Attualità | Coronavirus

Il primo giorno dei parrucchieri

Richiestissimi, devono gestire appuntamenti e liste d'attesa, mentre le nuove regole complicano le cose.

di Corinne Corci

Da una scena di Mad Men, mentre Betty Draper è dal parrucchiere.

Definisci la nuova fase: i parrucchieri, assolutamente i parrucchieri, come ha evidenziato il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, con un post su Facebook in cui si mostra finalmente dal barbiere dopo il periodo di lockdown – «Adesso è davvero la Fase2». E nel frattempo, Tommaso ha riempito il negozio di fiori. «Mi sembra sia il primo giorno dell’anno o di scuola. L’unica cosa difficile è gestire le prenotazioni, le abbiamo aperte alle 9 e avrò già una lista di 150 persone. Per il resto tutto bene, c’è la musica, la gente arriva, sta distante, è paziente e ci sono ritmi molto umani. Il mondo di prima non c’è più». Tommaso Incamicia, hairstylist indipendente, proprietario e fondatore di My Place Hair Studio e direttore creativo del collettivo R+CO Italia è uno dei parrucchieri che hanno riaperto oggi il proprio salone a Milano, dopo oltre due mesi di chiusura. Perché nonostante solo pochi giorni fa ipotizzassero una ripresa dell’attività per il primo di giugno, e non sapessero ancora nulla se non il fatto che avrebbero dovuto provvedere in autonomia a mettere in atto le misure necessarie per prevenire eventuali contagi, sono bastate poche parole – «Da lunedì 18 maggio riaprono tutti i servizi legati alla cura della persona» – per scompaginare i piani, accelerare i tempi per completare la preparazione. Da parte nostra, ci siamo tinti e tagliati i capelli da soli, spesso seguendo involontariamente un disegno di Zaha Hadid, c’è chi li ha lasciati crescere, e adesso è The Weeknd: al proprio parrucchiere, ha telefonato subito.

«Quando Conte ha nominato i parrucchieri, in contemporanea tantissime persone ci hanno scritto “c’è ancora posto per il 18 maggio?”, anche se non aveva ancora finito di parlare», racconta Valeria Giovine, partnership e art director di Rainbow Hair Milano. «Oggi siamo ovviamente contenti e già stravolti alle 12:30. I clienti per ora sono educati, hanno aderito con entusiasmo alle proposte per ridurre le tempistiche. Perché è rimasta la nostra filosofia, il nostro gusto, ma è cambiato l’approccio al modo di lavorare», aggiunge Sara Sciarrotta, fondatrice di Rainbow Hair. Si tratta di una nuova realtà lavorativa, che ricerca prodotti avanzati che potrebbero aiutare a velocizzare i tempi di posa, un impegno distribuito e diluito in sei giorni settimanali, per poco meno di 12 ore al giorno. Fatta di distanze, ed eventualmente di compromessi che in molti casi ridimensioneranno la legge per cui “il cliente ha sempre ragione”: tanto che per quanto riguarda i lavori che richiedono più tempo, ci saranno delle variabili, «avrai il biondo come lo desideri tu, ma cercheremo di localizzarlo in punti strategici. L’effetto visivo sarà lo stesso, senza peccare di mediocrità, ma avremo impiegato la metà del tempo», continua. «Per un po’ niente potrà essere come prima. E neanche i capelli, che anzi saranno uno specchio del cambiamento del mondo e della nostra città».

Distanza di un metro tra le postazioni, clienti e lavoratori sempre con la mascherina, visiera, camici, termometri per misurare la temperatura all’ingresso, riorganizzazione degli spazi, kit monouso, ma soprattutto permanenza limitata al tempo necessario: velocizzandosi, anche attraverso videochiamate prima che il cliente arrivi in negozio, in modo da capire cosa serva ai capelli – «sapremo chirurgicamente come muoverci», dice Charity Cheah, co fondatrice di Toni&Guy, «oggi nel negozio di via Monti dovremo chiamare più di 609 persone che aspettano un appuntamento, perché siamo stati tra i primi a chiudere. Le richieste si sono accumulate». Ma se la maggior parte delle misure sarà la medesima per tutti i saloni – guanti, igienizzanti spray a ogni postazione, tenere il negozio il più asettico possibile, assenza di magazine da leggere (nel caso di Toni&Guy, anche le barriere di plexiglass tra le sedute) – le modalità di adattamento nel metodo di lavoro alla nuova normalità potrebbero subire varianti da un posto all’altro. «Nel nostro caso le persone continueranno a stare sedute per tanto tempo, anzi, magari ancora più di prima», ammette Mauro Bellini, fondatore insieme a Stefano Piuma del salone Les Garçons De La Rue. Un dipendente farà solo una persona alla volta – «e mentre il cliente è in posa tu stai lì, aspetti, e guardi il cielo» – organizzandosi attraverso la creazione di una sorta di “percorso” per le persone, che riunisca in una sola volta tutto quello che devono fare, per evitare che lo stesso cliente debba tornare a distanza ravvicinata. «Diciamo che in quella giungla di decreti, in cui ogni giorno c’era una cosa diversa, sembra che una delle poche certezze sia stata questa riscoperta dei parrucchieri, come se tutti si fossero accorti di quanto importante sia vedersi belli. Forse dovremmo avere una trasmissione anche noi, come Masterchef, ma sui capelli».

Intanto la vera calca è al telefono, «sta continuando a squillare, è incredibile», dice Sara, poiché per molto tempo non potremo recarci in negozio senza appuntamento, ma saranno loro a richiamarci attraverso quelle liste ideali create inserendo i numeri di quanti abbiano contattato i saloni nelle ultime ore, ricercate e ambite tipo il santo calice di Valencia, consapevoli che comunque, una volta arrivati davanti alla porta del Paradiso – quella del nostro parrucchiere – la troveremo inevitabilmente chiusa, «perché saremo noi ad aprirvi», continua Mauro, «e non ci sarà nessuna sala d’attesa». Non solo quei minuti prima di accomodarsi sulla poltrona, ma anche il tempo di posa per i colori sarebbe deleterio. «Stare un’ora su una sedia in un ambiente in cui ci sono altre persone, anche se lontane, dove una tossisce, un’altra parla al telefono della nonna che magari non c’è più, non andrebbe bene», spiega Tommaso, che durante la chiusura del salone si è interrogato sull’opportunità o meno di modificare anche umanamente il proprio approccio con i clienti. Per questo ha detto ai suoi ragazzi di essere più accorti ed evitare di parlare della pandemia. «Ne stiamo uscendo fisicamente, ma non ancora mentalmente. Piuttosto gli puoi dire che in questi mesi ti sei cucinato tutto il libro vegano, come ho fatto io».

Sebbene emotivamente la loro chiusura abbia causato momenti di scoraggiamento (per loro, in quanto attività lavorativa sospesa, e per noi che se abbiamo i capelli tendenzialmente mossi abbiamo iniziato a notare la loro mutazione in palmizio), dopo anni senza fermarsi in molti hanno avuto modo per interrogarsi circa le cose del proprio lavoro che non andavano più bene – «Ora vorrei investire di più su aziende italiane, con prodotti che permettano trattamenti ottimi ma veloci. Mai come in questo momento potremo fare cose nuove e diverse, alzare il livello della nostra qualità», rivela Tommaso. «La cosa che abbiamo capito è che tutti noi parrucchieri non siamo sulla stessa barca, ma nella stessa tempesta. E per affrontarla e superarla occorre che la piattaforma su cui siamo sia solida», conclude Charity. «Lo può essere solo rassicurando i nostri dipendenti e i clienti. Che le cose cambieranno, ma la barca reggerà». Speriamo anche la nostra tanto anelata piega, nonostante il vento.