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In Papua Nuova Guinea si teme un’escalation di violenza tribale

La scioccante uccisione di 18 persone in un villaggio potrebbe aver cambiato tutto, avverte il capo della polizia di Hela, una regione del nord ovest della Papua Nuova Guinea. 10 donne e 8 bambini sono stati massacrati a colpi di machete. Non si è più in grado di individuare a chi appartengano le varie parti del corpo dei cadaveri, ha dichiarato un operatore sanitario al Guardian. Il giorno prima del massacro, avvenuto l’8 luglio, altre 9 persone erano state uccise nella stessa zona abitata soprattutto dalla popolazione Huli. Secondo la polizia «si tratta di un vero e proprio trend».

La violenza tribale ha radici profonde, ma questa volta siamo di fronte a qualcosa di diverso. Il massacro infatti non rispetta le tradizionali regole della guerra tra tribù, spiega l’antropologo Chris Ballard dell’Australian National University, che ha vissuto per anni nella zona. Prima del contatto con gli europei, infatti, avvenuto solo 85 anni fa, «Gli scontri venivano gestiti e nessuno era interessato ai massacri di massa». Soprattutto, non venivano coinvolte le donne.

C’è una rabbia inedita tra gli Huli, scatenata da promesse economiche disattese e dai problemi di distribuzione delle concessioni sul gas della zona. Come spiega il quotidiano britannico, gli scontri avvengono a soli 30 chilometri dall’Exxon-Mobil led PNGLNG, un progetto di 19 miliardi di dollari riguardante il gas naturale liquefatto, il più grande investimento nella nazione in tema di risorse.

Nel 2008, quando il progetto era al suo apice, Medici Senza Frontiere ha inviato un team di chirurghi nella zona, considerata in guerra. Un rappresentante di Exxon-Mobil ha dichiarato che gli scontri avvengono al di fuori dell’area operativa. Un partner dell’operazione imputa l’escalation della violenza sulle donne all’avvento della modernizzazione e dei cellulari. Ma la politica sul gas «fa parte della storia e del territorio», ribadisce l’antropologo.