Hype ↓
01:19 martedì 1 luglio 2025
Una delle band più popolari su Spotify nell’ultimo mese è un gruppo psych rock generato dall’AI Trecentomila ascoltatori mensili per i Velvet Sundown, che fanno canzoni abbastanza brutte e soprattutto non esistono davvero.
A Bologna hanno istituito dei “rifugi climatici” per aiutare le persone ad affrontare il caldo E a Napoli un ospedale ha organizzato percorsi dedicati ai ricoveri per colpi di calore. La crisi climatica è una problema amministrativo e sanitario, ormai.
Tra i contenuti speciali del vinile di Virgin c’è anche una foto del pube di Lorde Almeno, secondo le più accreditate teorie elaborate sui social sarebbe il suo e la fotografia l'avrebbe scattata Talia Chetrit.
Con dei cori pro Palestina e contro l’IDF, i Bob Vylan hanno scatenato una delle peggiori shitstorm della storia di Glastonbury Accusati di hate speech da Starmer, licenziati dalla loro agenzia, cancellati da Bbc: tre giorni piuttosto intensi, per il duo.
La Rai vorrebbe abbandonare Sanremo (il Comune) e trasformare Sanremo (il festival) in un evento itinerante Sono settimane che la tv di Stato (e i discografici) litigano con il Comune: questioni di soldi, pare, che potrebbero portare alla fine del Festival per come lo conosciamo.
La storia del turista norvegese respinto dagli Stati Uniti per un meme su Vance sembrava falsa perché effettivamente lo era Non è stato rimpatriato per le foto salvate sul suo cellulare, ma semplicemente perché ha ammesso di aver consumato stupefacenti.
In Giappone è stato condannato a morte il famigerato “killer di Twitter” Takahiro Shiraishi è stato riconosciuto colpevole degli omicidi di nove ragazze. Erano tre anni che nel Paese non veniva eseguita nessuna pena capitale.
Per sposarsi a Venezia e farsi contestare dai veneziani Bezos ha speso almeno 40 milioni di euro Una cifra assurda che però non gli basta nemmeno per entrare nella Top 5 dei matrimoni più costosi di sempre.

Nike vs Adidas

Il marchio tedesco domina da sempre il calcio ma ora teme l'incredibile avanzata degli americani. La lotta tra i due giganti dello sport per farsi le scarpe ai mundial brasiliani.

20 Maggio 2014

Tra meno di un mese inizierà Brazil 2014. Non voglio però parlare di match calcistici – qui c’è chi lo fa in modo competente e puntuale – ma di un’altra sfida, che più si avvicina ai temi trattati da questa rubrichetta, ovvero quella tra Adidas e Nike. Una sfida a colpi di strategie di branding, campagne e innovazioni di prodotto che si ripete a ogni competizione globale, ma che quest’anno sembra arricchirsi di nuove sfumature, tanto da aggiudicarsi la cover story di Bloomberg Businessweek. Il giornalista Brendan Greeley ha scritto un reportage dedicato alla visita agli headquarter delle due aziende per scoprire le motivazioni delle politiche di marketing e di visibilità sul mercato; un mercato, quello del materiale tecnico sportivo legato al calcio, che vale 5 miliardi di dollari e che Nike e Adidas occupano per il 70%.

Proviamo a sintetizzare i profili e le strategie dei due brand nei confronti di questa disciplina e in particolare di Brazil 2014.

Partiamo da Adidas (20 miliardi di dollari di fatturato). Il marchio tedesco è da sempre il brand tecnico di riferimento dei grandi eventi sportivi: già nelle Olimpiadi del 1936, quando ancora non si chiamava Adidas, fornì le scarpe a Jesse Owens ed è stato il primo brand a utilizzare la pratica di pagare atleti e squadre per farli indossare scarpe e maglie. Dal 1970 è sponsor (e fornitore) ufficiale della Fifa, accordo da poco esteso fino al 2030: quest’anno fornisce il pallone ufficiale della competizione (“Brazuca” è il nome di quello di Brazil 2014) e un’ampia gamma di prodotti (scarpe, maglie e abbigliamento) connessi all’intero evento. Per Adidas non significa solo visibilità, ma anche alti volumi di vendite: i Mondiali del 2010 in Sudafrica hanno generato 1,5 miliardi di euro di ricavi legati alla vendita dei prodotti da calcio. Questo forte link con gli eventi provoca però dei grandi squilibri da un anno all’altro: il 2012 è stato un anno economicamente deludente, mentre il bilancio 2013 ha visto una crescita dell’utile del 50% anche se con un fatturato ridotto del 2,6%.

La strategia del marchio è classica e da manuale: puntare sulla partnership con Fifa, il know-how tecnologico e l’alta performance dei prodotti (si dice che le maglie delle nove squadre Adidas – tra cui Germania, Colombia e Argentina – siano il 50% più leggere delle altre e poi c’è la Battle Pack, la nuova linea di scarpe indossate dai giocatori Adidas) e, ovviamente, Lionel Messi. Il giocatore argentino è l’icona da giocare sul mercato globale e, in particolare, sul ricco mercato statunitense, visto che è proprio Messi quest’anno è il primo calciatore in assoluto ad entrare nella Top 10 degli atleti più celebri in USA.

Dall’altra parte c’è Nike (25 miliardi di dollari di fatturato) che è arrivata al calcio solo vent’anni fa con i mondiali organizzati negli States. Il brand americano ha fatto in fretta a conquistarsi il terreno, grazie anche a un ingente investimento in advertising: quest’anno sponsorizza 10 squadre (contro le 9 di Adidas) tra cui Brasile, Portogallo, Stati Uniti e Olanda. Come Adidas anche Nike investe molto in ricerca e sviluppo (la loro novità si chiama Magista, scarpino “flyknit” che sembra un calzino con i tacchetti attaccati alla suola)  ma la loro strategia è puntare più su lifestyle, intrattenimento e fiction. Il fatto di non potere nominare la Coppa del Mondo gli costa un maggior investimento per ottenere più visibilità, ma gli permette anche di sperimentare operazioni creative come quella di creare una propria squadra di fantasia – Nike Football Club – usando il bianco e nero per raccontare una storia recente e trattando i propri calciatori come delle celebrities più che come degli atleti.

Il confronto tra Adidas e Nike sul calcio può ricordare quello tra Coca Cola e Pepsi negli anni ’80 e ’90 nel mercato dei soft drink americano: la prima è tradizionale, istituzionale (non a caso anche Coca-Cola è official sponsor Fifa) e fortemente product-oriented, mentre la seconda è più trasversale, legata al lifestyle, alla creazione di mondi e decisamente più marketing-oriented. Greeley nel suo articolo scrive «Nike vuole il calcio. Adidas ne ha bisogno» e mi sembra una buona sintesi per capire il diverso approccio dei due brand.

Permettetemi però un paio di considerazioni a margine sulle sponsorizzazioni di questi grandi eventi che sono sì delle luccicanti vetrine globali, ma anche delle camicie di forza: ogni singola attività di comunicazione deve essere sottoposta a complicati processi di approvazione e da mille limitazioni che smussano i picchi di creatività. Nell’epoca del brand hijacking e delle comunicazioni non convenzionali, la scelta di non legarsi a doppio filo a giganteschi eventi mediatici permette di agire in grande libertà, anche se al limite del “legale”. Ricordiamo il caso della birra olandese Bavaria che negli scorsi mondiali in Sudafrica inviò allo stadio per l’incontro Olanda-Danimarca 36 avvenenti ragazze bionde in minigonna e  arancione vestite le quali furono prontamente espulse dalle ferree regole pubblicitarie dei mondiali: alla fine la visibilità di Bavaria fu sei volte più alta di quella di Bud, la birra ufficiale dell’evento.

Come si legge sull’articolo di Businessweek c’è anche da mettere in conto che oggi per gli appassionati di calcio di tutto il mondo, il Mondiale non è più quell’evento rilevante che era in passato, considerato che, grazie alla vendita dei diritti tv dei singoli campionati e delle gare europee, tutti in tutto il mondo durante l’anno possono assistere alle partite di calcio dei loro beniamini.

Esiste quindi una terza via? Forse sì, ed è quella intrapresa da Red Bull che ha creato una credibilità unica su alcuni discipline sportive (snowboard, salto con gli sci, freestyle) tale da essere stato il brand più visibile e ricordato alle ultime olimpiadi di Sochi, pur non essendone sponsor. Questa credibilità Red Bull se l’è costruita creando delle vere property, ovvero campionati ed eventi sportivi (Red Bull Cliff Diving World Series e Red Bull Crashed Ice tra gli altri), dove ha potuto comunicare non solo il proprio logo, ma anche i valori intrinseci del brand, creando una collegamento indelebile con questi sport estremi.

Immagine: Lionel Messi si allaccia le scarpe – rigorosamente Adidas – durante Barcelona-Real Madrid del febbraio 2013 (David Ramos / Getty Images)

Articoli Suggeriti
La prima volta di Jonathan Anderson da Dior è andata bene

Dopo le riuscite campagne di marketing dell’ultimo settimana, lo stilista nordirlandese ha fatto il suo debutto da Direttore creativo con una collezione che setta l’inizio del nuovo corso alla sua maniera.

Anna Wintour ha annunciato che non sarà più la direttrice di Vogue America

Ma ovviamente non ha alcuna intenzione di smettere di lavorare: resterà global editorial director di Vogue e la global chief content officer di Condé Nast.

Leggi anche ↓
La prima volta di Jonathan Anderson da Dior è andata bene

Dopo le riuscite campagne di marketing dell’ultimo settimana, lo stilista nordirlandese ha fatto il suo debutto da Direttore creativo con una collezione che setta l’inizio del nuovo corso alla sua maniera.

Anna Wintour ha annunciato che non sarà più la direttrice di Vogue America

Ma ovviamente non ha alcuna intenzione di smettere di lavorare: resterà global editorial director di Vogue e la global chief content officer di Condé Nast.

Per la seconda edizione di Miu Miu Summer Reads si va a leggere al parco

Quest'anno l'evento dedicato alla letteratura ha scelto gli spazi verdi di diverse città internazionali.

Perché la moda ha smesso di stupire?

Il weekend lungo dedicato alle collezioni maschili, sempre più ristretto e sempre meno affollato, racconta bene la bizzarra situazione della moda oggi, che sembra non voler più lanciare grandi messaggi ma nascondersi nei vestiti che produce. Segno di tempi complicati o irrilevanza?

A Pitti Uomo tre brand che vogliono innovare il modo in cui si raccontano

I Guest Designer di questa edizione – Homme Plissé Issey Miyake, Niccolò Pasqualetti e Post Archive Faction – sono tre diversi esempi di come oggi i marchi, sia quelli con un heritage alle spalle che quelli di nuova generazione, provano a raccontarsi in un panorama sempre più difficile.

La collezione Autunno Inverno 2025 di The Attico

La campagna, affidata al fotografo Vito Fernicola, ha come protagonista la top model Natasha Poly.