Attualità

L’eterno ragazzo Martelli e la Signorina Scalfaro

Appunti per probabili e improbabili futuri Presidenti della Repubblica in ordine sparso, visto che se ne parla. Seconda parte di un appuntamento fisso da qui alla fine del 2014. La nuova serie di Michele Masneri.

di Michele Masneri

Continuano, e continueranno fino alla fine dell’anno, le quirinarie masneriane, schede e appunti su probabili e meno probabili aspiranti futuri Presidenti della Repubblica. Dichiarazione: è un classico totonomi, quello che tutti fanno dicendo di non fare, per carità, e come tale, nonostante si cerchi spesso di far credere il contrario, si nutre quasi mai di fatti e molto spesso di fantasia. E allora tanto vale non darsi regole: outsider, quote rosa, quote pop, quote camp, papabili, per nulla papabili, impresentabili. Verranno presentati a coppie, rigorosamente senza un criterio. Un divertissement, va da sé. E magari indoviniamo pure. (La prima parte è qui)

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CLAUDIO MARTELLI

Ragazzo immagine. Settantuno anni, nato a Gessate (Milano), giovane assistente di Lettere alla Statale viene cooptato da Bettino Craxi nel 1976, a Roma, come poi Silvio Orlando nel Portaborse di Nanni Moretti (1991) a lui ispirato. Alloggia all’hotel Raphaël: qui, nella imprescindibile autobiografia Ricordati di vivere (Bompiani, 2013), memorie di fuorisede in tempi pre-casta, con Martelli che torna dalle notti brave nella sua stanza singola mentre Bettino ha la suite di sopra, e accanto c’è Francesco Forte che scrive la sua Scienza delle Finanze. Poi Martelli fa il ministro della Giustizia, e soprattutto il locatario di una villa sull’Appia Antica, vicini di casa Valentino e Lollobrigida e Zeffirelli, villa scelta perché «a un passo dall’aeroporto di Ciampino», per voli di Stato molto frequenti in tempi pre-spending review.

«Un risparmio di tempo per me che dovevo volare come minimo due volte la settimana. Per l’affitto e per le spese ci volevano molti soldi, ma anche noi eravamo molti e benestanti, pieni di fantasia e di amici». E di scenografi: la villa viene arredata «su bozzetti dello scenografo della Scala Gianni Quaranta», e di Mario Garbuglia, collaboratore di Visconti. Gli arredi sono del magazzino “Dedalo”, che rivende pezzi di set di Cinecittà. («Che splendida sensazione vivere tra i mobili e i tendag­gi di Senso e del Gattopardo! Che bello lavorare e vivere insieme con gli amici che sono compagni di lavoro, alter­nare ozii e negozi, sentirsi padroni di sé e utili agli altri!»). Il copyright Appia dei Popoli è di Ottaviano Del Turco. Le spese sono invece a carico di Rosi Greco, morosa di lotta e di governo, erede di un gruppo romano della maglieria. Lei nelle memorie martelliane è «la discola»: «L’aria da discola, l’andatura da cerbiatto in bilico sulle lunghe gambe, incedeva elegante, bellissima nel suo tubi­no nero, al braccio di un giovin signore. Vedendola scin­tillare tra i tavoli del ristorante e gli sguardi degli uomini, rimasi incantato col cucchiaio per aria». Claudio Martelli è ancora fichissmo, perché, come sostiene Bret Easton Ellis, «ognuno di noi resta bloccato all’età in cui accede alla celebrità». Ha diretto anche MondOperaio, ma, secondo una celebre battuta, riteneva fosse una bestemmia.

 

MARIANNA SCALFARO

Cattolica molto adulta. Sessantotto anni, la «signorina di ferro», come presero a chiamarla gli uscieri del Quirinale, mise piede alla Presidenza insieme al padre il 25 maggio 1992 in un’elezione particolarmente imprevedibile in epoca di trattative che non osavano ancora dichiarare il loro nome. Figlia-badante, originariamente la “first daughter” si chiamava Gianna Rosa ma venne ribattezzata col nome della madre, che morì 17 giorni dopo averla data alla luce. Vegliò poi «silente ma non assente» sul settennato del papà Oscar Luigi, come disse in una rarissima intervista a Marzio Breda del Corriere. Al Quirinale «capii subito che avrei rischiato d’essere schiacciata dai formalismi. Mi sentivo ripetere di continuo: Si è sempre fatto così. Lì dentro erano pezzi storici perfino i tovaglioli rammendati e i centrotavola cui mancava solo il nastro per il caro estinto».

Atmosfere da Piero Chiara e Lattuada, dunque, in cui la Signorina si muove come una sorella Tettamanzi di Venga a prendere il caffè da noi, tra cimeli, culti, le mele di Einaudi, minestrine, e tante preghiere, e naturalmente «gli ingredienti e gli aggeggi della prudenza e della demenza domestica». In attesa di un Ugo Tognazzi ispettore delle Entrate che non venne mai a conquistarla, se non nelle sembianze misteriche di Adolfo Salabé, architetto-dandy e proprietario di boutique-hotel, gentiluomo di Sua Santità in quota Servizi. Con lui venne fotografata «mentre andavamo a scegliere delle tappezzerie per il Quirinale», e si fecero molte illazioni, e la Signorina restò molto male, mentre forse era solo il tentativo disperato di rinfrescare il Palazzo, con le sue tubature dei condizionatori a vista e i rifacimenti repubblicani con linoleum (se il referendum del ’46 fosse andato in altro modo, però, chissà che interior decoration, vista la passione di Umberto II per passamanerie e luci calde e fredde). A Giovanni Paolo II che la interrogava se la sua religiosità fosse in linea con quella paterna, ebbe a dire che «non siamo omologati, Santità». Dopo il settennato con papà, vive in zona residenziale-lugubre di Forte Bravetta. Ha ancora la scorta.