Attualità

La letteratura può raccontare internet?

Diamo per scontato che la rete non sia un argomento letterario, ma Andrew O'Hagan con La vita segreta dimostra il contrario.

di Cristiano de Majo

È più facile immaginare il futuro che il presente. Per quanto faccia effetto ripetersi questa frase in mente, non è una massima sapienziale, ma solo una considerazione banale, persino scontata. Immaginare il futuro è un’attività umana più semplice da definire di quella indirizzata a produrre immagini del presente. Sappiamo tutti cosa significa “fantasticare” e gli scrittori e gli artisti si esercitano da sempre a farlo. Ma poi è anche vero che ci sono persone che il futuro lo immaginano così bene da prevederlo. L’esempio più lampante di predizioni letterarie che abbiamo negli ultimi trent’anni è William Gibson.

Nel 1986 veniva pubblicata negli Stati Uniti un’antologia intitolata Burning Chrome (apparsa per la prima volta in Italia in un “Urania speciale” del 1989, intitolato La notte che bruciammo Chrome). Era una raccolta dei primi racconti dello scrittore canadese pubblicati su riviste di fantascienza, fatta uscire nel momento in cui i suoi romanzi iniziavano a sbalordire il mondo (Neuromancer è del 1984, Count Zero di quello stesso anno, il 1986, la cosiddetta “Trilogia dello sprawl” si sarebbe conclusa nel 1988 con Mona Lisa Overdrive). Il più vecchio racconto dell’antologia, “Frammenti di una rosa olografica”, risale addirittura al 1977. Per chi non lo avesse mai letto, dentro questi racconti c’è tutto quello che si agita ora intorno a noi: la rete, i dati come strumento di accesso al potere, gli hacker, le multinazionali come forze politiche, il rapporto di perenne connessione tra uomo e macchina i nickname giapponesi.

u1110Senza addentrarsi in discorsi sulla forma (il lirismo, la frammentazione delle trame), o in un’analisi sulla commistione perfettamente riuscita tra hard-boiled e sci-fi, o in una valutazione su quanto in generale il cyberpunk come movimento letterario sia stato dimenticato e quindi sottovalutato, è impressionante sfogliare oggi quelle pagine perché pare che descrivano con minima approssimazione il tempo realizzato trent’anni dopo: il nostro presente. Basta aprire il libro a caso per averne conferma. Per, esempio, nel racconto che dà il titolo all’antologia, la mia attenzione è caduta su questo paragrafo: «Bobby era un cowboy. Bobby era uno scassinatore, un ladro che perlustrava il sistema nervoso elettronico dell’umanità, razziava dati e crediti nell’affollata matrice, lo spazio monocromatico dove le uniche stelle sono costituite da concentrazioni di dati, e in alto bruciano le galassie delle multinazionali e le fredde braccia a spirale dei sistemi militari».

La domanda che mi è venuta da fare leggendo è: chi si occupa oggi di raccontare quei “Bobby” che non sono più frutto di un intuito immaginativo, ma fantasie realizzate, che operano nel mondo in cui viviamo? In verità è una domanda che in forme diverse mi pongo da qualche tempo. In un’epoca in cui lo spazio della letteratura è stato ridotto dallo tsunami digitale, le risposte letterarie (più o meno convincenti) sono state di fuga dalla contemporaneità: il ritorno della natura come trending topic narrativo; l’idealizzazione della letteratura come valore autentico rispetto alla “falsità” dei social; la rivincita della letteratura microscopica – quella dell’autobiografismo, dell’esperienza personale – rispetto a quella macroscopica, che tenta invece di mettere in scena le dinamiche sociali e politiche.

Lo scozzese Andrew O’Hagan, autore de La vita segreta, appena uscito per Adelphi, è il raro esempio di chi si è posto questo problema trovando una sua strada. In un pezzo che pubblichiamo su Studio n. 33, intitolato “The Fiction Machine”, O’Hagan racconta con molta consapevolezza la difficile relazione tra letteratura ed era digitale, scrittura e social network. «Chi avrebbe mai immaginato», scrive, «leggendo William Gibson negli anni ’80 o i vecchi tascabili di Frank Herbert, di trovarsi di fronte a dei comunissimi realisti, non meno fedeli di Charles Dickens ai cambiamenti essenziali della vita?». E più avanti continua: «Scrittori e lettori non hanno mai goduto di un momento più adatto per esplorare la “verità”». Una verità che ci fa «percepire fiction e non fiction come indivisibili».

O'HaganIl pezzo è quasi un saggio preparatorio al suo libro, che sabato 25 novembre, a Studio in Triennale, sarà oggetto di un incontro tra l’autore e Daniele Rielli. Nella Vita segreta, “Bobby”, quel cowboy dei dati che «perlustrava il sistema nervoso elettronico dell’umanità» del racconto di Gibson, ritorna dalla fantascienza per diventare oggetto di quello che si potrebbe definire un reportage. Il volume, infatti, si compone di tre storie, e due di queste  hanno a che fare con dei “cowboy della matrice”, per dirla con Gibson, cioè Julian Assange e Satoshi Nakamoto, la misteriosa entità che si cela dietro l’invenzione del bitcoin. Lo spunto per queste due storie è inentrambi casi una commissione finita male, cioè quella ricevuta da O’Hagan per raccontare in due diversi libri la vita di Assange e la storia di Satoshi Nakamoto (o di chi si nascondeva dietro di lui). Entriamo quindi nelle stanze sotto copertura dell’Olimpo di Internet. Nella bella prefazione che Bruce Sterling, l’altro padre del cyberpunk insieme a Gibson, scrisse per La notte che bruciammo Chrome, si legge: «Gibson ama i meandri più insoliti e immaginifici della letteratura ufficiale: Le Carrè, Robert Stone, Pynchon, William Burroughs, Jayne Anne Phillips. Ed è un cultore di quella che Ballard chiamava acutamente “la letteratura invisibile”: quel flusso incessante di rapporti scientifici, documenti governativi, pubblicità specializzata, che plasma la nostra cultura senza che ce ne accorgiamo».

Sono riferimenti che potrebbero essere proiettati abbastanza fedelmente su La vita segreta, i cui temi hanno la particolarità di essere al tempo stesso di “stringente attualità” e di enigmatica invisibilità: l’ossessione per la trasparenza, l’estetizzazione dei dati, la mistificazione degli ideali di libertà, la gigantesca questione della privacy… Poi, ancora più sotto, c’è la millenaria questione umana coi suoi archetipi shakespeariani: la ricerca della fama, il potere, la ricchezza, la manipolazione, il complotto politico. La forma, pur essendo quella di un libro di non fiction, confina a tratti con il noir o la spy-story, come si vede per esempio dall’incipit della terza storia “L’affaire Satoshi”: «Alle 13.30 di mercoledì 9 dicembre 2015 dieci uomini fecero irruzione in una casa di Gordon, un sobborgo sulla costa nord di Sidney. Alcuni degli agenti federali indossavano divise con la scritta “Informatica forense”; uno aveva un mandato di perquisizione disposto ai sensi del Crimes Act australiano del 1914. Cercavano un uomo di nome Craig Steven Wright, che abitava con la moglie Ramona al 43 di St. Johns Avenue. Il mandato era stato emesso su richiesta dell’Australian Taxation Office. Wright, informatico e uomo d’affari, era a capo di un gruppo societario operante nel ramo delle criptovalute e della sicurezza informatica. Wright e la moglie non erano in casa, ma gli agenti forzarono l’ingresso».

Ma La vita segreta non è solo un libro appassionante, è anche una lettura che ci fa sentire sollevati come se finalmente qualcuno avesse portato a termine un lavoro che aspettava di essere fatto: quello di sfruttare l’enorme potenzialità letteraria della rete, e provare che la letteratura può e deve occuparsi di queste storie, al tempo stesso vere e false, che ci passano davanti agli occhi tutti i giorni. Sono storie degne della migliore letteratura anche se apparentemente non profumano di poesia.