nulla. Per noi è sempre stato il contrario.»

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Anna MomiglianoElaine, gente vestita male, e l’invidia del pene

C’è qualcosa di obbrobrioso, e al contempo meravigliosamente affascinante, in quel look molto americano, molto primi anni Novanta, molto trentacinquenne-che-sta-per-avere-una-crisi-di-mezza-età e che io associo, tipicamente, a Seinfeld. Stiamo parlando di maschi bianchi, presumibilmente eterosessuali e non particolarmente fusti, che indossano jeans regular fit con blazer e scarpe da tennis molto bianche. Tipo Chevy Case in quel video di Paul Simon, “You Can Call Me All” (che in realtà è del 1986). Tipo Larry David (Curb Your Enthusiasm è degli anni Dieci ma, esteticamente, è senza tempo). Tipo Jerry Seinfeld, nel senso del personaggio. Ecco, di Seinfeld, lo show, che ha avuto elogi ben più degni da parte di penne assai illustri, ricordo principalmente questo: vestiti brutti. Vestiti brutti inseriti in una cornice esilarante, spietata, deliziosa. Vestiti brutti che guardavamo in pomeriggi tardo-adolescenziali molto East Coast. Vestiti brutti che mi mancano, e parecchio.

Quando ho scoperto Seinfeld vivevo nella suburbia di Filadelfia, in Tv stavano andando in onda le ultimissime puntate, e avevo 18 anni: per noi Seinfeld, Kramer, George Costanza erano tre vecchi vestiti male che dicevano un sacco di cose che facevano ridere. Ah, poi c’era Elaine. Che era vestita peggio di tutti, con quei tailleurini in stile Allie McBeal, ma senza minigonne, e quell’acconciatura da massaia coi ricci come nella vecchia pubblicità del salmone Rio Mare. Credo di avere invidiato Elaine come pochi altri personaggi televisivi. Perché Elaine era parte di una squadra tutta maschile, per quanto velatamente brancaleonica. Era “one of the boys,” desiderio irraggiungibile cui, sotto sotto, anelano tutte le femmine (Freud non aveva capito niente, quando parlava di invidia del pene: è il cameratismo maschile che fa rosicare le donne, triste ma vero). E, quel che più fa rosicare, lo era nonostante il suo non essere particolarmente gnocca e il suo essere molto femmina. Il fatto è che Elaine – proprio come Margherita Buy, seppure con sfumature diverse – incarna tutti quei tratti femminili che nella vita reale risultano indigesti al genere maschile: è umorale, petulante, a tratti superficiale, e aggressiva in una misura tale che difficilmente si perdona a una donna. Ma, a differenza di Margherita Buy, era non solo tollerata dal branco di-fallo-munito, ma addirittura un membro onorario.

Pochi anni dopo la fine di Seinfeld, Julia Louis-Dreyfus, l’attrice che interpretava Elaine, è la protagonista di una nuova sitcom in cui recita un personaggio molto simile ad Elaine. Ogni puntata di Watching Ellie durava 20 minuti che corrispondevano a 20 minuti “reali”. Le immagini erano accompagnate da una specie di orologio, tipo quello della Rai “bip bip sono le 11”, che ricordava allo spettatore dello scorrere del tempo. Quando l’ha fatto 24, la serie della Fox, tutti a dire che figata, ma Watching Ellie non se l’è filato nessuno, e infatti l’hanno cancellato a metà della seconda stagione. Julia Louis-Dreyfus, per la cronaca, ha fatto anche altra roba, dopo. Ma io sono ancora in fase di elaborazione del lutto per Elaine di Seinfeld e per il suo succedaneo incompreso.

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Nicola Bozzi – Da Seinfeld a Curb

Larry David abbandonò la serie dopo la settima stagione (in almeno un’occasione si mise a piangere alla notizia dell’ennesimo rinnovo) per poi tornare a scrivere il finale di cui parleremo di seguito. Una delle ragioni per cui il comico non ne poteva più della serie, nonostante l’avesse emancipato da anni di fiaschi sui palchi dei comedy club di New York, era il fatto di dover sentire la propria voce in ognuno dei personaggi.

È vero, ciascuna delle quattro personalità principali (a eccezione forse di Kramer) ha un ritmo perfettamente sincronizzato con le altre, cosa solo in parte giustificabile dal fatto che dovrebbero essere amici da tanti anni. C’è un sapore comune a ogni scena della serie, e non è un caso se Jerry Seinfeld stesso abbia pubblicato un libro intitolato SeinLanguage (un gioco di parole tra “Seinfeld” e “Sign Language”, ad ammiccare al gergo comune ai fan): lui è uno a cui piace fare le stesse battute per 15 anni,  mentre si sa che David è un personaggio più spigoloso. Con Curb Your Enthusiasm, la longeva serie spin-off di un geniale speciale Hbo del 1999, il pelato comprimario è passato a un ruolo di primo piano.

Ci sono alcuni motivi per cui Curb è così apprezzata da pubblico e critica:

1) David significa Seinfeld, e più Seinfeld c’è meglio è;
2) al contrario di Seinfeld, Curb è un prodotto Hbo, e su Hbo puoi dire tutte le parolacce che vuoi (fa una certa differenza, soprattutto per il personaggio interpretato dalla sboccatissima Susie Essman);
3) per certi versi, quindi, è uno show più cattivo. Curb è improvvisato. Cioè, come in ogni spettacolo di improv che vi possa essere capitato di vedere, ci sono dei paletti (trama di una paginetta scritta da David, come al solito piena di equivoci e coincidenze che può inventarsi solo lui) e poi il cast improvvisa, inevitabilmente finendo con l’alzare la voce e mandarsi a quel paese.

Torniamo a Seinfeld, all’episodio forse più memorabile della serie: “The Contest”. Cinquantunesimo capitolo della serie (o undicesimo della quarta stagione), questo gioiellino guadagnò a David un Primetime Emmy Award e nel 2009 fu nominato da TV Guide miglior episodio di qualsiasi serie nella storia della televisione americana.
La ragione principale per cui “The Contest” è particolarmente famoso è perché affronta un tema decisamente ostico (la masturbazione) con un’eleganza e uno humour assolutamente impareggiabili. I quattro amici, al tavolo del solito bar dove si incontrano ogni volta, decidono di fare una scommessa: ciascuno mette 100$ (tranne Elaine che è donna e quindi avvantaggiata, e ne mette 150$), e chi riesce a non indulgere in atti autoerotici per il tempo più lungo vince tutto.

Più delle vicissitudini e delle improbabili tentazioni che portano ciascuno dei partecipanti a capitolare, l’eccezionale sottigliezza è data dal modo in cui si parla del soggetto in questione senza mai scadere nella volgarità. Quando ci si confronta con gli altri concorrenti sul proprio status, non si affronta mai l’argomento con facili allusioni, ma si preferisce usare formule come «Sei ancora mastro del tuo dominio?» o «Sono la regina del castello». Un esempio qui sotto:

Non bisogna dimenticare che Seinfeld andava in onda sulla Nbc e non poteva quindi permettersi le libertà linguistiche che (oggi) sono routine sul via cavo. Chi scriveva doveva tenere in mente il proprio pubblico generalista e potenzialmente di tutte le età, e anche se l’esempio morale era radicalmente negativo (“No hugging, no learning” era un’altro dei segreti della serie) bisognava mantenere le cose pulite almeno in superficie. Pur da grande fan di Curb, sono convinto che Seinfeld rimanga superiore alla creatura di David proprio per la sua capacità di scendere a compromessi sia con una coralità autoriale sia con gli standards & practices del network televisivo. I limiti imposti sono infatti diventati un contesto fertile per virtuosismi di scrittura, che rinforzavano i personaggi. Mentre in Curb non vediamo praticamente mai niente che non includa Larry, e chiunque deve sempre e solo reagire a quello che fa lui (la realizzazione di un egocentrismo narrativo molto più minaccioso della voce stilistica di Seinfeld), nella serie Nbc le pressioni degli standard da sit-com hanno costretto uno scrittore brillante ma pigro, e tanti altri bravi, a dare il meglio di sé.

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Pietro Minto – Il finale non finito

Tutto – ad eccezione dell’universo e i Simpson – ha una fine e qualsiasi finale è impossibile da accettare. Dopo anni dalla sua conclusione e una sontuosa syndication quasi mondiale, l’idea che Jerry, Kramer, Elaine e George non siano in circolazione con nuove storie continua a disturbare milioni di persone. Anche per questo la serie ha originato un gran numero di spin-off e reunion, un’operazione narrativa che sembra partorita da una macchina del tempo impazzita, che rigurgita personaggi e situazioni dagli anni Novanta ad oggi, a ciclo continuo.

“The Finale”, il finale originale della serie, fu salutato come una piccola tragedia dal pubblico e dal network (che davvero non voleva perdere accesso alla miniera d’oro di Seinfeld) ma non dai suoi creatori e protagonisti, esausti e convinti della loro scelta. Non essendoci nessuna storia d’amore o pericolo su cui basarlo, la serie finì abbracciando il famoso “nulla” che tanto aveva sviscerato in centinaia di episodi: George e Jerry discutono del bottone di una camicia (in una location che non rivelerò per paura di spoilerare); a un tratto si chiedono: “Ma non avevamo già fatto questo discorso?”. Certo che sì, nel primo episodio della prima stagione. Amnesie che capitano quando si parla di nulla.

Da qui in poi la questione “finale di Seinfeld” ha assunto un comportamento quantistico, rimbalzando in un’altra serie, Curb Your Enthusiasm di Larry David, che nel 2009 ha ospitato una meta-reunion dello show in cui il dietro le quinte e lo spettacolo registrato si fondono alle assurde vicende del protagonista della serie, Larry. Una mossa riuscitissima (il vero non-finale della serie, per chi scrive): nella fiction, David accetta la proposta di una reunion del suo successone solo per riconquistare sua moglie; la macchina si mette in moto, la moglie viene inserita nel cast, rivediamo il set originale, molte comparse; tutto sembra andare bene, fino a quando tutto frana a causa – ovviamente – di Larry David.

In ogni fotogramma della reunion, Curb alza l’asticella del “meta” di una tacca, scherzando per esempio sul finale “vero” di Seinfeld quando Jerry critica le mosse di Larry: «Non puoi rovinare anche questo finale!». Si tratta di un gioco di rimandi e ponti tra palinsesti estremo, da vertigini – eppure non è bastato, perché il vero fan di Seinfeld sembra essere un artista del diniego: la serie non è finita, la serie non deve finire, vogliamo di più.

Il tutto è poi approdato nel famigerato internet: su Twitter è nato @ModernSeinfeld, che immagina cosa succederebbe ai nostri eroi nel XXI secolo. L’unico pregio dell’account – criticato dallo stesso Larry David – è quello di aver ispirato @Seinfeld2000, riuscitissima parodia di Modern Seinfeld curata da un misterioso personaggio che ha scritto anche un libro, The Apple Store. Stiamo parlando di una parodia di un omaggio-parodia a una serie tv che ha finito per tornare all’interno di un’altra serie tv: rimaniamo sempre nel meta, territorio caro a Seinfeld.

Con l’inizio di Comedian In Car Getting Coffee, la nuova serie di Jerry Seinfeld in cui il nostro porta suoi colleghi a bere un caffè, qualche ingenuo potrebbe aver pensato che l’assillante questione venisse finalmente chiusa. E invece no: il primo ospite dello show è stato Larry David, con cui Jerry ha discusso della differenza tra tazza di tè e tazza di caffè e guidato un maggiolone per Los Angeles parlando di… beh… Di niente. A un certo punto è proprio David a dirlo: «Finalmente sei riuscito a fare il tuo show about nothing, eh?».
Questi due non riescono a stare davanti a una telecamera senza evocare il fantasma della reunion, un vero dramma umano e artistico che fa ha inevitabilmente portato all’ultima, ennessima reunion seinfeldiana.

La storia si è infatti finita (finora!) con lo spot scritto da Jerry e Larry per il Super Bowl, una mini-puntata di Comedians in Cars Getting Coffee in cui Jerry e George Costanza si incontrano al solito bar, ai giorni nostri. L’idea stata degli organizzatori dell’evento, che quell’anno tornava proprio a New York, un’occasione da celebrare rispolverando i due personaggi città icone della Grande Mela.

Lo spot è probabilmente il punto più triste dello show, l’ennesima conferma di quanto la Fine sia sempre dolorosa ma giusta: Jerry e George camminano per Manhattan e si recano al solito diner. Brooklyn è nel frattempo germogliata ma loro sono sempre lì, al loro roxy bar, intrappolati in un sogno a forma di anni Novanta. Bevono un caffè, litigano, provano qualche gag. Non funziona molto.

Fine. Adesso però basta.

 

 

Immagine: il ritratto di George Costanza (Nbc); la copertina di Entertainment Weekly dedicata alla reunion di Seinfeld all’interno di Curb Your Enthusiasm