Cultura | Editoria

Il marketing fa bene ai libri?

Dall'hype per Sally Rooney ai book club di vip e moda, domande e risposte sulla promozione della letteratura.

di Davide Coppo

È passata una settimana dall’uscita, in Inghilterra e negli Stati Uniti, di Intermezzo, il quarto romanzo di Sally Rooney, e anche in Italia ci siamo detti che non avevamo mai visto un’attesa così tesa e spasmodica per un libro di “literary fiction”, come si dice nell’ambiente (vale a dire: non stiamo qui considerando la saga di Harry Potter). I nostri feed di Instagram, per diversi giorni, sono stati invasi (e forse anche fuori dalla piccola bolla di lettrici e lettori forti) da foto e video della copertina del libro, e diverse librerie italiane hanno ordinato e distribuito l’edizione originale, in attesa di quella italiana – che uscirà il 12 novembre, per Einaudi. Le librerie Waterstones, in Inghilterra, hanno fatto delle vere e proprie veglie, una cosa un po’ religiosa, il giorno precedente all’uscita, e a una di queste ha partecipato Rooney stessa tipo santone, che ha letto in anteprima dei passi del romanzo.

In quei giorni è uscito un articolo, su Esquire US, intitolato “Are You Cool Enough for the Latest Sally Rooney Novel?” e che ho visto “girare” molto. Nell’articolo si leggono le parole di Sheila O’Shea, di ruolo Director of publicity and marketing per Farrar, Straus and Giroux, l’editore americano di Rooney, che dice: «Non abbiamo mai fatto una cosa del genere». Intende, soprattutto, l’invio di ben 2500 copie gratuite a giornalisti e influencer, o book-influencer, e personalità che avrebbero potuto amplificare per bene, tramite diversi canali, la promozione del libro. Chi è abituato ai numeri dell’editoria italiana ha deglutito con fatica: 2500 copie gratuite sono un numero enorme. Nelle Instagram Stories o nei video TikTok delle librerie Waterstones vedevamo, poi, anche magliette bianche e blu, come la copertina dell’edizione UK di Faber and Faber, e le immancabili tote bag. Un merch raro per un libro letterario (e di una letteratura considerata “alta”), che però non ha superato in quantità quello utilizzato per il libro precedente di Rooney, Dove sei, mondo bello?, uscito nel settembre del 2021.

In quell’occasione, negli Stati Uniti, vennero preparate non soltanto le tote bag del libro, ma anche un bucket hat (cappello da pescatore), un ombrello, e perfino un carretto (un’Apecar, per la precisione) co-sponsorizzato dalla newsletter AirMail che vendeva libri e tutto il resto del materiale promozionale. La versione premium di questo Rooney-kit veniva consegnata ai più meritevoli tra gli influencer in un cofanetto di cartone anche quello tutto a tema copertina-di-Rooney (non vorrei scordare: dentro c’erano anche cartoline e matite). Anche per un altro libro molto spinto, ovvero L’ospite di Emma Cline, l’editore Random House Books, nel maggio 2021, preparò un lancio in grande stile. Quindi non solo le solite copie staffetta (spedite prima dell’uscita ufficiale) ma anche una confezione di crema solare, un paio di biscotti della panetteria Tate’s Bake Shop, e un paio di occhiali da sole coordinati con la copertina. Tutta questa roba, naturalmente, era a tema con la trama.

In Italia, per fare un paragone, abbiamo ricevuto, noi a Rivista Studio oltre a diverse altre persone, una bella scatola per raccontare e celebrare la nascita di Mercurio Books, un nuovo editore che stiamo apprezzando molto per l’originalità del catalogo (qui una recensione di Alla gola, di Henry Hoke, nei nostri Libri del mese): c’era una copia staffetta di Vorrei essere qui di M. John Harrison, una tote bag, una piccola torcia personalizzata, un quaderno per gli appunti e una matita, tutto molto nero e molto dark, in linea con l’estetica di Mercurio. È un caso un po’ diverso, rispetto a quelli di Rooney e Cline: in questo caso si sponsorizzava la nascita di una casa editrice, e non di un singolo libro.

Quali sono i pro, e quali i contro di questa “commodification” del libro? Sempre in quell’articolo citato poco sopra di Esquire si legge il principale rischio di queste operazioni: «Un libro che diventa virale contribuisce a un problema crescente nel mondo dell’editoria libraria: un piccolo gruppo di nuovi titoli dominano le classifiche, conducendoci su una china scivolosa che porta a una monocultura». E in un pezzo proprio uscito per AirMail nel 2023, lo scrittore Louis Cheslaw diceva che «oggi più che mai, le persone stanno comprando gli stessi – pochi – libri». Naturalmente, il problema è che pochissimi libri riescono a ottenere il trattamento “premium” che Rooney o Cline hanno avuto, in termini di promozione pubblicitaria e di marketing.

Negli ultimi anni sono anche aumentati moltissimo i “Celebrity Book Club”, cioè club del libro promossi da persone con un enorme seguito di pubblico. Non parlo di quello di Oprah Winfrey, ormai veterano, ma per esempio di quello di Reese Witherspoon, e di Belletrist di Emma Roberts, ma anche di Service95 di Dua Lipa, di cui sono fedele lettore. Qui la domanda si ribalta: quanto “fa status” per queste celebrità, mostrare di essere interessate ai libri? È posizionante per loro, o per il loro pubblico? Lascio la domanda aperta, ma non lo è davvero. Non per snobismo: sono convinto che Dua Lipa sia una grande lettrice, ma non occorre un qualcosa in più, per organizzare un book club? Se dovessi organizzare un club del cucito (dico cucito perché sto prendendo lezioni in queste settimane), mi dico, penso che dovrei conoscere qualcosa in più del punto dritto e del punto a zig-zag. Uguale con un club della geografia: non dovrei essere un esperto viaggiatore, oppure esploratore?

Per quanto riguarda l’Italia, durante l’ultima Design Week a Milano ricordiamo il grande successo del Miu Miu Literary Club: due giornate per parlare di libri al Circolo Filologico, con diverse autrici italiane e internazionali (Jhumpa Lahiri, Sheila Heti, Claudia Durastanti, Viola Di Grado, per dirne quattro) e un programma di letture, performance e tavole rotonde su due autrici del passato: Alba de Céspedes e Sibilla Aleramo. Il momento letterario, voluto fortemente da Miuccia Prada, è stato curato dalla scrittrice Olga Campofreda, e ha attirato centinaia di partecipanti in lunghissime code anche lungo le vie del centro di Milano. Per parlarne ho contattato Campofreda, che ha spiegato: «Un obiettivo interessante che ha raggiunto il Miu Miu Literary Club, e che era è stato specificatamente richiesto dalla signora Prada, è stato quello di creare uno spazio di conversazione e di confronto a partire dai libri. La creazione di questo spazio di pensiero, che rifletteva su argomenti come l’identità femminile e la creatività nel mondo delle donne, era volto a prendere atto di un’identità femminile che sta cambiando. Quello spazio, del Miu Miu Literary Club, è stato molto utile: ha rallentato la velocità delle informazioni per creare un passo più lento, quello del confronto e della conversazione, del pensiero critico. È stato fatto qualcosa di molto più profondo della semplice feticizzazione dell’oggetto-libro».

Quello della feticizzazione è un argomento che aveva sollevato curiosità e molte polemiche nell’aprile 2022, dopo la pubblicazione di un articolo del New York Times intitolato “Searching for the Notorious Celebrity Book Stylist“. Era dedicato a questa nuova figura, il book stylist appunto, ovvero colui o colei che sceglie i titoli con cui vip o influencer che vogliono “book-washarsi” (?) farebbero bene a farsi vedere in giro. Campofreda, a proposito, dice: «Uno dei lati negativi di questo processo è quello di trasformare il libro in un oggetto, e questo conduce a degli atteggiamenti di “performative reading”. Quindi non tanto la lettura e l’assimilazione di concetti, quanto semplicemente il mostrare il libro come un tempo si faceva con i vinili, che si compravano per esporli e per moda, senza magari possedere nemmeno il giradischi. Mi sembra che oggi stia succedendo la stessa cosa con l’oggetto-libro».

C’è un ma: «Dall’altro lato bisogna però pensare che esiste un atteggiamento, fuori dalla bolla dei lettori forti, di inibizione o imbarazzo, per chi non è cresciuto abituato a essere circondato da libri. Spesso non ci si avvicina alla lettura perché non ci si sente a proprio agio, e credo che rendere un libro trendy in qualche modo possa aiutare ad avvicinarsi alla lettura come attività, non solo come performance». È d’accordo anche Carlotta Sanzogni, che cura la comunicazione del Libraccio e possiamo definire book-influencer oltre che fondatrice del book club Zero Sbatti: «È un buon segnale vedere un libro trattato come un prodotto, cosa che facciamo fatica a fare, soprattutto quando a quel libro vogliamo riconoscere un valore letterario. In Italia i numeri sono talmente bassi, quelli relativi alla lettura e all’acquisto dei libri, che è tutto buono. Il marketing, anche su un titolo solo, può avvicinare dei lettori deboli a un mondo che spesso ancora spaventa». Portare i libri fuori dalle librerie, insomma: è un’operazione interessante, ed è un’altra cosa che aveva fatto proprio Miu Miu nell’estate del 2024: il 7 e l’8 giugno, in diverse città del mondo, aveva affittato delle edicole per distribuire gratuitamente dei libri. Nel caso di Milano, presso l’Edicola Milano di via dei Giardini, si potevano prendere Una donna di Sibilla Aleramo, Persuasione di Jane Austen e Quaderno proibito di Alba de Céspedes.

Un’ultima recente operazione interessante, segnale di un marketing che si può impostare tutto sui libri e sul loro contenuto e meno su magliette e cappellini, è Il libro dei libri Ne/oN. Un’antologia di 448 pagine con i primi capitoli di tutte le uscite del 2024 del nuovo imprint di Edizioni E/O dedicato alla narrativa fantastica e di genere. È stato distribuito come omaggio al Salone del Libro di Torino, ha creato un grande entusiasmo e lunghe code allo stand dell’editore (e su NetGalley). A settembre è stato annunciato il nuovo Libro dei libri Ne/oN 2025. Ci sono molti modi, di fare marketing con i libri. L’obiettivo di chiunque, però, dovrebbe essere la diffusione, o detta in modo meno elegante: vendere. In questo senso, la speranza è che si sia appena iniziato.