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00:18 martedì 1 luglio 2025
Una delle band più popolari su Spotify nell’ultimo mese è un gruppo psych rock generato dall’AI Trecentomila ascoltatori mensili per i Velvet Sundown, che fanno canzoni abbastanza brutte e soprattutto non esistono davvero.
A Bologna hanno istituito dei “rifugi climatici” per aiutare le persone ad affrontare il caldo E a Napoli un ospedale ha organizzato percorsi dedicati ai ricoveri per colpi di calore. La crisi climatica è una problema amministrativo e sanitario, ormai.
Tra i contenuti speciali del vinile di Virgin c’è anche una foto del pube di Lorde Almeno, secondo le più accreditate teorie elaborate sui social sarebbe il suo e la fotografia l'avrebbe scattata Talia Chetrit.
Con dei cori pro Palestina e contro l’IDF, i Bob Vylan hanno scatenato una delle peggiori shitstorm della storia di Glastonbury Accusati di hate speech da Starmer, licenziati dalla loro agenzia, cancellati da Bbc: tre giorni piuttosto intensi, per il duo.
La Rai vorrebbe abbandonare Sanremo (il Comune) e trasformare Sanremo (il festival) in un evento itinerante Sono settimane che la tv di Stato (e i discografici) litigano con il Comune: questioni di soldi, pare, che potrebbero portare alla fine del Festival per come lo conosciamo.
La storia del turista norvegese respinto dagli Stati Uniti per un meme su Vance sembrava falsa perché effettivamente lo era Non è stato rimpatriato per le foto salvate sul suo cellulare, ma semplicemente perché ha ammesso di aver consumato stupefacenti.
In Giappone è stato condannato a morte il famigerato “killer di Twitter” Takahiro Shiraishi è stato riconosciuto colpevole degli omicidi di nove ragazze. Erano tre anni che nel Paese non veniva eseguita nessuna pena capitale.
Per sposarsi a Venezia e farsi contestare dai veneziani Bezos ha speso almeno 40 milioni di euro Una cifra assurda che però non gli basta nemmeno per entrare nella Top 5 dei matrimoni più costosi di sempre.

Paul Mescal e Andrew Scott non sono gli unici motivi per vedere Estranei

Del nuovo film di Andrew Haigh si sta parlando soprattutto per la chimica tra i due protagonisti. Ma è un'opera che racconta molto più di una "semplice" storia d'amore e fantasmi.

06 Marzo 2024

Venticinque anni fa usciva Ray of Light, l’album che ha dato a Madonna lo status irrevocabile di icona. A chiudere l’album “Mer Girl”, canzone in cui la popstar canta «I ran from my house that cannot contain me / From the man that I cannot keep / From my mother who haunts me, even though she’s gone», parla dei suoi genitori, del trauma della morte della madre e del padre distante, dell’incolmabile distanza tra genitori e figli. Madonna torna sull’argomento anche in “Mother and Father” (da American Life), dove canta «I made a vow that I would never need another person ever / Turned my heart into a cage / A victim of a kind of rage». Il nuovo film di Andrew Haigh, Estranei, con Andrew Scott e Paul Mescal, nelle sale italiane dal 29 febbraio, si incammina per lo stesso sentiero, impervio, oscuro e doloroso. L’autore di Looking, dopo Weekend e 45 anni, torna sul grande schermo con una storia di solitudine, leit motiv della sua poetica. Adatta l’omonimo romanzo di Taichi Yamada – premiato autore giapponese amato da Bret Easton Ellis – trasportando l’azione dalla Tokyo degli anni ‘80 alla Londra dei giorni nostri, mettendo al centro una coppia queer in cerca di consolazione.

Londra, Adam (Andrew Scott) è uno sceneggiatore che vive in un condominio tutto nuovo, praticamente ancora disabitato, un non luogo silenzioso e alienante. Una sera bussa alla sua porta uno dei pochi inquilini dello stabile, Harry (Paul Mescal, le gambe più chiacchierate del cinema irlandese), che gli offre del liquore giapponese e si propone per un po’ di compagnia. È ubriaco, evidentemente scosso. Adam, un po’ per diffidenza e un po’ per timidezza, rifiuta il suo invito a passare la serata assieme, e chiude la porta. Inizia così una storia di fantasmi, di abbracci mancati, di rimorsi e di guarigione.

I due si ritrovano nei giorni seguenti tra le scale del palazzo, iniziando una relazione che porta Adam ad aprirsi sul suo passato, dando voce a quel peso che lo opprime, che non gli permette di vivere: la morte dei suoi genitori in un incidente d’auto, quando aveva 12 anni. Tornando a visitare la casa di famiglia, nel sud di Londra, il protagonista ritrova anche i suoi genitori (Claire Foy e Jamie Bell), li rivede, parla con loro. Si confida. Nasce un confronto che lo porta a elaborare la rimozione dei traumi che da quel momento fatale l’hanno imbrigliato, che l’hanno portato a essere una persona incapace di amare. Mentre prosegue la storia con Harry, proseguono anche le visite e i colloqui con i suoi genitori, Adam li aggiorna sulla sua vita, sul suo lavoro, fa coming out. La madre lo accetta con fatica, il padre invece già sapeva, gli dice, lasciandosi andare a un pianto colpevole per non averlo saputo consolare nei momenti difficili. Si mescolano, nel dipanarsi del racconto, i piani del reale e quello dell’interiorità, quello del presente e quello del passato, tra confessioni e recriminazioni, una trattativa serrata tra il senso di colpa, l’abbandono e la resa. In questa storia di alienazione urbana, Haigh dà forma (filmica) a una solitudine tangibile, solida, sovrapponendo presenze fantasmatiche e corporee, mettendo al centro della narrazione i corpi di Andrew Scott e Paul Mescal, che si cercano, si usano, si esplorano, si accolgono.

Il condominio, che svetta solitario all’orizzonte, dominando un panorama che appare lontano e intangibile, al pari di quelli Shivers (David Cronenberg) e Sliver (Phillip Noyce), diventa lo scenario di un vuoto siderale, in cui il rumore bianco del traffico e della città – da cui nasce ma dalla quale si isola – suona lontano, ovattato, in un’atmosfera da fantascienza, come se i protagonisti stessero vivendo in un’astronave lanciata nel vuoto. Il trauma del lutto ha cristallizzato nell’interiorità del protagonista il momento della perdita, dando forma a un presente di continuo terrore e isolamento. Attorno a questo il regista mette in scena un melodramma psichico (lacaniano, per chi vuole spingersi un po’ più in là) in cui la forma del cinema classico si accartoccia per cedere il passo alle forme filmiche postmoderne. Andrew Haigh, in questo senso, può essere considerato un Douglas Sirk contemporaneo, altrettanto interessato alle dinamiche della distanza, a quelle forze (sociali, sentimentali, psicologiche) che allontanano le persone, che creano nelle coppie (amanti, genitori e figli, marito e moglie) una misura e un vuoto impossibili da sanare. Estranei prende quindi il largo rispetto alla “semplice” storia d’amore da cui comincia, la dialettica del romanticismo è qui un MacGuffin per dar modo al protagonista di elaborare la percezione di se stesso in rapporto alla realtà che si è creato per sopravvivere al peso ineluttabile del reale, in un discorso terapeutico costruito attorno a cicatrici invisibili ma radicate nelle profondità, da esorcizzare, da sanare.

Come ha scritto Federico di Chio in L’illusione difficile. Cinema e serie tv nell’età della disillusione (Bompiani), «Dobbiamo forse addentrarci nella caverna interiore, con una interminabile discesa, avanzando tra le ombre, i chiarori, fino a che giungono respiri affannosi, svolazzamenti, mormorii, echi; all’improvviso veniamo braccati da grida, da spasmi, da singhiozzi, da urla, da scoppi di risa isteriche; e poi nel discendere sempre lungo le pareti ricoperte da graffiti infantili giungiamo a un santuario muto in cui si trova un piccolo idolo cieco, sovrano, indifferente… Dobbiamo andare al mondo del congiuntivo, dei mostri, dei demoni e dei clown della crudeltà e della poesia per dare un senso alla vita di ogni giorno […]?». Il regista britannico, portandoci in questa “caverna interiore”, riesce ad accompagnarci in un viaggio personalissimo ma universale, in un melò spettrale dove il percorso psicanalitico emerge in superficie, dialogo dopo dialogo, confronto dopo confronto, come unica strada verso l’accettazione, del dolore, di sé stessi e degli altri, e si conclude con l’abbandono della realtà fantasmatica (consolatoria, lenitiva, protettiva ma anestetizzante), in favore di un abbraccio al Reale, con tutto il bagaglio di sofferenza che può renderlo insostenibile, straziante, ma vivo, palpitante, luminoso anche nella buia costellazione dell’angoscia.

Una volta sgarbugliata la matassa in cui si era chiuso, dopo una nuova perdita, dopo la riemersione in superficie, Adam strappa a se stesso una promessa di libertà, come Madonna che dalla corsa affannosa e senza sosta di “Mer Girl” («I ran and I ran, I’m still running away») scende a patti col voto di indipendenza dall’amore dettato dalla rabbia per un lutto ingiusto e straziante, accettando la possibilità di un nuovo sentimento («I got to give it up / Find someone to love me»). Siamo estranei all’amore perché la sola possibilità di perderlo, di non meritarlo, di non saperlo coltivare, ci getta nella frustrazione più nera, ci rende indifesi e vulnerabili. In questo panorama dove la solitudine è un’abitudine di sopravvivenza il nuovo cinema queer di Haigh è un invito alla resa.

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