Cultura | Personaggi
Paul Mescal, oltre le gambe c’è di più
Per strada in striminziti calzoncini sportivi, alle sfilate con striminziti calzoncini sartoriali, oggetto del desiderio di tutti, col Gladiatore II si prepara a diventare definitivamente un divo.
Il successo? A volte può cominciare da posti più impensabili. Perfino da una salsiccia. Durante le sue brillanti lezioni, la mia professoressa di Storia dell’arte all’università – che non disdegnava detour tra pettegolezzi artistici e afferenti al mondo del teatro – era solita ripetere spesso «ovvio che il sogno di ogni attore è fare Shakespeare, ma per campare va bene anche la pubblicità del pannolino Pisciarello». Al tempo, ovviamente, lei non conosceva Paul Mescal, lui invece conosceva benissimo questa regola. A breve sarà Shakespeare in persona, ma nel 2018, ai suoi esordi (dopo gli studi all’Accademia), è stato protagonista di una bella pubblicità di salsicce. Una performance che ha colpito anche Saoirse Ronan, poi sua futura collega. «Ho studiato alla scuola di recitazione per tre anni quindi ho preso molto sul serio quel ruolo. E poi ero povero», ha detto Mescal durante un’intervista con la Bbc. Ma, dalle salsicce al gladio il passo è stato breve, come in quei meme che sottolineano il salto temporale tra la pandemia e… Oggi. Cosa c’è stato in mezzo? Tra le altre cose, l’avvento di Paul Mescal.
Vista la sua predilezione per stare gambe al vento, con cosce e polpacci muscolosi e guizzanti sempre in bella vista (doppio slurp), non poteva che essere lui il nuovo gladiatore di Ridley Scott, Paul Mescal, benedetto da una divisa con pettorina in cuoio dorato sensualmente sagomata e gonnellino girochiappa d’ordinanza. Ridley Scott è tornato nell’arena alla regia del Gladiatore II, a vent’anni di distanza dal primo film, in uscita al cinema il prossimo 22 novembre, in concomitanza con Wicked, l’attesissima trasposizione per il grande schermo – con Ariana Grande e Cynthia Erivo – del musical cult; si prevede così un nuovo Barbenheimer.
Di recente sono state pubblicate le prime fotografie del Gladiatore II, ambientato 30 anni dopo gli eventi del primo, con Paul Mescal protagonista al posto di Russell Crowe (impegnato con la sua band a cantare “Sarà perché ti amo” in giro per il mondo): la storia segue le vicende di Lucio, nipote dell’ex imperatore romano Marco Aurelio, che diventa gladiatore durante il regno di Caracalla e Geta. Nel cast tornano Derek Jacobi e Djimon Honsou, e si aggiungono Denzel Washington, Joseph Quinn e, soprattutto, Pedro Pascal, con cui si prevedono animate lotte nella polvere pronte ad accendere fantasie abbastanza particolari.
Paparazzato per strada in striminziti calzoncini sportivi, alle sfilate con striminziti calzoncini sartoriali di lusso, oggetto del desiderio delle femmine etero prima (Normal People) e di quello dei maschi gay poi (Estranei), passando anche attraverso la legittimazione di un desiderio critico (con la sua interpretazione in Aftersun, che gli è valsa la nomination all’Oscar), Paul Mescal si sta ritagliando un posto di primo piano nell’immaginario erotico delle nuove generazioni (non così inclini all’erotismo). Il suo corpo, percepito per parti anatomiche indipendenti e sconnesse tra loro (le gambe, gli occhi chiari, il nasone), è oggetto di sguardi pieni di bramosia: è come se la costruzione della sua figura divistica passasse attraverso un ricettacolo di feticci piuttosto che un insieme organico. Ecco quindi, in lui, esponente di spicco dei nuovi divi post #MeToo e post #freebritney, una nuova consapevolezza del suo ruolo come pura immagine. Puri ologrammi, proiezioni; figure mitologiche che trovano il loro habitat naturale solo e solamente sul palcoscenico e nella bidimensionalità degli schermi (del cinema, degli smartphone, dei tablet), in una dimensione lavorativa. La loro percezione come esseri umani è talmente flebile che la visione di Harry Styles – altro divo appartenente alla stessa categoria di Mescal – in un supermercato ha creato una serie di reazioni tra le più scomposte, dalla sorpresa all’ilarità, dall’incredulità allo shock.
Dopo l’umanizzazione estrema delle star, acuita dagli strumenti socialmediali che hanno allacciato un filo diretto tra gli idoli e le folle, ecco quindi – per amore di sanità mentale – tornare a un modello di controllo in grado di proporre parti, segmenti, di selezionare cosa offrire ai propri fan e cosa no. Cosa ci offre Paul Mescal? Sarà eterosessuale? Omosessuale? Bisessuale? Chissà. Della sua vita privata concede – saggiamente – poco e niente. C’è stata una storia d’amore con Phoebe Bridgers (è apparso anche nel videoclip di “Savior Complex”, diretto da Phoebe Waller-Bridge, e ha cantato in “So Much Wine”), ma non sappiamo molto di più. Per il bene del benessere mentale la privacy diventa quindi un must: «The stuff that hurts is the personal stuff. It’s nobody else’s business and should never be commented on because it’s indecent. And it’s unkind. Honest answer, it makes me angry. It’s the entitlement to the information that people expect that just drives me f— mad», ha spiegato in un’intervista per Harper’s Bazaar. Motivo per cui, per esempio, non ha mai parlato della fine della sua relazione con Phoebe Bridgers, sono fatti loro. Potrebbe sembrare la scoperta dell’acqua calda, eppure lo star system ha continuato a dimostrare, anche in tempi recenti, di essere un amplificatore di complicazioni per problemi di apparentemente facile soluzione. L’equilibrio tra quello che si è disposti a cedere consapevolmente e quello che si è disposti a perdere può diventare quantomeno labile.
Non per Mescal, che ha le idee chiare. Non contano quindi le paparazzate con Natalie Portman, le speculazioni sulle sue sniffate al Glastonbury (fonte il Sun, ci siamo capiti), i fan club che lo vogliono assieme a Daisy Edgar Jones nella vita vera come nella finzione di Normal People e che esplodono di content quando i due si scambiano sguardi fugaci a uno show Gucci o si fanno una foto assieme nel fango di Glastonbury. Quello che l’attore irlandese ci offre non sono repliche, giustificazioni, spiegazioni, dichiarazioni di intenti, sono piuttosto suggestioni, fantasie cinematografiche, dentro e fuori il grande schermo: sé stesso come icona, un’estetica preppy da film porno Bijoux. Non è il solo a essersi fatto furbo, come lui Josh O’Connor e altri nomi cool del nuovo cinema post pandemico.
In arrivo per Paul Mescal, The History of Sound, storia d’amore con Josh O’Connor (per l’appunto) ai tempi della Prima guerra mondiale, adattamento del fortunato romanzo di Ben Shattuck per la regia di Oliver Hermanus (Moffie, Living). Al via anche le riprese di Hamnet, il nuovo film di Chloe Zhao (The Eternals, Nomadland) in cui Mescal veste i panni di William Shakespeare a fianco di Jessie Buckley (actor studio Irlanda in prima fila) in quelli della moglie del Bardo, Agnes Shakespeare; Mescal ha definito “devastante” il romanzo di Maggie O’Farrell da cui è tratta la pellicola. E poi ancora Merrily We Roll Along con Ben Platt, per la regia di Richard Linklater, versione per il grande schermo dell’omonimo musical di Stephen Sondheim (che è appena valso due bei Tony a Jonathan Groff e Daniel Radcliffe, protagonisti nell’ultimo revival a Broadway). Insomma, nonostante la riservatezza, il lavoro per Mescal non manca, è tutto è iniziato addentando una succosa salsiccia. Forse, a suo modo, è una lezione da imparare.